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La VOCE 1705 |
P R E C E D E N T E | S U C C E S S I V A |
La VOCE ANNO XIX N°9 | maggio 2017 | PAGINA 9 |
Segue da Pag.8: Ong in guerra. Appunti per una critica allumanitario milioni di persone che vivono, da vittime, situazioni di conflitto o di povertà estrema. Ciononostante, le analisi che hanno portato alla formulazione dellidea del "dissolvimento" delle Ong nei movimenti politici e sociali meritano la massima attenzione proprio da parte di quei volontari e operatori dellintervento umanitario intellettualmente e politicamente onesti, mossi da uno slancio sincero di solidarietà e non coinvolti nel business dellumanitarismo. 3. POMPIERI DEL CONFLITTO In estrema sintesi, le critiche rivolte allazione delle ong nelle aree di conflitto e nei paesi del Sud del mondo riguardano la loro funzione di controllo e mistificazione, esercitata mediante la diffusione di una cultura e la realizzazione di progetti che, lungi dal rimuovere le ragioni dei conflitti e della povertà (6), impedirebbero la presa di coscienza organizzata da parte delle popolazioni sfruttate, ricattate o trasformate in merce di scambio nel corso dei conflitti armati, contro i centri di potere locali, nazionali e internazionali, responsabili delle "catastrofi" umanitarie. Il ruolo di pompieraggio delle lotte sociali si accompagnerebbe poi alla creazione in loco di una casta di privilegiati dal punto di vista economico e sociale (le persone che hanno accesso agli impieghi e alle risorse gestite dalle ong). La loro presenza da un lato servirebbe per veicolare i modelli politici e culturali della globalizzazione (ideologia del libero mercato contrapposta allorganizzazione sociale), a cominciare da quello di "sviluppo" (7) e del "collaborazionismo di classe", dallaltro finirebbe per creare instabilità e rancore sociale, impedendo la costruzione di una coesione consapevole e decisa a difendere i diritti e la dignità delle comunità. 4. UN RUOLO AMBIGUO Le ong fungerebbero inoltre da "agenzie di collocamento" a scala globale, in quanto oltre alla manodopera locale, di solito impiegata in ruoli subalterni, assicurerebbero un impiego ben remunerato e notevoli benefits economici e sociali a una rete elitaria di consulenti e specialisti originari dei paesi "donatori", o ai membri di rango elevato delle burocrazie degli organismi internazionali. Per quanto concerne gli aiuti fatti affluire e i progetti realizzati, il disegno politico accettato da gran parte delle ong sarebbe allorigine di una "cronica" incapacità dascolto nei confronti delle popolazioni locali e dei fallimenti registrati, in larga misura dovuti alla volontà (anche inconsapevole) di "colonizzare" con tecniche e approcci occidentali realtà completamente diverse, dal punto di vista culturale, dei rapporti economici o semplicemente climatico e geografico rispetto a quelle delle "metropoli" capitaliste. Le ong, presentate come componenti essenziali della "società civile" o della open society vagheggiata da George Soros, hanno svolto funzioni importantissime e cariche di significati a volte ambigui. Ad esempio, in molti paesi dellEuropa dellEst e del mondo ex sovietico le organizzazioni straniere e locali hanno agito quali "garanti" del processo di democratizzazione (inteso nel senso dellintroduzione di un sistema liberaldemocratico) in funzione antagonista nei confronti dei governi e, al tempo stesso, sono intervenute per tentare di limitare - senza rimuoverne le cause profonde - limpatto estremamente negativo provocato dalle politiche di "transizione" alleconomia di mercato sulle condizioni di vita, sulla realtà sociale e sulla partecipazione delle popolazioni alla vita politica. Del resto i governi locali sono stati convinti, con le buone o con le cattive, a intraprendere la strada delle "riforme" liberiste dagli stessi "donatori" che alimentano lazione delle grandi ong. 5. RETORICA DELLA SOCIETÀ CIVILE La consapevolezza critica dellambiguità di questo ruolo oggi si sta faticosamente facendo largo. Essa servirà per smantellare un certo genere di trionfalismo "buonista" che vede nellaffermazione delle ong il prevalere della democrazia liberale "dal volto umano", contrapposta al liberismo selvaggio e ai sistemi dittatoriali. Lesportazione della retorica della "società civile" è unattività molto in voga, che sta godendo di un successo senza precedenti proprio in concomitanza con limposizione, nei paesi esportatori del modello, di una serie di politiche che perseguono lobiettivo di smantellare le forme di democrazia di base, di partecipazione alla gestione del bene comune, di aggregazione sociale. Anche in questo caso non si riflette a sufficienza sul rapporto tra realtà interna e internazionale, finendo per voler esportare verso le periferie sottosviluppate principi e diritti, ignorando - in buona o cattiva fede - che tali diritti