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La VOCE 2010 |
P R E C E D E N T E | S U C C E S S I V A |
La VOCE ANNO XXIII N°2 | ottobre 2020 | PAGINA 2 - 22 |
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segue da pag.21: foiba rossa. è questa l'immagine della violenza alle donne che si vuole dare a scuola?
belliniana. l'assegnazione del nome avviene parallelamente all'associazione, suggerita dal padre, tra norma e una giovane pianta che la bambina avrà il compito di curare e far crescere. facile simbolo dell'attaccamento alla terra e alla "patria" istriano-italiana, la pianta riemergerà nella narrazione di foiba rossa a costellare il percorso esistenziale di norma: comparirà rigogliosa in occasione dei ritorni a casa negli anni trascorsi dalla ragazza come studentessa fuori sede, si spezzerà improvvisamente in occasione del suo stupro.
il binomio donna - terra che l'accostamento tra norma e la pianta supporta risulta altamente problematico se si pensa a come, nella produzione culturale e scientifica occidentale, l'associazione tra natura e femminilità sia stata funzionale alla simbolizzazione della donna come 'altro' rispetto al concetto di civiltà, tradizionalmente incarnato dal maschile, e a come la stessa associazione abbia contribuito a relegare il femminile nella sfera dell'istintuale, dell'irrazionale, dell'occulto (woman and nature di susan griffin è solo uno dei capisaldi del femminismo su questo tema). la problematicità del nesso persiste anche nel caso si associno alla terra caratteristiche positive, le quali generalmente coincidono con la capacità di curare e di nutrire, entrambe qualità che riconducono al lavoro di cura e riproduttivo affidato alla donna dalla società patriarcale. non stupirà quindi la scelta degli autori di foiba rossa di disegnare norma bambina con le fattezze di una donna adulta che, mentre gioca con la sorella, contempla felicemente il matrimonio in abito bianco come suo destino.
la scena della presunta violenza sessuale subita da norma, con cui il testo raggiunge l'apice della tensione narrativa e si avvia verso la conclusione, merita poi una riflessione a parte, la quale tuttavia non può che intersecarsi con le considerazioni fatte finora sulla rappresentazione di genere proposta nell'opera. dopo essere stata rapita da membri delle milizie titine in una rappresaglia mirata a rintracciare il padre, la protagonista viene disegnata inchiodata ad un tavolo e semi-spogliata, in vista dell'imminente stupro. una pagina nera con la scritta "oggi ci prendiamo tutto quello che vogliamo perché, da oggi, tutto quello che è vostro diventa nostro" e una bandiera tricolore riversa a terra segue la vignetta appena descritta e ne anticipa una terza in cui norma è raffigurata priva di sensi, con seni e gambe scoperti e insanguinati. sottolineare come l'iconografia utilizzata in quest'ultimo panel sia esattamente conforme a quella che attiviste/i e studiose/i impegnate a sensibilizzare sulla corretta rappresentazione della violenza alle donne scongiurano (perché, banalmente, (ri)oggettifica la vittima riproducendo le dinamiche dello sguardo maschile che qualifica la donna come oggetto sessuale) dovrebbe essere operazione ridondante. ciò che preme mettere in luce è, piuttosto, l'ennesima riproposizione dell'associazione tra donna (vittimizzata) e terra (invasa). la frase sopra riportata, chiaramente affibbiata ai miliziani comunisti, instaura infatti un parallelo implicito tra lo stupro - assassinio di norma cossetto e l'occupazione jugoslava dell'istria. ecco quindi che l'atto di "prendere" la terra d'istria coincide, con il "prendere" (non a caso, verbo spesso usato per descrivere eufemisticamente l'atto dello stupro) la donna. ecco quindi che la contrapposizione retorica tra il "nostro" (degli jugoslavi) e il "vostro" (degli italiani) non fa altro che avallare il riconoscimento della donna-terra come bottino, come oggetto di contesa. ecco quindi che la donna, solo apparentemente protagonista, indipendente e simbolo della lotta alla prepotenza di genere, viene di fatto spogliato di ogni dignità e autonomia.
