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La VOCE ANNO XIX N°1

settembre 2016

PAGINA 2         - 22


I Balcani centro di irradiazione del radicalismo islamico e dell’ISIS

Sul radicalismo islamico armato, fomentato da un quarto di secolo in Bosnia e nel resto dei Balcani per gli interessi della NATO, si veda anche la nostra pagina dedicata: http://www.cnj.it/documentazione/bih.htm

Segnaliamo il nuovo libro:

Jean Toschi Marazzani Visconti

LA PORTA D’INGRESSO DELL’ISLAM

Bosnia Erzegovina: un Paese ingovernabile

prefazione di Paolo Borgognone, postfazione di Manlio Dinucci
Frankfurt: Zambon, 2016
Formato: 14x20,5 cm – 240 pagine – 18,00 € – ISBN 978 88 98582 32 7
zambon@zambon.net - www.zambon.net


Il 14 dicembre 2015 compiva vent’anni il Trattato di Dayton, firmato a Parigi nel 1995 alla presenza dei massimi rappresentanti delle potenze occidentali. L’accordo metteva così fine a tre anni e mezzo di feroce guerra civile in Bosnia-Erzegovina. L’amministrazione Clinton considerava un grande successo aver fermato il conflitto e creato una nazione composta di tre etnie divise in due entità: la Federazione Croata - musulmana e la Republika Srpska. Però aveva distrutto il multiculturalismo in favore del nazionalismo.
Oggi la Bosnia Erzegovina è nello stesso stato d’allora, congelata dalla costituzione imposta a Dayton, in uno stato di caos contenuto e di odio. Nel corso degli anni si sono alternati Alti Commissari europei al controllo del paese, ma anche altre nazioni sono intervenute nel delicato equilibrio. La Turchia ha una forte presenza. Ricchi finanziamenti giungono da Iran e Arabia Saudita per costruire moschee e scuole islamiche. Dalle parole di diversi protagonisti della politica locale e internazionale intervistati in queste pagine esce un’imbarazzante realtà.
Un’importante geopolitico francese, il Generale Pierre Marie Gallois, esaminando nel 1997 la politica statunitense in Bosnia-Erzegovina, aveva commentato che era stata aperta all’Islam la porta d’Europa, un paese a tre ore e mezzo d’autostrada da Trieste.

Isis, il campo di addestramento in Kosovo? è a due passi dalla base americana della Nato

Almeno cinque campi, di cui - se non tutto - l’impressione è che si sappia molto. Se la presenza di cellule fondamentaliste nell’area dei Balcani è cosa nota (due anni fa l’Espresso ne aveva censite una ventina in tutta la regione), adesso arriva la conferma dell’esistenza di un livello superiore. Prevedibile, per alcuni versi, ma finora mai resa nota più o meno ufficialmente: la presenza di campi di addestramento dell’Isis in Kosovo.

Dove gli aspiranti jihadisti di etnia albanese, oltre a studiare l’arabo e il Corano, imparano a maneggiare le armi, si esercitano col tiro e apprendono nei boschi le tecniche di guerriglia. Sotto la supervisione di ex paramilitari dell’Uck, l’esercito di liberazione dei tempi della guerra con la Serbia, considerati autentici eroi in patria (statue dedicate ai combattenti si trovano praticamente in ogni città).

Secondo fonti di intelligence citate dall’agenzia russa Sputnik i principali campi allestiti dallo Stato islamico sono a Ferizaj, Gjakovica e Dečani, mentre altri più piccoli sarebbero stati individuati a Prizren e Pejë. Anche senza conoscere la geografia del luogo, è importante tenere a mente alcune di queste località perché rappresentano l’emblema dell’incapacità occidentale di prevenire la diffusione del radicalismo islamico, visto che il Kosovo è tuttora una nazione sotto tutela Nato in cui risiedono migliaia di militari dell’alleanza atlantica. Il simbolo di questa “disfatta” è rappresentato proprio dalla città di Ferizaj, 100 mila abitanti non lontano dal confine con la Macedonia: a Sojevë, pochi chilometri fuori dal capoluogo, c’è infatti Camp Bondsteel. Realizzato nel 1999 ai tempi della guerra, col suo perimetro lungo 14 chilometri, è attualmente la più grande e costosa base americana mai costruita al di fuori degli Stati Uniti dalla guerra del Vietnam, in cui si calcola che vivano circa 7mila fra soldati e impiegati civili.