vengono messi in discussione proprio nelle cosiddette società ricche. La percezione delle ong come strumenti di un progetto politico generalizzato di colonizzazione intrapreso dai paesi occidentali si è diffusa nelle società dei paesi ex socialisti. Tale giudizio negativo si spinge sino a considerare le organizzazioni umanitarie e per la cooperazione alla stregua di una nuova mafia impegnata a gestire il business degli aiuti con lattiva partecipazione dei componenti più opportunisti delle vecchie classi dirigenti, convertitisi allideologia dellopen society. Questi rilievi possono apparire del tutto o in parte non giustificati, tuttavia non si può negare la necessità di una critica costante e sistematica nei confronti della politica e dellazione delle ong. 6. NUOVE DOTTRINE DEL PENTAGONO Lanalisi sintetica del bilancio della Agenzia Usa per gli aiuti allo sviluppo (UsAid) - uno dei maggiori enti erogatori di finanziamenti alle ong non solo statunitensi - non fa che confermare la natura e la consistenza dei legami tra gli obiettivi politici ed economici dei governi e lazione delle organizzazioni non governative (cfr. Tabella 1). I dati evidenziano una netta tendenza alla militarizzazione delle attività internazionali di UsAid, in sintonia con il perseguimento degli obiettivi strategici di consolidamento e allargamento dellegemonia statunitense nelle aree del mondo ritenute "vitali" per gli interessi delle classi dirigenti e delle aziende Usa. La militarizzazione si manifesta concretamente attraverso la drastica riduzione degli aiuti economici contrapposta alla sostanziale stabilità, se non allaumento, dei finanziamenti destinati a programmi militari o paramilitari (programmi antiterrorismo, antidroga, contributi alle operazioni di peacekeeping). Nel 2005, questi ultimi, escludendo lammontare del fondo per gli interventi in Iraq (Irrf), assorbiranno il 61,4% del bilancio UsAid destinato alle attività allestero; da soli i finanziamenti militari (Fmf) copriranno il 41,7% degli impegni, mentre lincidenza dei programmi per lassistenza ai profughi o rifugiati o per gli interventi in occasione di calamità naturali raggiunge appena il 9,4%. Nel rapporto pubblicato nel dicembre 2004 dal Defense Science Board (8) - organismo consultivo del Pentagono - oltre ad analizzare le possibili ragioni del fallimento della politica di occupazione dellIraq si formulano proposte e raccomandazioni per correggere gli errori e assicurare il |
raggiungimento degli obiettivi della strategia
statunitense in Iraq e in altre zone (Balcani, Asia centrale,
Afghanistan). Dal documento emerge un quadro politico-organizzativo in
cui la pianificazione e il coordinamento centralizzato delle strategie,
dei progetti e delle azioni in tempo di pace, durante i combattimenti e
nella fase di "stabilizzazione" e "ricostruzione", dovranno attenersi
alla logica dellintegrazione dei diversi strumenti utili per dispiegare
appieno la "potenza nazionale" (national power). 7. ONG COMPLEMENTARI AI MILITARI... Una regione sarà considerata "vitale" per gli interessi statunitensi sulla base di valutazioni che confronteranno la possibilità di impiegare il potenziale militare Usa con limportanza geopolitica della zona. Ogni scelta dovrà focalizzarsi su ciò che appare "più probabile o più promettente" e "più importante". Lo studio propone una graduatoria di priorità che privilegia il sostegno agli alleati "minacciati", la rimozione dei regimi ostili, lattacco alle "roccaforti del terrorismo" e lintervento nel caso di "collasso" dei cosiddetti failing states (le compagini statuali fortemente indebolite da conflitti o disordini cronici). La gestione della politica dovrà essere affidata a task forces composte da dirigenti del Pentagono e del Dipartimento di stato che dovranno interagire con strutture operative complementari formate dai vertici militari interessati, dai rappresentanti diplomatici nelle zone e paesi dinteresse e dai dirigenti di UsAid. Qualora tali strutture complementari non riuscissero a svolgere adeguatamente il loro compito, dovrebbero essere integrate e sostenute da personale del Pentagono. Nelle fasi di "stabilizzazione" successive al conflitto armato, i vertici dellEsercito, vista la loro esperienza in materia di pianificazione operativa reputata superiore a qualsiasi altra agenzia o ente governativo Usa, dovrebbero costituire il punto di riferimento sul campo per le attività di ricostruzione. 