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LA VOCE 1609 |
P R E C E D E N T E | S U C C E S S I V A |
La VOCE ANNO XIX N°1 | settembre 2016 | PAGINA 9 |
Segue da pag. 8: Legge elettorale. ribadire le osservazioni critiche: il testo della legge costituzionale non è definitivamente stabilito e ai gravi punti di disaccordo ne corrispondono altri non meno essenziali sui quali l’accordo è sicuro. L’esigenza di modificare l’assetto del bicameralismo è generalmente condivisa, come pure l’idea di superare il bicameralismo paritario lasciando alla sola Camera i poteri politici —in primo luogo il potere di dare la fiducia al governo e di revocarla—, attribuendo al nuovo Senato la rappresentanza delle autonomie territoriali. Già qui la compattezza s’incrina: come va costruito un Senato destinato a rappresentare al centro il punto di vista delle autonomie? Deve essere espressione dei cittadini o dei loro governi? La risposta del testo governativo è netta, così come quella dei suoi sostenitori: il popolo delle Regioni non c’entra, il Senato rappresenta le ristituzioni’ territoriali, ed è questa in primo luogo la giustificazione della scelta di far eleggere i senatori dalle istituzioni regionali anziché dal popolo di ciascuna Regione. Una scelta comunque bizzarra per le modalità di tale elezione: i consiglieri regionali si eleggono fra di loro e così tutto resta all’interno di ciascun Consiglio, all’interno dell’attuale classe politica, con la sola aggiunta di qualche sindaco. Una complicazione, questa, per gli estensori del Progetto, ma inevitabile. Era difficile ignorare i Comuni considerato il loro antico radicamento nel Paese. Ma ancor più difficile sembra pensare che i Sindaci, come del resto i Consiglieri regionali, possano svolgere un doppio ruolo trovando il tempo per continuare ad esercitare seriamente le loro vecchie funzioni e quelle di senatore insieme. Un’altra questione incerta riguarda le funzioni da attribuire al Senato, anche perché la composizione dovrebbe essere in relazione alla natura delle funzioni ad esso attribuite: in una democrazia, esercitare le più alte funzioni costituzionali è consentito soltanto a chi sia dotato di legittimazione popolare. Nel testo governativo, invece, un Senato così malamente costruito partecipa addirittura alla funzione legislativa del più alto livello, la revisione della Costituzione, con i medesimi poteri della Camera elettiva, ed è chiamato pure ad eleggere due giudici della Corte costituzionale acquisendo così un potere ben più incisivo di quello del Senato attuale. Oggi, infatti, cinque dei quindici giudici costituzionali sono eletti dal Parlamento in seduta comune, all’interno del quale il minor numero dei senatori rispetto a quello dei deputati significa un loro minor peso. La riforma invece attribuisce l’elezione di tre giudici alla Camera (dove i deputati sono più di seicento) e di due giudici al nuovo Senato composto da sole cento persone. Il divario di potere tra le due Camere —e tra i loro componenti— è tanto evidente quanto ingiustificato: solo se il nuovo Senato fosse concepito quale organo di garanzia (com’era secondo alcune proposte) un simile potere potrebbe trovare giustificazione, ma è evidente che nella composizione stabilita dal progetto governativo è del tutto impensabile considerare i Senatori una ’garanzia’. Il ruolo decisivo delle segreterie dei partiti sulla loro elezione (sostanzialmente una nomina) di certo non lo consente e la funzione loro attribuita non può che apparire un espediente per mettere le mani in modo indiretto sulla Corte costituzionale. Vale a dire sulla composizione dell’organo che ha l’alto compito di garantire il rispetto della nostra Carta! Due giudici, a disposizione dei politici, possono spostare i delicati equilibri della Corte. In verità si tratta di una norma che la Camera aveva giustamente eliminato in un momento di lucida coscienza, in questi giorni ricomparsa al Senato come il terzo degli emendamenti proposti dal Governo per trovare l’accordo con la minoranza Pd. E questa, inspiegabilmente, ne sembra soddisfatta. è augurabile che una competenza dalle implicazioni tanto pericolose sparisca di nuovo quando il testo tornerà alla Camera. ![]() Il nodo politico di fondo —la rappresentatività democratica del parlamento se non addirittura la sorte del rpopolo sovrano’— emerge più chiaro guardando al complesso delle riforme, in particolare guardando la riforma del Senato e la nuova legge elettorale insieme. Una legge approvata con