La VOCE | COREA | CUBA | JUGOSLAVIA | PALESTINA | RUSSIA | SCIENZA | ARTE |
Stampa pagina |
Stampa inserto |
La VOCE 2010 |
P R E C E D E N T E | S U C C E S S I V A |
La VOCE ANNO XXIII N°2 | ottobre 2020 | PAGINA d - 28 |
Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte. |
segue da pag.27: covid-19 in palestina: annessione nella valle del giordano.
si dà il caso che in base al diritto internazionale questa politica sia illegale e che sia stata ampiamente condannata dalla comunità internazionale.
nell’ambito della serie di puntate sul covid-19 in palestina ci siamo recati nella valle del giordano per vedere com’è lì la vita per i palestinesi mentre combattono due battaglie: una contro il coronavirus e una contro l’annessione.
mentre attraversiamo la valle del giordano è possibile notare decine di gruppi di piccoli villaggi e accampamenti.
molti palestinesi qui sono in realtà beduini e comunità di pastori che dipendono per il loro stile di vita dall’agricoltura. ma a causa dei piani di annessione di israele sono minacciati di sfollamento forzato, minaccia che affermano si sia effettivamente accentuata durante il periodo della pandemia di coronavirus.
“la pandemia da coronavirus è ovunque nel mondo ma nelle aree palestinesi, in particolare nella valle del giordano abbiamo due pandemie: la pandemia dell’occupazione [israeliana] e poi il coronavirus”, dice a mondoweiss motaz bisharat, un attivista palestinese che abita nel nord della valle del giordano.
“in quest’area l’occupazione – afferma – è per noi persino peggiore della pandemia da coronavirus. le forze di occupazione hanno approfittato della pandemia da coronavirus per impossessarsi di altre porzioni del territorio della valle del giordano”.
secondo bisharat durante l’epidemia da coronavirus israele ha confiscato nella valle del giordano settentrionale oltre 1800 ettari di terra di proprietà palestinese e l’ha posta sotto il controllo dello stato.
abdelrahim abdallah, abitante di al-hadidiya, un piccolo borgo nella valle del giordano settentrionale, è uno delle centinaia di palestinesi della zona a cui nel corso della pandemia da coronavirus è stata confiscata la terra e che hanno subito la minaccia di demolizione delle loro case.
“l’assistenza sanitaria è un diritto dell’uomo. il governo israeliano dovrebbe avere un po’ di umanità a ragione di questa emergenza e della pandemia che ha attaccato il mondo intero”, afferma abdallah a mondoweiss dall’interno della sua casa – una piccola tenda di incerata appoggiata su una lastra di cemento.
“invece hanno accentuato i loro attacchi e le pressioni su di noi: raid notturni, arresti, divieti di pascolo e attacchi ai terreni agricoli”, aggiunge abdallah. “questo è ciò che stanno facendo le forze di occupazione.”
dall’inizio della pandemia abdallah e suo figlio, insieme ad altri uomini del villaggio, sono stati arrestati in varie occasioni dalle forze israeliane.
abdallah afferma che in una circostanza le forze israeliane lo hanno accusato di “aver rubato l’acqua” da una sorgente naturale posta nel territorio palestinese, ma sottratta dai coloni israeliani durante la pandemia.
“all’una del mattino sono arrivati più di 100 soldati e ci siamo svegliati con loro in piedi davanti a noi”, afferma. “ci hanno arrestati e ci hanno ammanettati, ci hanno coperto gli occhi e ci hanno portato in una base militare a pochi chilometri di distanza”.
“ci hanno tenuti lì dall’una di notte alle nove – racconta abdallah – senz’ acqua, senza liberarci le mani e senza nemmeno permetterci di usare il bagno”.
oltre ad affrontare le aggressioni quotidiane da parte dei militari israeliani, le comunità palestinesi della valle del giordano vivono senza avere accesso ai beni di prima necessità come l’elettricità, l’acqua corrente e all’assistenza sanitaria.
l’ospedale o la clinica più vicini dove fare il test per covid-19 si trova a circa 25 chilometri da al-hadidiya e per arrivarci si impiegano 30 minuti in auto.
anche se i residenti potessero avere la disponibilità di un veicolo privato dovrebbero percorrere strade non asfaltate e superare lungo il percorso una serie di posti di blocco e insediamenti militari israeliani.