8. ... O SUBALTERNE Alle ong, in primo luogo statunitensi, agli organismi dei paesi che aderiscono alle coalizioni promosse da Washington e alle organizzazioni internazionali, il documento riserva il ruolo subalterno di partecipare, quando opportuno, allelaborazione di proposte da sottoporre ai comandanti militari regionali che le dovranno esaminare in sede di pianificazione degli interventi. Le ong dovranno avere, come punto di riferimento organizzativo, il Centro per la gestione delle catastrofi e dellassistenza umanitaria del Pentagono. La loro presenza diverrà così parte integrante di quella forza di "stabilizzazione" - composta da truppe, funzionari governativi e contractors privati Usa, personale dellOnu, alleati e polizia locale - necessaria per raggiungere lobiettivo di trasformare la società del paese occupato. Una forza che lo studio stima in 20 persone per 1000 abitanti (più di 400.000 nel caso dellIraq) impiegata per un lasso di tempo variabile tra i cinque e gli otto anni. In buona sostanza, nonostante i molti fondati dubbi emersi al riguardo proprio dallesperienza irachena, il rapporto riconosce ai militari quasi per antonomasia capacità di pianificazione e organizzazione del processo di stabilizzazione e ricostruzione superiori a quelle dei civili. Spetterebbe invece al Dipartimento di stato il compito di incorporare e integrare tutte le capacità presenti nelle ong e negli organismi internazionali allo scopo di realizzare le "riforme" politiche ed economiche. I militari, comunque, conserverebbero un ruolo decisivo allinterno dei gruppi di lavoro incaricati della formazione del personale di governo locale e degli operatori delle ong. La sola formulazione di questo paradigma della "stabilizzazione" e "ricostruzione" dovrebbe contribuire ad accelerare e diffondere una seria riflessione sul ruolo delle ong negli attuali scenari asimmetrici di conflitto. Se ciò non avvenisse, verrebbero traditi proprio i pensieri e gli slanci solidali che animano tante persone e iniziative e si andrebbe verso una integrazione definitiva nelle strategie egemoniche e di guerra totale perseguite dalle oligarchie dominanti negli Usa e nel resto del mondo occidentale. NOTE (1) Citato in T. Vaux, Laltruista egoista. Analisi critica degli interventi umanitari in situazioni di guerra e carestia, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2002, p. 259. (2) Attualmente non esistono dati conoscitivi strutturati e facilmente accessibili relativi a questo settore; si stima che nei paesi del Terzo mondo siano attive circa 50.000 ong che ricevono più di 10 miliardi di dollari annui di finanziamenti; cfr. J. Petras e H. Veltmeyer, La Globalizzazione smascherata, Jaca Book, Milano 2002, p. 185. (3) J. Hemment, "Colonization or Liberation: The Paradox of NGOS in Postsocialist States", Newsletter of the East European Anthropology Group, spring 1998, vol. 16, n. 1. (4) Per approfondire questi aspetti si rimanda a M. Deriu et. al., Lillusione umanitaria. La trappola degli aiuti e le prospettive della solidarietà internazionale, EMI, Bologna 2001. (5) J. Petras e H. Veltmeyer, cit., p. 200. (6) Per un quadro assai interessante di come lazione delle ong non riesca, nonostante singoli casi positivi, ad affrontare le cause profonde dei conflitti e dellimpoverimento si rimanda a un lavoro recente relativo alla realtà bosniaca (S. Divertito e L. Leone, Il fantasma in Europa. La Bosnia del dopo Dayton tra decadenza e ipotesi di sviluppo, Gabrielli Editori, Verona, 2004. In Bosnia, a partire dal 1995, secondo le stime più prudenti sarebbero giunti circa 15 miliardi di dollari in aiuti, una cifra che avrebbe potuto incidere notevolemnte sul processo di ripristino delle attività economiche, sociali e culturali e sul miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. A parte le opere di ricostruzione della viabilità principale, delle infrastrutture per la produzione di energia e degli edifici più importanti (in discreto stato davanzamento), la realtà bosniaca - specie nelle campagne e nei centri minori - è ancora caratterizzata da diffusa povertà, frammentazione sociale e comunitaria, mancanza di prospettive economiche, elevatissima disoccupazione (soprattutto giovanile) e forte dipendenza dagli aiuti esteri. Per completare il quadro negativo si deve aggiungere linsorgere e la diffusione dellAids e il rafforzamento delle classi dirigenti ultranazionaliste emerse dalla guerra, che ricattano la popolazione gestendo lo scambio tra i pochi posti di lavoro nel settore pubblico e il consenso politico. (7) Dietro questo termine abusato e molto in voga anche nelle ong, magari con laggiunta dellaggettivo "sostenibile" dai connotati assai incerti e spesso ambigui, non si fatica a vedere la strategia di quella governance liberale globale che "consiste in un sistema non-territoriale di controllo bio politico adattativo, espansivo e illimitato" (cfr. M. Duffield, Guerre postmoderne. Laiuto umanitario come tecnica politica di controllo, Il Ponte, Bologna 2003, p. 186. http://www.studiperlapace.it/view_news_html?news_id=20051231053055 (8) Defense Science Board, Transition to and from Hostilities, Office of the Under Secretary of Defense for Acquisition, Technology, and Logistics, Washington 2004 (allegato in .pdf). |
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