forzature procedimentali evidenti e senza un reale confronto, che distorce la volontà degli elettori attraverso l’attribuzione di un ingente premio, e così alterando l’esito del voto, può consentire ad una minoranza esigua di impadronirsi di tutte le istituzioni, comprese quelle di garanzia. Parlo di una minoranza esigua perché la soglia del 40% richiesta per ottenere il premio è solo un ingannevole schermo; se nessun partito la raggiunge, non avviene come disponeva la rlegge truffa’ del 1953, che nessuna rcoalizione’ (altra essenziale differenza) goda del premio e ciascuno abbia i seggi corrispondenti ai voti ottenuti. Con la legge attuale i due partiti più votati partecipano comunque al ballottaggio, qualunque percentuale abbiano raggiunto; uno dei due necessariamente supererà l’altro ottenendo il premio in seggi e il dominio su tutti, pur avendo un consenso elettorale bassissimo. Senza una soglia per partecipare al ballottaggio e senza possibilità di coalizzarsi, un solo partito prende tutto in nome della stabilità, della governabilità, della velocità del rdecidere’: ma la stabilità prodotta artificialmente da meccanismi elettorali creati per tacitare il dissenso e nascondere le fratture sociali serve solo a portarci fuori dalla democrazia costituzionale. Si annullano le voci, non le fratture, mentre è il divario tra le persone e tra le fasce sociali a mettere a rischio la stabilità del sistema politico; ed è questo divario che si dovrebbe colmare, come la Costituzione esige, attraverso la rsolidarietà’ se si vuole una stabilità che non sia fittizia. Tirando le somme: i cittadini non eleggono più il Senato; nell’elezione della Camera la loro volontà viene distorta ed ha scarsissimo peso; nelle Province abolite, che in realtà sopravvivono, abolito è solo il Consiglio provinciale, vale a dire l’organo elettivo! Dal processo riformatore in corso il popolo esce privo di voce, esce sconfitta la democrazia: nulla ”giustifica la sostituzione della definizione di democrazia come governo del popolo con una definizione dalla quale il popolo, come potere attivo, sia eliminato o sia mantenuto soltanto come fattore passivo in quanto è richiesta da parte sua l’approvazione di un leader, comunque espressa”. Sono parole di Hans Kelsen, grande giurista democratico del secolo scorso. Da poco le ho ricordate in altra sede; mi sembra di doverle, ancora una volta, ricordare. |
Fermiamo il suicidio assistito della nostra Costituzione Gustavo Zagrebelsky (da "Il Fatto Quotidiano" dell8.9.15) Il funzionamento della democrazia è cosa difficile, stretto tra l’inconcludenza e la forza. Chi crede che si tratti di una battaglia che si combatte una volta ogni cinque anni in occasione delle elezioni politiche e che, nell’intervallo, tutto ti è concesso perché sei il sVincitore”, si sbaglia di grosso ed è destinato a essere travolto, prima o poi, dal suo orgoglio, o dalla sua ingenuità, mal posti. La prima vittima dell’illusione trionfalistica è il Parlamento. Se pensiamo che si tratti soltanto di garantire l’azione di chi sha vinto le elezioni”, il Parlamento deve essere il supporto ubbidiente di costui o di costoro: deve essere un organo esecutore della volontà del governo. Altrimenti, è non solo inutile, ma anche controproducente. Le riforme in campo, infatti, sono tutte orientate all’umiliazione del Parlamento, nella sua prima funzione, la funzione rappresentativa. Che cosa significano le leggi elettorali, che prevedono la scelta dei candidati attraverso le ”liste bloccate” stilate direttamente dai capi dei partiti o attraverso la farsa delle cosiddette sprimarie”, se non l’umiliazione di quella funzione nazionale: trionfo dello spirito gregario o del mercato dei voti. Il prodotto degradato, se non avariato, è davanti agli occhi di tutti. Così, mentre dalle istituzioni ci si aspetterebbe ch’esse tirassero fuori da chi le occupa il meglio di loro stessi, o almeno non il peggio, di fatto avviene il contrario. Queste istituzioni inducono alla piaggeria, alla sottomissione, all’assenza di idee, alla disponibilità nei confronti dei potenti, alla vigliaccheria interessata o alla propria carriera o all’autorizzazione ad avere mano libera nei propri affari sul territorio di riferimento. Per essere eletti, queste sono le doti funzionali al partito nel quale ti arruoli. Non devi pensare di poter sfare politica”. Non è più il tempo: il tempo è esecutivo! Una prova evidente, e umiliante, dell’inanità parlamentare è la vicenda che ha agitato la vita politica negli