Una presenza tanto massiccia, però, non solo non ha rappresentato un deterrente per l’Islam radicale, ma non è nemmeno riuscita a impedire che l’area diventasse un centro nevralgico di reclutamento: nell’agosto 2014, nella più grande operazione mai condotta dalle autorità kosovare, su 40 terroristi arrestati ben 11 provenivano dalla città di Ferizaj. Del resto c’è poco da meravigliarsi: in passato a Camp Bondsteel, secondo una versione mai smentita, ha lavorato anche Lavdrim Muhaxheri, il comandante della famigerata “brigata balcanica” al servizio del Califfo, noto per le sue atrocità (come le esecuzioni postate su Facebook raccontate dall’Espresso). E per la base Usa sarebbe passato pure Blerim Heta, un kamikaze che poi si è fatto saltare in aria a Bagdad.

Altra città-simbolo è quella di Gjakovica, che invece è non lontana dal confine con l’Albania: nell’aeroporto cittadino ha sede il distaccamento aeronautico Amiko (Aeronautica militare italiana in Kosovo). Neppure in questo caso il controllo dei cieli da parte della missione Kfor ha impedito che l’Isis dilagasse e impiantasse nei paraggi un suo campo di addestramento, stando alle informazioni dell’intelligence. Esattamente come a Pejë, dove sorge il Villaggio Italia, e Prizren, dove la presenza dell’Alleanza atlantica è altrettanto massiccia. E pure a Dečani, dove la Nato controlla insieme alle Nazioni unite il trecentesco monastero ortodosso serbo, patrimonio Unesco, dai rischi delle violenze dell’etnia albanese. Del resto le minacce non mancano. A gennaio, ad esempio, quattro uomini sono stati fermati davanti all’entrata e trovati in possesso, a bordo della loro auto, di un kalashnikov, una pistola e diverse munizioni. Da dove venivano? Sarà una coincidenza ma a eccezione di uno, tutti erano originari proprio delle città in cui si trovano i campi di addestramento: Ferizaj, Gjakovica e Prizren.

D’altronde basta guardare ai numeri per rendersi conto di quanto la penetrazione del radicalismo islamico in Kosovo rappresenti un

problema troppo a lungo sottovalutato. Secondo i dati forniti nei giorni scorsi dal ministro dell’Interno, Skender Hyseni, almeno 57 foreign fighters sono morti in combattimento, una quarantina sono stati fermati prima che potessero partire, 102 sono stati arrestati sospetti di attività terroristica e altri 17, benché a piede libero, sono sotto indagine. E al seguito dei combattenti (almeno 300 quelli di etnia albanese, stimano le organizzazioni indipendenti) ci sarebbero anche 38 donne e 27 bambini.

Il tutto, in una regione di due milioni scarsi di abitanti, grande quanto l’Abruzzo, a poche centinaia di chilometri in linea d’aria dalla Puglia e soprattutto autoproclamatasi indipendente dopo un intervento militare che doveva servire a portare la sicurezza e la pacifica convivenza nel Paese. Invece, solo a scorrere le cronache degli ultimi mesi, c’è da riflettere.

La settimana scorsa a Pristina per terrorismo sono stati condannati in cinque, con pene comprese fra 4 e 13 anni di carcere: avevano giurato fedeltà all’Isis e stavano preparando un video da diffondere in rete per dimostrare la presenza dello Stato islamico anche nel Paese. E che i simpatizzanti non manchino lo dimostra anche la scritta, ritrovata lo scorso marzo sulla facciata della chiesa ortodossa di San Nicola, sempre nella capitale: “Isis is coming”, l’Isis sta arrivando, scritto in inglese perché fosse più chiaro. Forse non proprio una casualità, dal momento che quel giorno ricadeva il dodicesimo anniversario delle violenze che nel 2004 portarono all’incendio di numerosi luoghi di culto della minoranza serba. Senza contare che proprio in Kosovo erano le menti della cellula jihadista stroncata a dicembre dalla Procura di Brescia. Obiettivo: disintegrare l’Europa e imporre la sharia.

