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La VOCE 2005 |
P R E C E D E N T E | S U C C E S S I V A |
La VOCE ANNO XXII N°9 | maggio 2020 | PAGINA d - 28 |
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segue da pag.27: abbandonato da israele, il campo profughi di gerusalemme viene lasciato a combattere da solo l’epidemia di covid-19.
di partenza è che la creazione di laboratori di analisi a gerusalemme est è sufficiente per servire anche queste persone. devono passare attraverso il checkpoint per farsi testare. se, dio non voglia, il checkpoint venisse chiuso, ci porremo questa domanda e daremo una risposta”.
il portavoce ha anche affermato di non avere dati sul numero di pazienti covid-19 nel campo e che “il ministero non fa l’identificazione per nazionalità”. in altre parole, il ministero non pubblica dati sulle infezioni per quartiere, ma solo per città.
“questa è una situazione pericolosa”, avverte abir joubran dakwar, un avvocato dell’associazione per i diritti civili in israele. “se il governo decide di chiudere il checkpoint, non saremo in grado di sapere se ciò sia giustificato per motivi di salute o se sia stato fatto per motivi politici. secondo farad zaghir, un medico in una clinica di shuafat, al momento non ci sono casi noti di covid-19 nel campo.
“è una bomba a orologeria”, afferma zaghir, “è sufficiente che una persona si ammali perché il virus si diffonda rapidamente. nella mia clinica mancano alcol, guanti, test per i lavoratori e mascherine protettive. il personale non è ancora stato addestrato per affrontare il coronavirus. i dottori nel campo non hanno gli strumenti per affrontare la pandemia. è un’emergenza. ho contattato il ministero della sanità una settimana fa, ma non ci è ancora stato dato nulla”.
mentre israele non fornisce la maggior parte dei servizi necessari ai quartieri palestinesi oltre il muro, continua a impedire all’autorità palestinese di farlo. la scorsa settimana, la polizia di gerusalemme ha arrestato fadi al-hadami, ministro degli affari di gerusalemme dell’ap, così come il governatore dell’ap di gerusalemme adnan ghaith sospettato di agire per conto del coordinamento dell’ap contro il coronavirus a gerusalemme est, violando così la sovranità israeliana. “da un lato non ci danno diritti, dall’altro imprigionano chiunque cerchi di aiutare a colmare il vuoto lasciato da israele”, dice ja’abri. “ora, mentre la pandemia si espande all’esterno, questa politica potrebbe benissimo finire con una catastrofe”.
muatasim, residente a kufr aqab, un altro quartiere di gerusalemme oltre il muro, afferma di aver visto i rappresentanti dell’ap girare per le strade chiedendo ai residenti di rimanere a casa. “hanno anche disinfettato il quartiere e svolto gran parte degli interventi che israele ha trascurato”, aggiunge. “il loro coinvolgimento è aumentato con il crescere della crisi. in passato quasi non li vedevo qui”.
l’ap ha recentemente lanciato una campagna di donazione per cibo e attrezzature da destinare alle famiglie bisognose di gerusalemme. l’organizzazione includeva un sito web in cui i residenti della città potevano richiedere assistenza in forma anonima o fare donazioni volontarie. secondo gli abitanti del campo profughi di shuafat, molte famiglie del campo e di kufr aqab sono venute sul posto per chiedere aiuto, ma israele gli ha ripetutamente impedito di passare. “ecco perché hanno arrestato il governatore di gerusalemme”, afferma ja’abri.
intrappolati tra abbandono governativo e blocco degli aiuti da parte dell’autorità palestinese, i residenti dei quartieri sono rimasti orfani di fronte a una pericolosa pandemia. la città ha fatto ben poco oltre a sanzionare persone che violano le direttive di blocco del governo israeliano e, su richiesta dell’ong israeliana ir amim, ha disinfettato alcune strade di kufr aqab.
alla luce dell’abbandono, nel campo sono emerse numerose organizzazioni indipendenti. “distribuisco volantini con le istruzioni del ministero della sanità alle persone per strada”, ha detto ja’abri, la nostra attività è dedicata all’insegnamento sul coronavirus ai bambini, perché sono i più attaccati ai nonni.