è davvero questa l'immagine della violenza alle donne che si vuole dare a scuola nell'italia del 2020?
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r. lolli: militari dell'aquilano al fronte jugoslavo, 1941-1943 .
30 agosto 2020.
il racconto corale, composto dalle voci di combattenti dell’esercito italiano provenienti dalla provincia dell'aquila, ad un tempo spettatori ed attori di avvenimenti drammatici che il destino aveva riservato loro, evidenzia le molte ombre, non disgiunte da qualche tardiva luce, della occupazione militare in jugoslavia.
si tratta per lo più di testimonianze frammentarie tratte dagli stralci collazionati nelle relazioni dell’ufficio provinciale di censura da telegrammi, lettere e cartoline in franchigia quasi sempre ad opera di soldati semplici, raramente di ufficiali, indirizzate a parenti, amici, fidanzate e che raccontano in presa diretta di vicende personali, destini che si intrecciano alla tragica realtà di una guerra di invasione. non mancano spietate descrizioni dei crimini di guerra commessi:
"dove passiamo noi alpini tutti piangono; non sanno più dove si devono nascondere; le povere donne e i bambini tutti piangono, però noi, sempre più crudi, ammazziamo tutti, nessuno lasciamo indietro; dove passiamo noi alpini non si trova altro che mucchi di morti dei ribelli e case bruciate; tutti ci ubriachiamo e mangiamo maialetti e galline tutti i giorni."
"hanno fatto la rivoluzione perché non vogliono stare sotto di noi. ma ora prendono dei gravi provvedimenti. uomini, vecchi, donne, fanciulli sono presi in massa, rinchiusi in qualche casa e poi bruciati come sacchi di paglia.."
"i paesi dove risiedeva quella gente sono stati tutti bruciati, ci è ancora qualche piccolo movimento ma stanno facendo tutti la fine del porco."
l’invasione delle potenze dell’asse in jugoslavia nell’ aprile 1941 e il lungo assedio seguitone sono ancora praticamente assenti dalla memoria collettiva nazionale, cancellati dall’overdose politico-mediatica sulle "foibe" e confusi nello stereotipo dell’italiano brava gente. la minuziosa ricerca di riccardo lolli, che qui proponiamo in un corposo file pdf illustrato (114 pagine, 7 mb), benché circoscritta al microcosmo delle località di provenienza, tutte della provincia dell’aquila, squarcia il velo di maja di tale rimozione e dimostra quanta storiografia sia ancora da fare sui fatti della seconda guerra mondiale, solo avendone la volontà e l'onestà.
scarica il file: http://www.cnj.it/home/.
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https://ilmanifesto.it/.
l’uranio contro i civili.
storie. un avvocato italiano e il suo collega serbo insieme nel difendere le vittime civili e militari dell’uranio impoverito utilizzato alla fine degli anni ’90 dalla nato nell’ex jugoslavia.
di gregorio piccin .
su il manifesto del 29.08.2020.
la responsabilità istituzionale per le «vittime interne» dell’uranio impoverito impiegato nelle «guerre umanitarie» della nato nell’ex jugoslavia è stata dimostrata inequivocabilmente dalla relazione finale della iv commissione parlamentare d’inchiesta presieduta dall’onorevole gianpiero scanu e dalle 170 cause di servizio risarcitorie e indennitarie a favore di altrettanti ex militari strappate nei tribunali al ministero della difesa dall’avvocato angelo fiore tartaglia. per le responsabilità individuali delle alte cariche istituzionali dovremo invece attendere gli esiti delle indagini aperte dalla procura della repubblica di roma e dalla procura militare grazie ad un esposto depositato recentemente dal generale roberto vannacci e supportato dalle dichiarazioni del colonnello fabio filomeni.
ma quella che si prospetta come una spallata definitiva al muro di gomma (nazionale ed internazionale) sull’affaire uranio impoverito è la inedita saldatura tra le vittime militari dei paesi che parteciparono all’aggressione e quelle civili dei paesi aggrediti.