ultimi due anni: la degradazione del Senato in Camera secondaria che dovrebbe avvenire col consenso dei Senatori. Si dice loro: siete un costo, cui non corrisponde nessun beneficio; siete un appesantimento dei processi decisionali, cui corrisponde non il miglioramento, ma il peggioramento della qualità della legislazione. Sì, risponde il Senato: è così. Finora siamo stati dei parassiti inutili e dannosi e siamo grati a chi ce ne ha resi consapevoli! Sopprimeteci! Vediamo più da vicino questo caso da manuale di morte pietosa o suicidio assistito nella vita costituzionale. A un osservatore non superficiale che non si fermi alla retorica esecutiva e sgovernabilitativa”, cioè ai costi (Senato gratis”, è stato detto) e alla velocità (una deliberazione per ogni legge, invece di due), l’esistenza di una ”Seconda Camera” risulta bene fondata su sragioni conservative”. Non conservative rispetto al passato, come fu al tempo delle Monarchie rappresentative, quando si pose la questione del bilanciamento delle tendenze anarcoidi e dissipatrici della Camera elettiva, propensa a causa della sua stessa natura a sperperare denaro e tradizioni per accattivarsi gli elettori. Allora ciò che si voleva conservare era il retaggio del passato. Oggi, di fronte alla catastrofe della società dello spreco, si tratterebbe dell’opposto, cioè di ragioni conservative di risorse e opportunità per il futuro, a garanzia delle generazioni a venire. Il Senato come concepito nella riforma moltiplica la dissipazione. Se ne vuole fare un’incongrua proiezione amministrativistica di secondo grado di enti locali, a loro volta affamati di risorse pubbliche. A questa prospettiva ”samministrativistica” se ne sarebbe potuta opporre una scostituzionalistica”. Nei Senati storici, le ragioni conservative corrispondevano alla nomina regia e alla durata vitalizia della carica: due soluzioni, oggi, evidentemente improponibili, ma facilmente sostituibili con l’elezione per una durata adeguata, superiore a quella ordinaria della Camera dei deputati, e con la regola tassativa della non rieleggibilità, come garanzia d’indipendenza da interessi particolari contingenti. A ciò si sarebbero potuti accompagnare requisiti d’esperienza, competenza e moralità particolarmente rigorosi, contenuti in regole di incandidabilità, incompatibilità e ineleggibilità misurate sulla natura dei compiti assegnati agli eletti. Fantasie. I riformatori costituzionali pensano ad altro: a eliminare un contrappeso politico, ad accelerare i tempi. Non riuscendo a eliminare, puramente e semplicemente, un organo, che così come è si ritiene inutile, anzi dannoso, si sono persi in un marchingegno la cui assurda complicazione strutturale —le modalità di estrazione dei nuovi ”senatori” dalle assemblee locali— e procedimentale —i rapporti con l’altra Camera— verrà alla luce quando se ne dovesse sperimentare il funzionamento. LAssociazione nazionale Giuristi Democratici (GD —giuristidemocratici.it, facebook.com/pages/Giuristi-Democratici/163116531018?v=wall) si è ricostituita formalmente nel 2004 dopo essere stata fondata nel secondo dopoguerra, tra gli altri, da Umberto Terracini, Bianca Guidetti Serra, Ugo Natoli, Romeo Ferrucci, Raimondo Ricci e Lelio Basso. Fanno parte dellAssociazione, orientata pertanto politicamente a Sinistra, avvocati, magistrati, funzionari pubblici, studiosi del diritto appartenenti al mondo dellUniversità e della ricerca. Il fine dellAssociazione è quello di promuovere un concreto impegno di tutti gli operatori del diritto a difesa e per lattuazione dei principi della Costituzione repubblicana, democratica, laica e antifascista, delle istanze progressive per lapplicazione della Convenzione dei Diritti umani, per il garantismo penale, per la realizzazione di una Costituzione europea autenticamente democratica, fondata sul ripudio della guerra, con particolare riguardo ai diritti dei lavoratori, dei meno abbienti e degli emarginati e ai diritti di Associazione, libertà di circolazione, riunione e manifestazione del pensiero. La quota di iscrizione annua allAssociazione è di 40 euro per avvocati, magistrati, funzionari, docenti, ricercatori; 10 euro per praticanti avvocati e studenti. È altresì possibile sostenere lattività dei G.D. devolvendo il 5 per mille in sede di dichiarazione dei redditi, allAssociazione Nazionale Giuristi Democratici, Codice Fiscale 91239960379, corrente in Padova, Vicolo Michelangelo Buonarroti, 2, int. 3. ![]() |
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