La VOCE   COREA   CUBA   JUGOSLAVIA   PALESTINA   RUSSIA   SCIENZA 

Stampa pagina

 Stampa inserto 

La VOCE 1705

  P R E C E D E N T E   

    S U C C E S S I V A  


GIÙ

SU


La VOCE ANNO XIX N°9

maggio 2017

PAGINA 6

Escalation nucleare nella penisola italiana: testata la bomba B61-12

di Manlio Dinucci

il manifesto, 18 aprile 2017

I riflettori politico-mediatici, puntati sulla escalation nucleare nella penisola coreana, lasciano in ombra quella che si sta preparando nella penisola italiana. L’Air Force Nuclear Weapons Center comunica il 13 aprile che, nel poligono di Nellis in Nevada, «un caccia F-16 della U.S. Air Force ha sganciato una bomba nucleare B61-12 inerte, dimostrando la capacità dell’aereo di usare quest’arma e testando il funzionamento dei componenti non-nucleari della bomba, compresi l’armamento e azionamento del sistema di controllo, il radar altimetrico, i motori dei razzi di rotazione e il computer di controllo».

Ciò indica che la B61-12, la nuova bomba nucleare Usa destinata a sostituire la B-61 schierata in Italia e altri paesi europei, è ormai nella fase di ingegnerizzazione che prepara la produzione in serie. I molti componenti della B61-12 vengono progettati e testati nei laboratori nazionali di Los Alamos e Albuquerque (Nuovo Messico), di Livermore (California), e prodotti in una serie di impianti in Missouri, Texas, Carolina del sud, Tennessee. Si aggiunge a questi la sezione di coda per la guida di precisione, fornita dalla Boeing.

La B61-12 non è una semplice versione ammodernata della precedente, ma una nuova arma: ha una testata nucleare a quattro opzioni di potenza selezionabili a seconda dell’obiettivo da colpire; un sistema di guida che permette di sganciarla non in verticale, ma a distanza dall’obiettivo; la capacità di penetrare nel terreno per distruggere i bunker dei centri di comando in un first strike nucleare.

Il test conferma che la nuova bomba nucleare può essere sganciata dai caccia F-16 (modello C/D) della 31st Fighter Wing, la squadriglia di cacciabombardieri Usa dislocata ad Aviano (Pordenone), pronta all’attacco attualmente con 50 bombe B61 (numero stimato dalla Fas, la Federazione degli scienziati americani).

La B61-12, specifica il comunicato, può essere sganciata anche da cacciabombardieri Tornado PA-200, tipo quelli del 6° Stormo dell’Aeronautica italiana schierati a Ghedi (Brescia), pronti all’attacco nucleare attualmente con 20 bombe B61. In attesa che arrivino anche all’aeronautica italiana i caccia F-35 nei quali, annuncia la U.S. Air Force, «sarà integrata la B61-12».

Che piloti italiani vengano addestrati all’attacco nucleare sotto comando Usa – scrive la Fas – lo dimostra la presenza a Ghedi del 704th Munitions Support Squadron, una delle quattro unità della U.S. Air Force dislocate nelle basi europee (oltre che in Italia, in Germania, Belgio e Olanda) «dove le armi nucleari Usa sono destinate al lancio da parte di aerei del paese ospite». I piloti dei quattro paesi europei e quelli turchi vengono addestrati all’uso delle B-61, e ora delle B61-12, nella Steadfast Noon, l’esercitazione annuale Nato di guerra nucleare. Nel 2013 si è svolta ad Aviano, nel 2014 a Ghedi.

Secondo il programma, le B61-12, il cui costo è previsto in 8-10 miliardi di dollari per 480 bombe, cominceranno ad essere fabbricate in serie nel 2020. Da allora saranno sostituite alle B-61 in Italia e negli altri paesi europei. Foto satellitari, diffuse dalla Fas, mostrano che nelle basi di Aviano e Ghedi, e nelle altre in Europa e Turchia, sono già state effettuate modifiche a tale scopo.

Non si sa quante B61-12 siano destinate all’Italia, ma non è escluso, data la crescente tensione con la Russia, che il loro numero sia maggiore di quello delle attuali B61. Non è neppure escluso che, oltre che ad Aviano e Ghedi, esse vengano dislocate in altre basi, tipo quella di Camp Darby dove sono stoccate le bombe della U.S. Air Force.

Il fatto che, all’esercitazione Nato di guerra nucleare svoltasi a Ghedi nel 2014, abbiano preso parte per la prima volta anche piloti polacchi con cacciabombardieri F-16C/D, indica che con tutta probabilità le B61-12 saranno schierate anche in Polonia e in altri paesi dell’Est. Caccia F-16 e altri aerei Nato a duplice capacità convenzionale e nucleare sono dislocati, a rotazione, nelle repubbliche baltiche a ridosso della Russia.

