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La VOCE ANNO XIX N°1

settembre 2016

PAGINA e         - 29

VENTI DI GUERRA IN SIRIA E LIBIA: L’IMPERIALISMO NON DEMORDE

L’intervento russo iniziato nel settembre 2015 aveva segnato un punto di svolta nella drammatica guerra in Siria. Finalmente si era vista una luce in fondo al tunnel in cui il paese era stato spinto dalle spietate sanzioni, dal blocco economico-finanziario imposto dalle potenze della NATO, e dalla guerra indiretta scatenata, con l’uso strumentale di bande mercenarie, sia dai paesi occidentali che dalle potenze reazionarie locali (come la Turchia, l’Arabia Saudita ed il Qatar) tesa a rovesciare il governo legittimo del Presidente Assad.
A partire dal 2011-2012 nell’Est del paese hanno agito le bande jihadiste, poi raggruppatesi sotto la sigla dello Stato Islamico (o Daesh), sostenuto sotto banco da Arabia Saudita, Turchia, Qatar e all’inizio falsamente combattuto dagli USA, che anzi ne avevano favorito la nascita in funzione anti-Assad. Le bande dell’ISIS hanno in gran parte occupato le province di Raqqa e Deir-Es-Zor.
La provincia di Idlib nel Nord-Ovest è stata invece invasa da una coalizione di Al-Nusra (ramo siriano di Al-Queda), con Ahrar Al-Sham e altri gruppi minori, che si è data il nome di Esercito della Conquista (Jaish Al-Fatah), apertamente sostenuta dalla Turchia che faceva passare attraverso il confine rifornimenti e combattenti mercenari e fanatici provenienti da 90 paesi. La città di Aleppo, la più grande e ricca della Siria, era stata assediata dal 2012 e i jihadisti erano riusciti a penetrare in alcuni quartieri del centro.
La stessa capitale Damasco era bombardata con mortai dalle bande del Jaish Al-Islam, fedeli al Wahabismo saudita, la corrente più reazionaria dell’Islam, che erano riusciti ad infiltrarsi in alcuni sobborghi (Goutha occidentale ed orientale). Nel sud altre bande, in gran parte facenti capo ad Al-Nusra e ISIS, sostenute dalla Giordania ed Israele, agivano nelle province meridionali di Deraa, Quneitra e Sweida.
La controffensiva dell’esercito nazionale siriano, sostenuta dall’aviazione russa, aveva ottenuto importanti successi, come la riconquista della città storica di Palmyra (Tadmoor in arabo) e la liberazione di gran parte della zona intorno ad Aleppo, dove le bande che si erano infiltrate in alcuni quartieri della città, da cui bombardavano i quartieri “lealisti”, erano rimaste completamente circondate.
Ma invece di addivenire ad un accordo per un cessate il fuoco, che sembrava possibile, le varie potenze che hanno giurato di distruggere la Siria hanno rilanciato gli attacchi. Migliaia di mercenari potentemente armati sono affluiti dalla Turchia, attraverso la provincia di Idlib, unendosi ad Al-Nusra (che intanto ha cambiato nome in Failaq Al-Sham nel tentativo di far dimenticare di essere ufficialmente nell’elenco delle organizzazioni terroriste) ed attaccando Aleppo. Questa città martire, ormai priva di cibo, acqua, energia elettrica, è divenuta ancora una volta campo di battaglia, mentre la vergognosa propaganda di guerra dei mass media occidentali sfruttava la falsa immagine del bambino Omran per gettare al solito la colpa di tutti i presenti orrori sull’esercito di Assad e sui Russi.