..segue ./.
Segue da Pag.21: Foiba rossa. È questa l'immagine
della violenza alle donne che si
vuole dare a scuola?
belliniana. L'assegnazione del nome avviene parallelamente all'associazione, suggerita dal padre, tra Norma e una giovane pianta che la bambina avrà il compito di curare e far crescere. Facile simbolo dell'attaccamento alla terra e alla "patria" istriano-italiana, la pianta riemergerà nella narrazione di Foiba rossa a costellare il percorso esistenziale di Norma: comparirà rigogliosa in occasione dei ritorni a casa negli anni trascorsi dalla ragazza come studentessa fuori sede, si spezzerà improvvisamente in occasione del suo stupro.
Il binomio donna - terra che l'accostamento tra Norma e la pianta supporta risulta altamente problematico se si pensa a come, nella produzione culturale e scientifica occidentale, l'associazione tra natura e femminilità sia stata funzionale alla simbolizzazione della donna come 'altro' rispetto al concetto di civiltà, tradizionalmente incarnato dal maschile, e a come la stessa associazione abbia contribuito a relegare il femminile nella sfera dell'istintuale, dell'irrazionale, dell'occulto (Woman and Nature di Susan Griffin è solo uno dei capisaldi del femminismo su questo tema). La problematicità del nesso persiste anche nel caso si associno alla terra caratteristiche positive, le quali generalmente coincidono con la capacità di curare e di nutrire, entrambe qualità che riconducono al lavoro di cura e riproduttivo affidato alla donna dalla società patriarcale. Non stupirà quindi la scelta degli autori di Foiba rossa di disegnare Norma bambina con le fattezze di una donna adulta che, mentre gioca con la sorella, contempla felicemente il matrimonio in abito bianco come suo destino.
La scena della presunta violenza sessuale subita da Norma, con cui il testo raggiunge l'apice della tensione narrativa e si avvia verso la conclusione, merita poi una riflessione a parte, la quale tuttavia non può che intersecarsi con le considerazioni fatte finora sulla rappresentazione di genere proposta nell'opera. Dopo essere stata rapita da membri delle milizie titine in una rappresaglia mirata a rintracciare il padre, la protagonista viene disegnata inchiodata ad un tavolo e semi-spogliata, in vista dell'imminente stupro. Una pagina nera con la scritta "Oggi ci prendiamo tutto quello che vogliamo perché, da oggi, tutto quello che è vostro diventa nostro" e una bandiera tricolore riversa a terra segue la vignetta appena descritta e ne anticipa una terza in cui Norma è raffigurata priva di sensi, con seni e gambe scoperti e insanguinati. Sottolineare come l'iconografia utilizzata in quest'ultimo panel sia esattamente conforme a quella che attiviste/i e studiose/i impegnate a sensibilizzare sulla corretta rappresentazione della violenza alle donne scongiurano (perché, banalmente, (ri)oggettifica la vittima riproducendo le dinamiche dello sguardo maschile che qualifica la donna come oggetto sessuale) dovrebbe essere operazione ridondante. Ciò che preme mettere in luce è, piuttosto, l'ennesima riproposizione dell'associazione tra donna (vittimizzata) e terra (invasa). La frase sopra riportata, chiaramente affibbiata ai miliziani comunisti, instaura infatti un parallelo implicito tra lo stupro - assassinio di Norma Cossetto e l'occupazione jugoslava dell'Istria. Ecco quindi che l'atto di "prendere" la terra d'Istria coincide, con il "prendere" (non a caso, verbo spesso usato per descrivere eufemisticamente l'atto dello stupro) la donna. Ecco quindi che la contrapposizione retorica tra il "nostro" (degli jugoslavi) e il "vostro" (degli italiani) non fa altro che avallare il riconoscimento della donna-terra come bottino, come oggetto di contesa. Ecco quindi che la donna, solo apparentemente protagonista, indipendente e simbolo della lotta alla prepotenza di genere, viene di fatto spogliato di ogni dignità e autonomia.