Una volta iniziato nel 2020 (ma non è escluso anche prima) lo schieramento in Europa della B61-12, definita dal Pentagono «elemento fondamentale della triade nucleare Usa» (terrestre, navale e aerea), l’Italia, ufficialmente paese non-nucleare, verrà trasformata in prima linea di un ancora più pericoloso confronto nucleare tra Usa/Nato e Russia.

Lo stesso generale James Cartwright, già capo del Comando strategico degli Stati uniti, avverte che «armi nucleari come le B61-12 di minore potenza (da 0,3 a 50 kiloton) e più precise aumentano la tentazione di usarle, perfino di usarle per primi invece che per rappresaglia». In tal caso è certo che l’Italia sarebbe il primo bersaglio della inevitabile rappresaglia nucleare.

Mass media. La bomba Moab come la gabbia di fuoco dell’Isis

di Sergio Cararo

Effetto terrore. Sembra questo l’obiettivo dichiarato della campagna mediatica coordinata tesa ad amplificare la “deterrenza” dell’uso della superbomba Moab sulle montagne dell’Afghanistan. Al di là dei fattori propriamente militari di questa bomba, trattati in altra parte del giornale, ci interessa invece sottolineare il rapporto tra questi e l’uso dei mass media.

Certo, non sarebbe irrilevante porre alcune domande ai giornalisti e commentatori che si limitano a celebrare gli effetti della bomba. Non
si pongono domande su chi stava “sotto” la bomba, prendono per buone le veline che parlano di 26 miliziani dell’Isis uccisi, avallando così la precisione chirurgica di un ordigno che per le sue caratteristiche ne è l’esatta negazione. Ma tant’è, da troppo tempo l’approccio critico, la terza domanda, il lato positivo dello scetticismo (si perché ne esiste anche uno negativo: quello che immobilizza invece di mobilitare) hanno abbandonato le redazioni di giornali e telegiornali. Fortunatamente la gente comincia a fare a meno degli uni e degli altri per ricavare le proprie informazioni, neutralizzando spesso le campagne mediatiche che vorrebbero volgere i fatti in una direzione piuttosto che in un’altra (vedi il referendum costituzionale o la Brexit). Eppure c’è qualche sberla che ancora va assegnata a quegli operatori dei media mainstream che anche in questa occasione, mutuando uno storico controverso come Goldhagen, si sono rivelati come dei "volenterosi carnefici" di Trump, quindi complici.

Qual’è l’obiettivo di questa amplificazione degli effetti della bomba Moab? Amplificare l’effetto deterrenza e insinuare il terrore nei “nemici”, soprattutto nella loro popolazione. Diffondere l’idea e le immagini di una punizione terribile che incombe come prospettiva. Inutile negare che questa fu la filosofia anche degli ordigni nucleari statunitensi gettati su un Giappone ormai sconfitto a “futura memoria” per chi avesse voluto sfidare la potenza che stava emergendo come egemone nella Seconda Guerra Mondiale.

Ma se questo è vero, obiettivi e conseguenze di tale filosofia erano anche le campagne mediatiche diffuse dall’Isis sulle orribili esecuzioni di coloro che in Siria vi si opponevano. L’immagine del prigioniero bruciato vivo dentro un gabbia, dovevano produrre lo stesso effetto di deterrenza e terrore di un bombardamento a tappeto su una città, ma con uno sforzo bellico immensamente minore. L’importante era che quelle immagini circolassero il più possibile, che entrassero nell’immaginario collettivo come orribile punizione e possibile prospettiva.

La superbomba Moab di Trump e la gabbia di fuoco dell’Isis appartengono alla stessa filosofia. Il loro risultato dipende da come e da quanto il sistema mediatico ne amplifica l’immagine e l’effetto terroristico. C’è dunque una responsabilità oggettiva e soggettiva del sistema comunicativo nella loro maggiore o minore efficacia. Ma se il giornalismo o l’informazione sono ridotti a questo, diventa vano ogni tentativo di edulcorare la pillola e parlare di professionalità, etica o quant’altro. Vedere i giornali di questa mattina o i telegiornali di ieri ed oggi è penoso e ributtante, almeno quanto lo sono coloro che hanno lanciato quella bomba o bruciato vivo un uomo chiuso dentro una gabbia. Se il sistema mediatico vuole abituarci a convivere con l’orrore, prima o poi, non potrà che esserne travolto.