Nel Nord le milizie curde, ormai divenute le truppe di terra di una coalizione diretta dagli USA, con la scusa di combattere l’ISIS, hanno “liberato” la città completamente araba di Manbij. Ma contemporaneamente i Curdi, scoprendo apertamente il loro doppio gioco, hanno attaccato la guarnigione dell’esercito siriano nell’importante città araba di Hassakeh. Gli aerei siriani non sono potuti intervenire perché esplicitamente minacciati di intervento dall’aviazione USA, cui i Curdi hanno concesso arbitrariamente l’uso di una base aerea su suolo siriano. E’ stata così creata di fatto una “No Fly Zone” nel Nord della Siria.
Chi scrive ha appoggiato in passato le giuste rivendicazioni del popolo curdo recandosi anche nel Kurdistan varie volte, ma queste rivendicazioni non possono giustificare il fatto di mettersi al servizio - come mercenari - di potenze imperialiste che intendono distruggere i paesi indipendenti del Vicino Oriente. L’avanzata curda ha provocato un nuovo disastro, quando le truppe turche, con l’aiuto di bande di mercenari Turkmeni e jihadisti, con la scusa di combattere Daesh e contemporaneamente di frenare l’avanzata USA-curda, hanno invaso la Siria occupando la città di frontiera di Jarabulus. Si sta quindi realizzando il vecchio sogno di Erdogan di creare una fascia cuscinetto nella Siria del Nord occupata dall’esercito turco. E’ auspicabile che i Russi, cui Erdogan ha cercato di riavvicinarsi dopo lo strano tentativo di “colpo di stato” subito fallito in Turchia, non si facciano turlupinare come fece l’ex-Presidente Medvedev nel 2011 nel caso dell’attacco della NATO alla Libia.
In quest’ultimo paese – sempre con la scusa di combattere l’ISIS - proseguono le illegali operazioni militari, più o meno nascoste, di USA e paesi UE (tra cui anche l’Italia), in realtà condotte allo scopo di rafforzare l’alleato “governo” Serraj di Tripoli, legato alla Fratellanza Musulmana, ed indebolire il governo laico di Tobruk, sostenuto dall’Egitto, che continua a non riconoscere Serraj e condanna tutti gli interventi militari stranieri.
D’altra parte proseguono su scala mondiale le grandi manovre contro chiunque cerchi di opporsi al predominio dell’imperialismo USA, del sub-imperialismo subordinato della UE, e dei loro alleati locali come l’orribile monarchia wahabita-saudita, che – da parte sua - continua a massacrare l’eroico popolo dello Yemen, che continua bravamente a resistere. Si moltiplicano le provocazioni alle frontiere europee della Russia, nei paesi baltici come in Crimea. Nell’ambito della strategia “Pivot to Asia”, gli USA rafforzano le loro guarnigioni e flotte nel Pacifico che circondano la Cina; cercano di tirare dalla loro parte, con pressioni di vario genere, anche paesi come il Vietnam (quanto mutato dai tempi eroici della resistenza!) ed il Myanmar (ex-Birmania), quest’ultimo tradizionalmente in buoni rapporti con la Cina. I Cinesi non si lasciano intimorire e stringono un accordo militare con il governo Assad, carico di promesse.
Ma che succederà quando a Novembre dovesse diventare prima Presidente USA donna la guerrafondaia Hillary Clinton (quella che chiedeva l’attacco militare alla Siria, appoggiava il colpo di stato di Piazza Maidan in Ucraina, e metaforicamente ballava sul cadavere di Gheddafi sghignazzando con le sprezzanti parole:”I came, I saw, He died”)? Ancora oggi in settori della pseudo-sinistra italiana c’è chi tifa per la “Killary”, perchè ha orrore del folkloristico Trump, accusato tra l’altro di voler dialogare con Putin e di aver sostenuto l’ultimo governo legale dell’Ucraina spazzato dal colpo di stato. Per fortuna Siriani, Iracheni, Libici, Yemeniti, Libanesi continuano a resistere e Russia, Cina, Iran vigilano. La partita è aperta.