BREVI:

STEPINAC, CARDINALE E CRIMINALE

Con una decisione talmente rapida da lasciare "sorpreso" persino il ricorrente (il nipote di Stepinac – parole sue!), la magistratura croata ha annullato il verdetto del 1946 contro Alojizije Stepinac. Stepinac, l’ "arcivescovo del genocidio", di fatto cappellano militare del movimento fascista e genocida croato degli "ustascia". Già al termine della Guerra di Liberazione, Tito aveva chiesto al Vaticano che si riprendessero l’arcivescovo perchè diversamente sarebbe stato processato. Il Vaticano rispose... promuovendolo a cardinale. L’ arroganza di Stepinac al processo cui fu sottoposto si può evincere dalla lettura della nostra traduzione in italiano di alcuni stralci: http://digilander.iol.it/lajugoslaviavivra/CRJ/RELIGIO/processo.html

IN MONTENEGRO SI PARLA LA LINGUA DELLA NATO

Una operazione editoriale demenziale, frutto degli ingenti finanziamenti elargiti dalla cattiva politica: parliamo della stampa del primo dizionario della "lingua montenegrina" mai esistito. Mai esistito e che mai sarebbe dovuto esistere, perché codifica l’invenzione di una lingua inesistente, a solo uso e consumo degli interessi separatisti delle cricche anti-jugoslave che hanno preso d’ostaggio la repubblichetta. Tra queste cricche, una – quella revanscista pan-albanese – contesta l’operazione solo perché qualche voce del dizionario è irrispettosa nei suoi confronti; un’altra – quella della NATO – spinge il paese verso la annessione alla stessa Alleanza militare che appena 17 anni fa lo bombardò, per rovinare i rapporti con i popoli alleati storici e contro il volere della maggioranza degli abitanti; un’altra ancora – quella dei camorristi al potere – si gongola tra invenzioni identitarie e ricevimenti nei salotti di lusso dell’imperialismo euro-atlantico. "Niente di buono ... finché Dzelaludin comanda", scriveva l’attualissimo Ivo Andrić.

E’ STATO COSTITUITO IL COORDINAMENTO UCRAINA ANTIFASCISTA

In continuità con i contatti e le iniziative intraprese da più di un anno a questa parte a sostegno della resistenza contro il regime golpista di Kiev e per fornire aiuti alle popolazioni vittime della guerra fratricida in Ucraina, il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS ha aderito al recentemente costituito Coordinamento Ucraina Antifascista (CUA), che riunisce i comitati che in Italia e dintorni sono impegnati in tal senso. Tra le numerose attività in cantiere, segnaliamo di seguito la Raccolta di beni di prima necessità e donazioni e la Petizione contro il conferimento della cittadinanza onoraria di Verona al presidente ucraino Poroshenko. Per altri aggiornamenti raccomandiamo di seguire la pagina facebook del CUA: https://www.facebook.com/CoordinamentoUcrainaAntifascista/

Save Donbass People

Raccolta di beni di prima necessità e donazioni
CC. IT87C0335967684510700158166,
intestato a Nova Harmonia.


La guerra fratricida scoppiata in Ucraina nel maggio del 2014 ha causato fino ad oggi circa 10.000 vittime e decine di migliaia di feriti. Quella del Donbass è una guerra "che non c’è”, un conflitto oscurato dai media e dalla complice ignavia dei politici europei. Un’intera popolazione, la cui unica colpa è quella di voler decidere liberamente del proprio destino, sopporta quotidianamente la violenza dei bombardamenti, la penuria di viveri e di farmaci ed il blocco economico imposti dal governo golpista e filofascista di Kiev.
Nei villaggi a ridosso del fronte i civili sono allo stremo, molti malati non ricevono le cure adeguate e muoiono nel disinteresse della comunità internazionale; migliaia di bambini soffrono di forme di avitaminosi causate dalla malnutrizione, la sussistenza alimentare di intere famiglie è legata ai soli frutti dell’orto.
Quali antifascisti, sostenitori della lotta per l’indipendenza e la libertà dei popoli, donne e uomini di buona volontà, vogliamo manifestare la nostra solidarietà materiale ai nostri coraggiosi fratelli dell’Est!
Raccogliamo beni di prima necessità da inviare nel Donbass in sostegno alla popolazione colpita dalla guerra!
Occorrono: cibo in scatola, confezionato e non deperibile di qualsiasi genere; prodotti per l’igiene personale (shampoo, bagnoschiuma, schiuma da barba, lamette, dentifricio, assorbenti, pannoloni etc.); cibo e prodotti per l’igiene dei neonati (pappe, pannolini, oli e creme per il corpo, ciucci e biberon); materiale sanitario e medicine (siringhe, garze, ovatta, Paracetamolo, Ibuprofene, “Kreon 10000”, “Depakin 300 mg”); biancheria per la casa; vestiti per bambini; giocattoli.
Aiutaci a rompere il muro del silenzio!
Il Donbass vivrà, i fascisti non passeranno!»
COORDINAMENTO UCRAINA ANTIFASCISTA
Per info: ucraina.antifascista.bo@outlook.it

Coordinamento Ucraina Antifascista

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