“per tutta la nostra esistenza non abbiamo certo avuto una vita decente perché l’occupazione ci ha negato tutto ciò di cui abbiamo bisogno per vivere”, dice abdallah.
“l’unica cosa che non possono negarci è l’aria che respiriamo. se potessero negarcela, lo farebbero”.
motaz bisharat sottolinea il fatto che “la quarta convenzione di ginevra prevede che lo stato occupante si assuma la responsabilità dell’area occupata”.
“dovrebbero fornire assistenza sanitaria, istruzione, acqua e tutto il resto“, afferma. “ma ciononostante l’occupazione non offre assolutamente nulla”.
ad agosto israele ha raggiunto un accordo con gli emirati arabi uniti, il che ha reso gli emirati il terzo paese arabo a normalizzare le relazioni con israele.
come parte dell’accordo gli emirati arabi uniti hanno rivendicato la responsabilità di aver fermato l’annessione. ma i palestinesi della valle del giordano affermano che nella realtà l’annessione è in corso da anni, specialmente durante la pandemia da coronavirus, ed è una politica che israele probabilmente non smetterà mai di cercare di applicare.
“il presupposto secondo cui gli emirati arabi uniti avrebbero stipulato questo accordo con israele per fermare l’annessione è una totale assurdità“, sostiene bisharat. “qualsiasi civile, qualsiasi leader, qualsiasi politico nel mondo che afferma che l’occupazione ha fermato l’annessione sta delirando“.
“le forze di occupazione hanno fatto l’opposto. hanno accentuato gli attacchi e hanno scoperto che il coronavirus rappresenta la migliore occasione per portare a termine il loro piano di annessione sul campo”.
“il nostro messaggio al mondo, alle persone libere del mondo, è di mettere il loro paese al posto della palestina”, dice abdallah. “accetteresti che i tuoi figli vivano come vivono i bambini palestinesi? accetteresti di perdere i tuoi diritti come i palestinesi, che non hanno (più) diritti?”
perché i leader arabi si inchinano improvvisamente all’opportunità di normalizzare i rapporti con israele
miko peled 17 settembre 2020 – mintpress news - (traduzione dall’inglese di cristiana cavagna).
i leader arabi capiscono che i rapporti con israele forniscono l’accesso all’impero usa e a tutto ciò che ne deriva, compresi gli agognati armamenti statunitensi ed altri vantaggi come la cooperazione economica e per la sicurezza.
mentre scrivo queste parole i ministri degli esteri degli emirati arabi uniti e del bahrein sono a washington per firmare accordi di normalizzazione dei rapporti tra i loro paesi e lo stato di israele. mentre gli stati uniti ed israele sono rappresentati dal presidente donald trump e dal primo ministro benjamin.
netanyahu, gli stati arabi hanno inviato alla cerimonia per la firma i loro ministri degli esteri in rappresentanza dei loro paesi. ciò potrebbe avere a che fare meno con il protocollo quanto piuttosto con il fatto che sia trump che netanyahu stanno lottando per la propria vita politica e per loro questa è stata un’esibizione di pubbliche relazioni estremamente necessaria.
lo spettacolo odierno appare ben lontano dalla posizione risoluta, di principio e coraggiosa presentata dai leader arabi a kartoum quasi esattamente 53 anni fa. appena dopo l’attacco israeliano alle terre arabe nel 1967, mentre le canne dei fucili erano ancora fumanti, nella capitale sudanese kartoum fu convocata una riunione dei capi degli stati arabi. questo incontro produsse una coraggiosa risoluzione che affermava il rifiuto del riconoscimento, di negoziati e della pace con israele. gli eserciti arabi dell’egitto, il più grande degli stati arabi, della siria e della giordania vennero completamente distrutti, circa 18.000 soldati arabi uccisi e centinaia di migliaia di civili restarono senza casa, eppure i leader degli stati arabi furono fermi nel dire “no” al potente aggressore, israele.