Roma 28 agosto 2016 - Vincenzo Brandi

La Germania si prepara all'Apocalisse in Europa



PTV news 22 agosto 2016 Continua la ridislocazione strategica della Turchia



PTV news 25 Agosto 2016 – Siria: il doppio gioco di Erdogan, la debolezza di Obama



Siria, le alleanze improbabili e la «questione kurda»

Siria. Oggi i campi sono mischiati e l’obiettivo è uno solo, sul quale sono concordi tutti: bloccare i kurdi siriani del Rojava portatori di un’idea di nazione democratica federalista, socialista e femminista. Unico ambito associabile a qualcosa di sano rispetto alla palude ideologica e politica che si muove intorno al loro destino

Simone Pieranni - Edizione del 27.08.2016 - Pubblicato 26.8.2016, 23:59

Nello spietato gioco di alleanze e cambi di campo, ribaltoni e inversioni in atto in Siria, l’incontro tra il ministro degli esteri russo Lavrov e il segretario di stato americano Kerry rappresenta un momento importante. Mentre scriviamo l’incontro è in corso a Ginevra, cerimoniere Staffan de Mistura.
È probabile che l’unico risultato che verrà raggiunto, ufficialmente, sarà il cessate il fuoco di 48 ore per consentire un respiro ad Aleppo, ma quello che conta di più sarà il risultato del dialogo riservato tra Usa-Russia che vedremo specchiato negli eventi dei prossimi giorni. La Siria è ormai un quadro che comincia a ridelinearsi benché stupiscano e non poco i recenti eventi, avvenuti in archi temporali incredibilmente brevi rispetto ai consueti tempi della Storia cui siamo abituati.

Quello che solitamente è accaduto su balestre temporali ampie, ormai accade nel volgere di pochi giorni. Basti pensare alla Russia e alla Turchia, ai ferri corti dopo l’abbattimento del jet russo da parte di Ankara e ora incredibilmente vicini. Certo, si dirà, tanto la Russia quanto gli Usa, nei confronti di Erdogan, è presumibile stiano prendendo tempo, ma nell’ambito delle politiche internazionali quanto accade è chiaro. Se prima le «squadre» potevano essere divise in due fronti, oggi non è più così. Prima c’erano Assad, Putin e l’Iran da una parte, Usa, Turchia dall’altra, con Ankara a giocare un ruolo ambiguo rispetto all’Isis e Washington a rimestare nel torbido con i ribelli (lasciando da parte per un attimo la genesi dell’Isis, la Libia, l’Iraq, eccetera).

Oggi i campi sono mischiati e l’obiettivo è uno solo, sul quale sono concordi tutti: bloccare i kurdi siriani del Rojava portatori di un’idea di nazione democratica federalista, socialista e femminista.
Unico ambito associabile a qualcosa di sano rispetto alla palude ideologica e politica che si muove intorno al loro destino. E il «gioco» turco porta con sé tutti gli attori che preferiscono non affrontare la questione kurda e che anzi si ritrovano contro i kurdi per evitare di fronteggiare problematiche interne legate a minoranze. Ma la questione kurda non può essere rimandata e gli Usa si stanno prestando a un «giro della storia» molto rischioso.

La vicinanza turca con la Russia è stata la molla. Putin è stato uno stratega impressionante: con un semplice incontro ha ribaltato il tavolo portando Ankara ad applaudire l’arcinemico Assad per i bombardamenti contro i kurdi. Ha portato gli Usa a sconfessare l’appoggio ai kurdi e perfino l’Iran a unirsi alla compagnia.
Queste dinamiche confermano le sabbie mobili di analisi che prediligono la geopolitica come sola guida di riflessione sull’esistente. Affidarsi ora a un leader ora a un altro, porta a dover compiere giravolte assurde per sostenere ora l’uno ora l’altro. Perdendo di vista quello che dovrebbe costituire l’interesse principale, i conflitti sociali dai quali possono nascere proposte politiche diverse da quelle oligarchiche tanto di moda.

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