“profondamente pericolosi e ostili”.
nelle ultime settimane, le organizzazioni locali e i leader del campo hanno allestito un centro di emergenza autofinanziato con attrezzatura di protezione, intraprendendo una serie di azioni per disinfettare gli spazi pubblici e fornire informazioni su covid-19 ai residenti. “siamo tutti uniti nella lotta contro il coronavirus”, afferma aysar, uno dei residenti del campo.
circa un terzo dei residenti palestinesi di gerusalemme vive in condizioni disastrose, di misera e povertà, dall’altra parte del muro. munir zughir, capo del comitato residenziale di kufr aqab, si chiede come sia possibile che l’opinione pubblica israeliana sia così indifferente a ciò che sta accadendo a gerusalemme est. secondo lui, sia la collettività che i rappresentanti del governo israeliano percepiscono la popolazione residente del quartiere come pericolosa e ostile, e che è una sufficiente “giustificazione” per isolarli.
“ti faccio un esempio”, dice zughir. “da un mese ormai le persone non hanno avuto entrate e la situazione è stata difficile. lo stesso vale per molti luoghi, ma questa è una delle popolazioni più povere della città anche senza la crisi del coronavirus”.
“non è che non c’è niente da mangiare, ci sono molte donazioni di cibo”, continua. “il problema principale è il gas e l’elettricità. alcune persone non hanno soldi per pagare le bollette e rimangono al buio. ho chiesto al ministero del lavoro, degli affari sociali e dei servizi sociali di inviare buoni a 63 famiglie bisognose. mi hanno contattato cinque giorni fa e hanno concordato che uno dei loro impiegati sarebbe venuto nel quartiere, avrebbe fatto un giro e avrebbe censito le famiglie. ma l’impiegato non è venuto, giustificandosi dicendo che era pericoloso, che ci sono sparatorie e così via. questo non è vero.”
“quando gli agenti della polizia di frontiera entrano armati nel campo, aumentano ovviamente le tensioni e gli adolescenti iniziano a lanciare pietre. ma altri funzionari governativi non sono un problema”, afferma ja’abri.
“ai cittadini israeliani viene raccontata la storia di una popolazione ostile e non cooperativa”, aggiunge. “e sì, c’è un’antipatia per gli israeliani che deriva da anni di oppressione e conflitto, questo ha ragioni politiche. ma finché israele controlla l’area, allora ne è responsabile e deve trovare un modo di intervenire, specialmente durante una crisi.”
“secondo me, il modo di affrontare la crisi è attraverso una più stretta cooperazione tra la leadership locale, su cui fanno affidamento i residenti, e le autorità israeliane. stiamo tendendo la mano. questa è una questione di vita o di morte, ma siamo ripetutamente ignorati, la negligenza continua e tutto ciò che sentiamo sono slogan sulla nostra mancanza di collaborazione”.
trad: beniamino rocchetto – invictapalestina.org.
la pandemia mette a nudo il razzismo sistemico di israele.
la mia paura è che una volta superata questa minaccia pandemica, verranno anche normalizzate alcune misure: dalla discriminazione nei trattamenti sanitari, al tenere in ostaggio i palestinesi e il loro sistema sanitario.
fonte – english versione.
di diana buttu – 8 aprile 2020.
mentre siedo in casa mia ad haifa, in quarantena, come altri in tutto il mondo, non posso fare a meno di ricordare una precedente esperienza sotto il coprifuoco imposto da israele.
diciotto anni fa, tra marzo e aprile del 2002, l’esercito israeliano ha nuovamente invaso la cisgiordania, compresa la città in cui risiedevo in quel momento, ramallah. per mesi, siamo rimasti in isolamento mentre carri armati, jeep e soldati israeliani hanno seminato il terrore per le nostre strade e nelle nostre case.
abbiamo trascorso le giornate ascoltando il bilancio delle vittime aumentare e preoccupati di ciò che il futuro ci avrebbe riservato. mentre l’azione iniziale è stata denunciata con una
condanna internazionale, molto presto il blocco, e il terrorismo dell’esercito israeliano, sono diventati “la normalità”. pochi hanno alzato la voce per le punizioni collettive israeliane contro i palestinesi e per tutte le confische di terre e le demolizioni abitative effettuate dall’esercito.