la risoluzione degli stati arabi di respingere il brutale regime di apartheid israeliano fu accettata nell’agosto 1967 al summit della lega araba, appena due mesi dopo che israele aveva decimato gli eserciti di tre stati arabi ed aveva occupato con la violenza le alture del golan siriano, la penisola del sinai egiziana ed aveva completato la conquista della palestina occupando la cisgiordania, gerusalemme est e la striscia di gaza.
la risoluzione, che in seguito venne conosciuta come quella dei “tre no”, viene tuttora usata dalla propaganda sionista per dimostrare la mancanza di volontà degli stati arabi di fare la pace con israele e riconoscere il cosiddetto stato ebraico. tuttavia, alla luce del mortale attacco israeliano a questi paesi, il loro rifiuto di capitolare fu eroico. ciò che invece è deplorevole è il successo del movimento sionista nel ribaltare l’impegno arabo per la palestina. passo dopo passo, a partire dallo stato più grande, l’egitto, e poi la giordania, ed ora gli stati del golfo e persino il sudan, i regimi arabi sono andati “normalizzando” i rapporti con israele.
accesso all’impero.
se si potesse solo per un momento mettersi nei panni del capo di uno stato arabo, cosa si proverebbe? si vedrebbe che i paesi arabi che erano determinati nell’appoggiare la causa palestinese sono ora distrutti. a partire dall’iraq, lo yemen, la libia e la siria. la punizione di quelli che non hanno voluto arrendersi è stata dura. a parte c’è l’iran, che mentre per ora è al riparo da un attacco militare totale, soprattutto perché gli usa ed israele non sono in grado di affrontare di petto le forze iraniane, sta soffrendo molto a causa di dure sanzioni.
i rapporti con israele danno accesso agli agognati armamenti di fabbricazione usa e ad altri vantaggi, come la cooperazione economica e per la sicurezza. che scelta potrebbe essere fatta nei panni di leader di uno stato arabo? i commentatori della cnn hanno ripetutamente affermato che i leader degli eau e del bahrein, e forse di altri stati arabi che presto normalizzeranno i rapporti con israele, hanno deciso di abbandonare la causa palestinese e di concentrarsi su altre questioni come la cooperazione economica e il turismo, e porre le necessità e sicuramente il futuro dei propri paesi al di sopra della questione palestinese.
e’ facile criticare gli stati arabi per aver voltato le spalle ai loro fratelli e sorelle palestinesi. tuttavia paesi più grandi ed influenti non si comportano diversamente. russia, unione europea, cina e india fanno una quantità di affari con israele e si sono da tempo scordati dei palestinesi. israele è riuscito a cancellare la causa palestinese dalla scena mondiale. a prescindere da quanto frequenti siano gli attacchi israeliani contro gaza, o da quanto siano feroci, a prescindere da quanti palestinesi siano detenuti nelle carceri israeliane e da quanto drammatiche siano le condizioni di vita dei palestinesi, israele è riuscito a far voltare il mondo dall’altra parte.
l’opposizione.
ci sono state informazioni circa una resistenza popolare in bahrein da parte di gruppi che si oppongono alla normalizzazione dei rapporti con israele e giustamente la considerano un tradimento del popolo palestinese. e’ probabile che queste voci verranno velocemente messe a tacere dal governo del bahrein.
inoltre fonti del governo del kuwait hanno informato che “la posizione del kuwait nei confronti di israele non è cambiata dopo il suo accordo con gli emirati arabi uniti”. dirigenti del kuwait hanno anche negato ad aerei israeliani il diritto di volo nello spazio aereo del paese.
il sudan
i tentativi di israele di costruire alleanze vanno oltre la penisola arabica e si spingono anche in africa. il primo ministro sudanese abdalla hamdokmet ha recentemente incontrato il segretario di stato usa mike pompeo, che ha visitato il sudan dopo un viaggio per incontrare dirigenti israeliani a gerusalemme. israele è stata la prima tappa di pompeo in un tour ideato per convincere ulteriori paesi arabi a normalizzare i legami con lo stato sionista. inoltre ci sono conferme che la visita a kartoum del segretario di stato usa era finalizzata a discutere i rapporti tra sudan ed israele.