È davvero questa l'immagine della violenza alle donne che si vuole dare a scuola nell'Italia del 2020?
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R. Lolli: Militari dell'Aquilano al fronte jugoslavo, 1941-1943
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Il racconto corale, composto dalle voci di combattenti dell’esercito italiano provenienti dalla provincia dell'Aquila, ad un tempo spettatori ed attori di avvenimenti drammatici che il destino aveva riservato loro, evidenzia le molte ombre, non disgiunte da qualche tardiva luce, della occupazione militare in Jugoslavia. Si tratta per lo più di testimonianze frammentarie tratte dagli stralci collazionati nelle relazioni dell’Ufficio Provinciale di Censura da telegrammi, lettere e cartoline in franchigia quasi sempre ad opera di soldati semplici, raramente di ufficiali, indirizzate a parenti, amici, fidanzate e che raccontano in presa diretta di vicende personali, destini che si intrecciano alla tragica realtà di una guerra di invasione. Non mancano spietate descrizioni dei crimini di guerra commessi: "Dove passiamo noi alpini tutti piangono; non sanno più dove si devono nascondere; le povere donne e i bambini tutti piangono, però noi, sempre più crudi, ammazziamo tutti, nessuno lasciamo indietro; dove passiamo noi alpini non si trova altro che mucchi di morti dei ribelli e case bruciate; tutti ci ubriachiamo e mangiamo maialetti e galline tutti i giorni." L’invasione delle potenze dell’Asse in Jugoslavia nell’ aprile 1941 e il lungo assedio seguitone sono ancora praticamente assenti dalla memoria collettiva nazionale, cancellati dall’overdose politico-mediatica sulle "foibe" e confusi nello stereotipo dell’italiano brava gente. La minuziosa ricerca di Riccardo Lolli, che qui proponiamo in un corposo file PDF illustrato (114 pagine, 7 MB), benché circoscritta al microcosmo delle località di provenienza, tutte della provincia dell’Aquila, squarcia il velo di Maja di tale rimozione e dimostra quanta storiografia sia ancora da fare sui fatti della Seconda Guerra Mondiale, solo avendone la volontà e l'onestà.
SCARICA IL FILE: http://www.cnj.it/home/
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L’uranio contro i civili
di Gregorio Piccin su Il Manifesto del 29.08.2020
La responsabilità istituzionale per le «vittime interne» dell’uranio impoverito impiegato nelle «guerre umanitarie» della Nato nell’ex Jugoslavia è stata dimostrata inequivocabilmente dalla relazione finale della IV Commissione parlamentare d’inchiesta presieduta dall’onorevole Gianpiero Scanu e dalle 170 cause di servizio risarcitorie e indennitarie a favore di altrettanti ex militari strappate nei tribunali al ministero della Difesa dall’avvocato Angelo Fiore Tartaglia. Per le responsabilità individuali delle alte cariche istituzionali dovremo invece attendere gli esiti delle indagini aperte dalla procura della Repubblica di Roma e dalla procura Militare grazie ad un esposto depositato recentemente dal generale Roberto Vannacci e supportato dalle dichiarazioni del colonnello Fabio Filomeni. MA QUELLA che si prospetta come una spallata definitiva al muro di gomma (nazionale ed internazionale) sull’affaire uranio impoverito è la inedita saldatura tra le vittime militari dei Paesi che parteciparono all’aggressione e quelle civili dei Paesi aggrediti. ..segue ./.
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