oggi non è diverso. mentre il mondo è giustamente concentrato su “riduzione dei contagi” e “distanziamento sociale”, per fare fronte un’economia bloccata preoccupandosi dei propri cari, l’occupazione israeliana e il razzismo sistemico continuano a guidare la politica, proprio come hanno fatto nel corso della storia.
vivo con i miei genitori anziani, uno dei quali ha una serie di gravi problemi di salute, tra cui problemi respiratori. come altri, mi preoccupo per loro e, naturalmente, per il mio giovane figlio.
ma non riesco a non pensare ai miei amici in cisgiordania, in balia delle persecuzioni dell’esercito israeliano e dei coloni scatenati e violenti che vivono nei territori occupati in violazione del diritto internazionale.
sono preoccupata per miei amici che si “nascondono” perché israele non gli ha mai permesso di vivere normalmente nel loro paese a causa dei loro documenti d’identità palestinesi. mi preoccupo che vengano presi mentre si recano al negozio di alimentari e se potranno accedere alle cure, se necessario.
e, naturalmente, non riesco a distogliere il mio pensiero da gaza, terrorizzata dal fatto che il coronavirus infetti migliaia di persone assistendo impotente mentre i contagi aumentano.
blocco sotto occupazione.
mi confortano le iniziative che i palestinesi hanno intrapreso per sostenersi a vicenda durante questo periodo, come abbiamo fatto durante altri periodi di chiusura e blocchi, sapendo che nonostante tutto, ci prenderemo cura gli uni degli altri, anche quando altri vogliono vederci scomparire.
nella cisgiordania occupata, i palestinesi sono stati messi in isolamento per un mese, al momento della dichiarazione della quarantena, con scuole e imprese chiuse. lo stato di emergenza dichiarato dall’autorità palestinese è già stato rinnovato per un altro mese, i palestinesi non solo temono ciò che accadrà a un’economia già dipendente e fragile, ma anche che l’epidemia non possa essere contenuta.
queste paure non sono ingiustificate: israele ha da tempo il controllo sul sistema sanitario pubblico palestinese. impedisce che apparecchiature essenziali come le macchine per le radiografie non solo non entrino a gaza ma nemmeno nella cisgiordania occupata fuori gerusalemme est.
e pur limitando l’accesso alle strutture sanitarie in israele, le autorità di occupazione rendono anche difficile o impossibile per i palestinesi ottenere i permessi per recarsi negli ospedali relativamente meglio attrezzati di gerusalemme est.
ma i palestinesi non solo devono temere la perdita di vite umane, il collasso del sistema sanitario e dell’economia: devono anche temere le azioni quotidiane di israele nei territori occupati.
da quando è stato dichiarato lo stato di emergenza, israele ha effettuato arresti di massa (detenendo 85 persone, tra cui 10 bambini), ha continuato le demolizioni, costretto le persone ad auto-demolirsi la propria casa, sequestrato oltre 40 luoghi di lavoro e case mentre a tutto il mondo viene chiesto di “rimanere a casa.”
i coloni israeliani continuano i loro attacchi, sia contro le persone che contro le proprietà, restando impuniti. gaza rimane bloccata, anche se il settore sanitario è sull’orlo del collasso a causa del blocco israeliano che dura da più di 13 anni.
i prigionieri palestinesi in detenzione israeliana sono tra i più vulnerabili.
dal 15 marzo, le norme di emergenza hanno concesso poteri quasi illimitati alle autorità carcerarie. impediscono ai detenuti di incontrare le famiglie o gli avvocati e consentono la consultazione telefonica solo se un procedimento giudiziario è imminente.
per quelli di noi che vivono all’interno dei confini di israele del 1948, il quadro è altrettanto desolante.