il primo ministro sudanese ha detto a pompeo che il suo governo “non aveva mandato per normalizzare i rapporti con israele” ed ha aggiunto che la cancellazione del sudan dall’elenco degli stati che sponsorizzano il terrorismo non dovrebbe essere correlata alla normalizzazione dei rapporti con israele. chiaramente la cancellazione da quell’elenco è la carota che pompeo sta offrendo al sudan.
dopo l’incontro il dipartimento di stato usa ha affermato in una dichiarazione che pompeo e hamdok hanno discusso di “positivi sviluppi nei rapporti tra sudan ed israele”, cosa che non dovrebbe sorprendere. e’ difficile immaginare che la leadership sudanese possa osare rifiutare un’offerta degli usa, sicuramente non una attraente come la cancellazione dell’etichetta di stato sponsor del terrorismo, che aprirebbe le porte e consentirebbe la crescita economica della nazione africana.
ora torniamo un attimo indietro e presumiamo di essere il capo di una nazione africana o araba. la scelta è tra capitolare e accettare rapporti con il regime di apartheid israeliano, il che aprirebbe nuove possibilità economiche, e mantenere una posizione ferma e di principio, e subire devastazioni per una guerra o soffocare lentamente a causa di sanzioni.
miko peled è uno scrittore e attivista per i diritti umani, nato a gerusalemme. e’ autore di “il figlio del generale. viaggio di un israeliano in palestina”, e “ingiustizia, la storia dei cinque della fondazione terra santa.”
le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di mintpress news.
children of shatila (mai masri, 1998).
out of sync.
925 iscritti.
children of shatila v.o. sott. it. 47'.
(id., libano, 1998, col.)
regia: mai masri.
la regista racconta la storia dell'esilio palestinese attraverso le esperienze personali di due bambini del campo, tristemente famoso, di shatila. il film cattura aspetti delle loro vite ed esprime la prospettiva di una nuova generazione palestinese, attraverso ciò che i bambini stessi hanno girato con la videocamera loro affidata.
Segue da Pag.27: COVID-19 in Palestina: annessione nella Valle del Giordano
Si dà il caso che in base al diritto internazionale questa politica sia illegale e che sia stata ampiamente condannata dalla comunità internazionale. Nell’ambito della serie di puntate sul COVID-19 in Palestina ci siamo recati nella Valle del Giordano per vedere com’è lì la vita per i palestinesi mentre combattono due battaglie: una contro il coronavirus e una contro l’annessione. ![]() Molti palestinesi qui sono in realtà beduini e comunità di pastori che dipendono per il loro stile di vita dall’agricoltura. Ma a causa dei piani di annessione di Israele sono minacciati di sfollamento forzato, minaccia che affermano si sia effettivamente accentuata durante il periodo della pandemia di coronavirus. “La pandemia da coronavirus è ovunque nel mondo ma nelle aree palestinesi, in particolare nella Valle del Giordano abbiamo due pandemie: la pandemia dell’occupazione [israeliana] e poi il coronavirus”, dice a Mondoweiss Motaz Bisharat, un attivista palestinese che abita nel nord della Valle del Giordano. “In quest’area l’occupazione – afferma – è per noi persino peggiore della pandemia da coronavirus. Le forze di occupazione hanno approfittato della pandemia da coronavirus per impossessarsi di altre porzioni del territorio della Valle del Giordano”. Secondo Bisharat durante l’epidemia da coronavirus Israele ha confiscato nella valle del Giordano settentrionale oltre 1800 ettari di terra di proprietà palestinese e l’ha posta sotto il controllo dello Stato. Abdelrahim Abdallah, abitante di al-Hadidiya, un piccolo borgo nella valle del Giordano settentrionale, è uno delle centinaia di palestinesi della zona a cui nel corso della pandemia da coronavirus è stata confiscata la terra e che hanno subito la minaccia di demolizione delle loro case. “L’assistenza sanitaria è un diritto dell’uomo. Il governo israeliano dovrebbe avere un po’ di umanità a ragione di questa emergenza e della pandemia che ha attaccato il mondo intero”, afferma Abdallah a Mondoweiss dall’interno della sua casa – una piccola tenda di incerata appoggiata su una lastra di cemento. “Invece hanno accentuato i loro attacchi e le pressioni su di noi: raid notturni, arresti, divieti di pascolo e attacchi ai terreni agricoli”, aggiunge Abdallah. “Questo è ciò che stanno facendo le