14 aprile 2017 - © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: 14 aprile 2017, ore 11:27

Le catene di "ancoraggio" agli Usa

di Manlio Dinucci

il manifesto 25 aprile 2017

Giornali e telegiornali hanno dato scarso rilievo all’incontro Trump-Gentiloni. Eppure è stato un evento tutt’altro che formale.

Per Gentiloni si trattava di fugare le ombre sull’atteggiamento del suo governo verso il nuovo presidente Usa, lasciate dall’aperto sostegno del governo Renzi (in cui Gentiloni era ministro degli esteri) a Obama e alla Clinton contro Trump nelle elezioni presidenziali.

Gentiloni c’è riuscito benissimo ribadendo, indipendentemente da chi sieda alla Casa Bianca, l’«ancoraggio storico» dell’Italia agli Stati uniti, «pilastro della nostra politica estera».

Il presidente Trump ha reso merito all’Italia, ricordando che «oltre 30 mila militari americani e loro familiari sono stazionati attraverso tutto il vostro paese» e che l’Italia, dopo gli Usa, «è il secondo maggiore contributore di truppe nei conflitti in Iraq e Afghanistan».

Il contributo italiano è in realtà maggiore di quello riconosciuto da Trump. Lo dimostra la crescente quantità di armi inviate in Medioriente dalle basi Usa/Nato in Italia, ufficialmente per la guerra al terrorismo.

Tali spedizioni sono rintracciabili seguendo il percorso di determinate navi: ad esempio il cargo «Excellent» (battente bandiera maltese, ma con equipaggio italiano), noleggiato dal ministero della Difesa, è partito il 19 aprile da Piombino dopo aver imbarcato un grosso quantitativo di blindati Lince e armi; ha fatto scalo due giorni dopo ad Augusta, punto strategico per rifornimenti di combustibile e munizionamento, dirigendosi quindi attraverso il Canale di Suez al porto di Gedda in Arabia Saudita.

Qui era già arrivata il 9 aprile la nave Usa «Liberty Passion» proveniente da Livorno, aprendo un regolare servizio mensile per il trasporto di armi dalla base Usa di Camp Darby al Medioriente per le guerre in Siria, Iraq e Yemen.

Nella conferenza stampa con Trump, Gentiloni ha detto che «l’Italia non è coinvolta nelle operazioni militari in Siria salvo che per aspetti marginali». Che il ruolo dell’Italia sia tutt’altro che marginale, lo dimostra l’attacco missilistico ordinato dal presidente Trump contro la base siriana di Shayrat: l’operazione bellica è stata effettuata da due navi della Sesta Flotta con base a Gaeta, sotto il Comando delle forze navali Usa in Europa con quartier generale a Napoli-Capodichino, ed è stata appoggiata dalle basi Usa di Sigonella e Niscemi in Sicilia, affiancate da quella di Augusta.

Trump ha inoltre ringraziato Gentiloni per «la leadership italiana nella stabilizzazione della Libia» dove, ha precisato, gli Usa non hanno intenzione di intervenire essendo impegnati su troppi fronti. In altre parole ha confermato che l’Italia ha l’incarico, nell’Alleanza sotto comando Usa, di mettere piede nelle sabbie mobili libiche provocate dalla guerra Nato del 2011.

Gentiloni si è detto «fiero del contributo che diamo noi italiani alla sicurezza dell’Alleanza in tante aree del mondo». Compresa la regione baltica dove l’Italia invia forze militari in funzione anti-Russia, pur ritenendo «utile il dialogo perfino con la Russia, senza rinunciare alla nostra forza e ai nostri valori».

Gentiloni si è detto anche «fiero del contributo finanziario dell’Italia alla sicurezza dell’Alleanza», garantendo che, «nonostante certi limiti di bilancio, l’Italia rispetterà l’impegno assunto», ricordatogli insistentemente da Trump: portare la spesa militare al 2% del pil, ossia dai 63 milioni di euro al giorno dichiarati dalla Pinotti (più altre spese militari extra budget della Difesa) a 100 milioni di euro al giorno. «Noi italiani manteniamo sempre gli impegni presi», ha detto Gentiloni a Trump con una punta di orgoglio nazionale.

  P R E C E D E N T E   

    S U C C E S S I V A  

Stampa pagina

 Stampa inserto 

La VOCE 1705

 La VOCE  COREA  CUBA  JUGOSLAVIA  PALESTINA   RUSSIA   SCIENZA 

Visite complessive:
Copyright - Tutti gli articoli possono essere liberamente riprodotti con obbligo di citazione della fonte.