il razzismo israeliano guida la politica sul coronavirus. dall’inizio dell’epidemia, israele ha comunque promosso un’immagine di uguaglianza mostrando i medici palestinesi in prima linea nel trattamento dei pazienti con infezione da coronavirus per mascherare il suo razzismo. allo stesso tempo ha punito solo i palestinesi per non “aver seguito le regole”, almeno all’inizio, anche se la maggior parte di coloro che sono risultati positivi fino ad oggi provengono da comunità religiose ebraiche.
israele ha emesso sanzioni contro gli imam per aver tenuto preghiere, pur permettendo alle sinagoghe di continuare i loro servizi senza interruzioni. i mikvah, bagni rituali, sono rimasti aperti fino alla fine di marzo e gli yeshiva hanno continuato a operare durante la quarantena, anche se la continua inosservanza delle regole da parte di alcune comunità ultra-ortodosse potrebbe porre fine a tutto ciò molto presto.
discriminazione sistemica.
ancora più grave è che fino al 2 aprile israele abbia testato solo 4.000 cittadini palestinesi di israele, per il virus. questo è lo stesso numero di ebrei israeliani testati ogni giorno. inizialmente le ordinanze di sicurezza e salute pubblica venivano forniti in ebraico e talvolta in russo e inglese, ma non in arabo.
da allora sono stati intensificati gli sforzi per fornire una guida in lingua araba, sebbene tali informazioni non siano ancora trasmesse in tempo reale.
solo 117 cittadini arabi in israele sono stati diagnosticati su 6.211 a livello nazionale (circa il 2%) e solo 4000 sono stati testati – circa il numero di cittadini ebrei testati ogni giorno. salvo intervento immediato, un disastro attende la minoranza araba.
ad eccezione degli ospedali esistenti prima del 1948 e nelle città con popolazioni miste, non ci sono ospedali nelle città palestinesi, e certamente nessuno è in grado di gestire volumi di pazienti affetti da coronavirus. il disastro potrebbe essere imminente.
ma mentre i test rimangono inaccessibili, il monitoraggio no. israele sta tentando di utilizzare i meccanismi di sorveglianza dello shin bet per rintracciare i pazienti affetti da coronavirus, una misura temporaneamente sospesa a causa dell’intervento del gruppo di diritti adalah.
come sempre, è stata solo la società civile dei cittadini palestinesi di israele e i loro legislatori che hanno respinto gli abusi dello stato, facendo anche pressioni per aumentare i test nelle città palestinesi, aumentare i finanziamenti per gli ospedali palestinesi e chiedere la fine dello stato di sorveglianza.
alcuni potrebbero credere che il coronavirus sia equo, che colpisca sia israeliani che palestinesi. mentre il virus ha il potenziale per colpire tutti, il trattamento per esso è difficilmente egualitario.
piuttosto, a causa della discriminazione sistemica, l’approccio adottato da israele è stato quello di dare la priorità alle vite degli ebrei israeliani rispetto alle vite palestinesi. se questo virus si diffondesse ampiamente nelle comunità palestinesi, le conseguenze sarebbero disastrose.
in breve, l’approccio israeliano al coronavirus è il culmine delle politiche razziste e coloniali storiche indiscindibili.
all’indomani dell’invasione israeliana del 2002, molte situazioni sono diventate “normali:” incursioni notturne, blocchi infiniti, drastiche restrizioni al movimento per motivi di “sicurezza” e la demolizione delle case senza proteste significative.
la mia paura è che una volta superata questa minaccia pandemica, verranno anche normalizzate alcune misure: dalla discriminazione nei trattamenti sanitari, al tenere in ostaggio i palestinesi e il loro sistema sanitario, alla sorveglianza, alle demolizioni abitative e ai blocchi, tutto in nome della “sicurezza pubblica”.
diana buttu è una ex consulente legale e negoziatrice dell’organizzazione per la liberazione della palestina ed è anche consulente politico di al-shabaka: the palestinian policy network.
trad: beniamino rocchetto – invictapalestina.org.