forze di occupazione.” Dall’inizio della pandemia Abdallah e suo figlio, insieme ad altri uomini del villaggio, sono stati arrestati in varie occasioni dalle forze israeliane. Abdallah afferma che in una circostanza le forze israeliane lo hanno accusato di “aver rubato l’acqua” da una sorgente naturale posta nel territorio palestinese, ma sottratta dai coloni israeliani durante la pandemia. “All’una del mattino sono arrivati più di 100 soldati e ci siamo svegliati con loro in piedi davanti a noi”, afferma. “Ci hanno arrestati e ci hanno ammanettati, ci hanno coperto gli occhi e ci hanno portato in una base militare a pochi chilometri di distanza”. “Ci hanno tenuti lì dall’una di notte alle nove – racconta Abdallah – senz’ acqua, senza liberarci le mani e senza nemmeno permetterci di usare il bagno”. Oltre ad affrontare le aggressioni quotidiane da parte dei militari israeliani, le comunità palestinesi della Valle del Giordano vivono senza avere accesso ai beni di prima necessità come l’elettricità, l’acqua corrente e all’assistenza sanitaria. L’ospedale o la clinica più vicini dove fare il test per COVID-19 si trova a circa 25 chilometri da al-Hadidiya e per arrivarci si impiegano 30 minuti in auto. Anche se i residenti potessero avere la disponibilità di un veicolo privato dovrebbero percorrere strade non asfaltate e superare lungo il percorso una serie di posti di blocco e insediamenti militari israeliani. “Per tutta la nostra esistenza non abbiamo certo avuto una vita decente perché l’occupazione ci ha negato tutto ciò di cui abbiamo bisogno per vivere”, dice Abdallah. “L’unica cosa che non possono negarci è l’aria che respiriamo. Se potessero negarcela, lo farebbero”. Motaz Bisharat sottolinea il fatto che “la Quarta Convenzione di Ginevra prevede che lo Stato occupante si assuma la responsabilità dell’area occupata”. “Dovrebbero fornire assistenza sanitaria, istruzione, acqua e tutto il resto“, afferma. “Ma ciononostante l’occupazione non offre assolutamente nulla”. Ad agosto Israele ha raggiunto un accordo con gli Emirati Arabi Uniti, il che ha reso gli Emirati il terzo Paese arabo a normalizzare le relazioni con Israele. Come parte dell’accordo gli Emirati Arabi Uniti hanno rivendicato la responsabilità di aver fermato l’annessione. Ma i palestinesi della Valle del Giordano affermano che nella realtà l’annessione è in corso da anni, specialmente durante la pandemia da coronavirus, ed è una politica che Israele probabilmente non smetterà mai di cercare di applicare. “Il presupposto secondo cui gli Emirati Arabi Uniti avrebbero stipulato questo accordo con Israele per fermare l’annessione è una totale assurdità“, sostiene Bisharat. “Qualsiasi civile, qualsiasi leader, qualsiasi politico nel mondo che afferma che l’occupazione ha fermato l’annessione sta delirando“. “Le forze di occupazione hanno fatto l’opposto. Hanno accentuato gli attacchi e hanno scoperto che il coronavirus rappresenta la migliore occasione per portare a termine il loro piano di annessione sul campo”. “Il nostro messaggio al mondo, alle persone libere del mondo, è di mettere il loro Paese al posto della Palestina”, dice Abdallah. “Accetteresti che i tuoi figli vivano come vivono i bambini palestinesi? Accetteresti di perdere i tuoi diritti come i palestinesi, che non hanno (più) diritti?” Perché i leader arabi si inchinano improvvisamente all’opportunità di normalizzare i rapporti con Israele![]() I leader arabi capiscono che i rapporti con Israele forniscono l’accesso all’impero USA e a tutto ciò che ne deriva, compresi gli agognati armamenti statunitensi ed altri vantaggi come la cooperazione economica e per la sicurezza. Mentre scrivo queste parole i Ministri degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti e del Bahrein sono a Washington per firmare accordi di normalizzazione dei rapporti tra i loro Paesi e lo Stato di Israele. Mentre gli Stati Uniti ed Israele sono rappresentati dal Presidente Donald Trump e dal Primo Ministro Benjamin |
Netanyahu, gli Stati arabi hanno inviato alla cerimonia per la firma i loro ministri degli esteri in rappresentanza dei loro Paesi. Ciò potrebbe avere a che fare meno con il protocollo quanto piuttosto con il fatto che sia Trump che Netanyahu stanno lottando per la propria vita politica e per loro questa è stata un’esibizione di pubbliche relazioni estremamente necessaria.