Segue da Pag.27: Abbandonato da Israele, il campo profughi di Gerusalemme viene lasciato a combattere da solo l’epidemia di COVID-19
di partenza è che la creazione di laboratori di analisi a Gerusalemme est è sufficiente per servire anche queste persone. Devono passare attraverso il checkpoint per farsi testare. Se, Dio non voglia, il checkpoint venisse chiuso, ci porremo questa domanda e daremo una risposta”. ![]() “Questa è una situazione pericolosa”, avverte Abir Joubran Dakwar, un avvocato dell’Associazione per i diritti civili in Israele. “Se il governo decide di chiudere il checkpoint, non saremo in grado di sapere se ciò sia giustificato per motivi di salute o se sia stato fatto per motivi politici. Secondo Farad Zaghir, un medico in una clinica di Shuafat, al momento non ci sono casi noti di COVID-19 nel campo. “È una bomba a orologeria”, afferma Zaghir, “è sufficiente che una persona si ammali perché il virus si diffonda rapidamente. Nella mia clinica mancano alcol, guanti, test per i lavoratori e mascherine protettive. Il personale non è ancora stato addestrato per affrontare il coronavirus. I dottori nel campo non hanno gli strumenti per affrontare la pandemia. È un’emergenza. Ho contattato il ministero della Sanità una settimana fa, ma non ci è ancora stato dato nulla”. Mentre Israele non fornisce la maggior parte dei servizi necessari ai quartieri palestinesi oltre il muro, continua a impedire all’Autorità palestinese di farlo. La scorsa settimana, la polizia di Gerusalemme ha arrestato Fadi al-Hadami, ministro degli affari di Gerusalemme dell’AP, così come il governatore dell’AP di Gerusalemme Adnan Ghaith sospettato di agire per conto del coordinamento dell’AP contro il coronavirus a Gerusalemme Est, violando così la sovranità israeliana. “Da un lato non ci danno diritti, dall’altro imprigionano chiunque cerchi di aiutare a colmare il vuoto lasciato da Israele”, dice Ja’abri. “Ora, mentre la pandemia si espande all’esterno, questa politica potrebbe benissimo finire con una catastrofe”. Muatasim, residente a Kufr Aqab, un altro quartiere di Gerusalemme oltre il muro, afferma di aver visto i rappresentanti dell’AP girare per le strade chiedendo ai residenti di rimanere a casa. “Hanno anche disinfettato il quartiere e svolto gran parte degli interventi che Israele ha trascurato”, aggiunge. “Il loro coinvolgimento è aumentato con il crescere della crisi. In passato quasi non li vedevo qui”. L’AP ha recentemente lanciato una campagna di donazione per cibo e attrezzature da destinare alle famiglie bisognose di Gerusalemme. L’organizzazione includeva un sito Web in cui i residenti della città potevano richiedere assistenza in forma anonima o fare donazioni volontarie. Secondo gli abitanti del campo profughi di Shuafat, molte famiglie del campo e di Kufr Aqab sono venute sul posto per chiedere aiuto, ma Israele gli ha ripetutamente impedito di passare. “Ecco perché hanno arrestato il governatore di Gerusalemme”, afferma Ja’abri. Intrappolati tra abbandono governativo e blocco degli aiuti da parte dell’Autorità Palestinese, i residenti dei quartieri sono rimasti orfani di fronte a una pericolosa pandemia. La città ha fatto ben poco oltre a sanzionare persone che violano le direttive di blocco del governo israeliano e, su richiesta dell’ONG israeliana Ir Amim, ha disinfettato alcune strade di Kufr Aqab. Alla luce dell’abbandono, nel campo sono emerse numerose organizzazioni indipendenti. “Distribuisco volantini con le istruzioni del Ministero della Sanità alle persone per strada”, ha detto Ja’abri, La nostra attività è dedicata all’insegnamento sul coronavirus ai bambini, perché sono i più attaccati ai nonni. “Profondamente pericolosi e ostili” Nelle ultime settimane, le organizzazioni locali e i leader del campo hanno allestito un centro di emergenza autofinanziato con attrezzatura di protezione, intraprendendo una serie di azioni per disinfettare gli spazi pubblici e fornire informazioni su COVID-19 ai residenti. “Siamo tutti uniti nella lotta contro il coronavirus”, afferma Aysar, uno dei residenti del campo. Circa un terzo