Lo spettacolo odierno appare ben lontano dalla posizione risoluta, di principio e coraggiosa presentata dai leader arabi a Kartoum quasi esattamente 53 anni fa. Appena dopo l’attacco israeliano alle terre arabe nel 1967, mentre le canne dei fucili erano ancora fumanti, nella capitale sudanese Kartoum fu convocata una riunione dei capi degli Stati arabi. Questo incontro produsse una coraggiosa risoluzione che affermava il rifiuto del riconoscimento, di negoziati e della pace con Israele. Gli eserciti arabi dell’Egitto, il più grande degli Stati arabi, della Siria e della Giordania vennero completamente distrutti, circa 18.000 soldati arabi uccisi e centinaia di migliaia di civili restarono senza casa, eppure i leader degli Stati arabi furono fermi nel dire “no” al potente aggressore, Israele. La risoluzione degli Stati arabi di respingere il brutale regime di apartheid israeliano fu accettata nell’agosto 1967 al summit della Lega Araba, appena due mesi dopo che Israele aveva decimato gli eserciti di tre Stati arabi ed aveva occupato con la violenza le alture del Golan siriano, la penisola del Sinai egiziana ed aveva completato la conquista della Palestina occupando la Cisgiordania, Gerusalemme est e la Striscia di Gaza. La risoluzione, che in seguito venne conosciuta come quella dei “tre no”, viene tuttora usata dalla propaganda sionista per dimostrare la mancanza di volontà degli Stati arabi di fare la pace con Israele e riconoscere il cosiddetto Stato ebraico. Tuttavia, alla luce del mortale attacco israeliano a questi Paesi, il loro rifiuto di capitolare fu eroico. Ciò che invece è deplorevole è il successo del movimento sionista nel ribaltare l’impegno arabo per la Palestina. Passo dopo passo, a partire dallo Stato più grande, l’Egitto, e poi la Giordania, ed ora gli Stati del Golfo e persino il Sudan, i regimi arabi sono andati “normalizzando” i rapporti con Israele. Accesso all’impero Se si potesse solo per un momento mettersi nei panni del capo di uno Stato arabo, cosa si proverebbe? Si vedrebbe che i Paesi arabi che erano determinati nell’appoggiare la causa palestinese sono ora distrutti. A partire dall’Iraq, lo Yemen, la Libia e la Siria. La punizione di quelli che non hanno voluto arrendersi è stata dura. A parte c’è l’Iran, che mentre per ora è al riparo da un attacco militare totale, soprattutto perché gli USA ed Israele non sono in grado di affrontare di petto le forze iraniane, sta soffrendo molto a causa di dure sanzioni. I rapporti con Israele danno accesso agli agognati armamenti di fabbricazione USA e ad altri vantaggi, come la cooperazione economica e per la sicurezza. Che scelta potrebbe essere fatta nei panni di leader di uno Stato Arabo? I commentatori della CNN hanno ripetutamente affermato che i leader degli EAU e del Bahrein, e forse di altri Stati arabi che presto normalizzeranno i rapporti con Israele, hanno deciso di abbandonare la causa palestinese e di concentrarsi su altre questioni come la cooperazione economica e il turismo, e porre le necessità e sicuramente il futuro dei propri Paesi al di sopra della questione palestinese. E’ facile criticare gli Stati arabi per aver voltato le spalle ai loro fratelli e sorelle palestinesi. Tuttavia Paesi più grandi ed influenti non si comportano diversamente. Russia, Unione Europea, Cina e India fanno una quantità di affari con Israele e si sono da tempo scordati dei palestinesi. Israele è riuscito a cancellare la causa palestinese dalla scena mondiale. A prescindere da quanto frequenti siano gli attacchi israeliani contro Gaza, o da quanto siano feroci, a prescindere da quanti palestinesi siano detenuti nelle carceri israeliane e da quanto drammatiche siano le condizioni di vita dei palestinesi, Israele è riuscito a far voltare il mondo dall’altra parte. L’opposizione Ci sono state informazioni circa una resistenza popolare in Bahrein da parte di gruppi che si oppongono alla normalizzazione dei rapporti con Israele e giustamente la considerano un tradimento del popolo palestinese. E’ probabile che queste voci verranno velocemente messe a tacere dal governo del Bahrein. Inoltre fonti del governo del Kuwait hanno informato che “la posizione del Kuwait nei confronti di Israele non è cambiata dopo il suo accordo con gli Emirati Arabi Uniti”. Dirigenti del Kuwait hanno anche negato ad aerei israeliani il diritto di volo nello spazio aereo del Paese. Il Sudan I tentativi di Israele di costruire alleanze vanno oltre la penisola arabica e si spingono anche in Africa. Il Primo Ministro sudanese Abdalla Hamdokmet ha recentemente incontrato il Segretario di Stato USA Mike Pompeo, che ha visitato il Sudan dopo un viaggio per incontrare dirigenti israeliani a Gerusalemme. Israele è stata la prima tappa di Pompeo in un tour ideato per convincere ulteriori Paesi arabi a normalizzare i legami con lo Stato sionista. Inoltre ci sono conferme che la visita a Kartoum del Segretario di Stato USA era finalizzata a discutere i rapporti tra Sudan ed Israele. Il Primo Ministro sudanese ha detto a Pompeo che il suo governo “non aveva mandato per normalizzare i rapporti con Israele” ed ha aggiunto che la cancellazione del Sudan dall’elenco degli Stati che sponsorizzano il terrorismo non dovrebbe essere correlata alla normalizzazione dei rapporti con Israele. Chiaramente la cancellazione da quell’elenco è la carota che Pompeo sta offrendo al Sudan. Dopo l’incontro il Dipartimento di Stato USA ha affermato in una dichiarazione che Pompeo e Hamdok hanno discusso di “positivi sviluppi nei rapporti tra Sudan ed Israele”, cosa che non dovrebbe sorprendere. E’ difficile immaginare che la leadership sudanese possa osare rifiutare un’offerta degli USA, sicuramente non una attraente come la cancellazione dell’etichetta di Stato sponsor del terrorismo, che aprirebbe le porte e consentirebbe la crescita economica della Nazione africana. Ora torniamo un attimo indietro e presumiamo di essere il capo di una Nazione africana o araba. La scelta è tra capitolare e accettare rapporti con il regime di apartheid israeliano, il che aprirebbe nuove possibilità economiche, e mantenere una posizione ferma e di principio, e subire devastazioni per una guerra o soffocare lentamente a causa di sanzioni. Miko Peled è uno scrittore e attivista per i diritti umani, nato a Gerusalemme. E’ autore di “Il figlio del generale. Viaggio di un israeliano in Palestina”, e “Ingiustizia, la storia dei cinque della Fondazione Terra Santa.” Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di MintPress News. Children of Shatila (Mai Masri, 1998)![]() 925 iscritti CHILDREN OF SHATILA v.o. sott. it. 47' (Id., Libano, 1998, col.) Regia: Mai Masri La regista racconta la storia dell'esilio palestinese attraverso le esperienze personali di due bambini del campo, tristemente famoso, di Shatila. Il film cattura aspetti delle loro vite ed esprime la prospettiva di una nuova generazione palestinese, attraverso ciò che i bambini stessi hanno girato con la videocamera loro affidata. |
P R E C E D E N T E | S U C C E S S I V A |
Stampa pagina | Stampa inserto | La VOCE 2010 |
La VOCE | COREA | CUBA | JUGOSLAVIA | PALESTINA | RUSSIA | SCIENZA | ARTE |