dei residenti palestinesi di Gerusalemme vive in condizioni disastrose, di misera e povertà, dall’altra parte del muro. Munir Zughir, capo del comitato residenziale di Kufr Aqab, si chiede come sia possibile che l’opinione pubblica israeliana sia così indifferente a ciò che sta accadendo a Gerusalemme est. Secondo lui, sia la collettività che i rappresentanti del governo israeliano percepiscono la popolazione residente del quartiere come pericolosa e ostile, e che è una sufficiente “giustificazione” per isolarli. “Ti faccio un esempio”, dice Zughir. “Da un mese ormai le persone non hanno avuto entrate e la situazione è stata difficile. Lo stesso vale per molti luoghi, ma questa è una delle popolazioni più povere della città anche senza la crisi del coronavirus”. ![]() “Quando gli agenti della polizia di frontiera entrano armati nel campo, aumentano ovviamente le tensioni e gli adolescenti iniziano a lanciare pietre. Ma altri funzionari governativi non sono un problema”, afferma Ja’abri. “Ai cittadini israeliani viene raccontata la storia di una popolazione ostile e non cooperativa”, aggiunge. “E sì, c’è un’antipatia per gli israeliani che deriva da anni di oppressione e conflitto, questo ha ragioni politiche. Ma finché Israele controlla l’area, allora ne è responsabile e deve trovare un modo di intervenire, specialmente durante una crisi.” “Secondo me, il modo di affrontare la crisi è attraverso una più stretta cooperazione tra la leadership locale, su cui fanno affidamento i residenti, e le autorità israeliane. Stiamo tendendo la mano. Questa è una questione di vita o di morte, ma siamo ripetutamente ignorati, la negligenza continua e tutto ciò che sentiamo sono slogan sulla nostra mancanza di collaborazione”. Trad: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org La Pandemia mette a nudo il razzismo sistemico di Israele![]() Fonte – English versione Di Diana Buttu – 8 Aprile 2020 Mentre siedo in casa mia ad Haifa, in quarantena, come altri in tutto il mondo, non posso fare a meno di ricordare una precedente esperienza sotto il coprifuoco imposto da Israele. Diciotto anni fa, tra marzo e aprile del 2002, l’esercito israeliano ha nuovamente invaso la Cisgiordania, compresa la città in cui risiedevo in quel momento, Ramallah. Per mesi, siamo rimasti in isolamento mentre carri armati, jeep e soldati israeliani hanno seminato il terrore per le nostre strade e nelle nostre case. Abbiamo trascorso le giornate ascoltando il bilancio delle vittime aumentare e preoccupati di ciò che il futuro ci avrebbe riservato. Mentre l’azione iniziale è stata denunciata con una |
condanna internazionale, molto presto il blocco, e il terrorismo dell’esercito israeliano, sono
diventati “la normalità”. Pochi hanno alzato la voce per le punizioni collettive israeliane contro i palestinesi e per tutte le confische di terre e le demolizioni abitative effettuate dall’esercito.
Oggi non è diverso. Mentre il mondo è giustamente concentrato su “riduzione dei contagi” e “distanziamento sociale”, per fare fronte un’economia bloccata preoccupandosi dei propri cari, l’occupazione israeliana e il razzismo sistemico continuano a guidare la politica, proprio come hanno fatto nel corso della storia. Vivo con i miei genitori anziani, uno dei quali ha una serie di gravi problemi di salute, tra cui problemi respiratori. Come altri, mi preoccupo per loro e, naturalmente, per il mio giovane figlio. Ma non riesco a non pensare ai miei amici in Cisgiordania, in balia delle persecuzioni dell’esercito israeliano e dei coloni scatenati e violenti che vivono nei territori occupati in violazione del diritto internazionale. Sono preoccupata per miei amici che si “nascondono” perché Israele non gli ha mai permesso di vivere normalmente nel loro paese a causa dei loro documenti d’identità palestinesi. Mi preoccupo che vengano presi mentre si recano al negozio di alimentari e se potranno accedere alle cure, se necessario. E, naturalmente, non riesco a distogliere il mio pensiero da Gaza, terrorizzata dal fatto che il coronavirus infetti migliaia di persone assistendo impotente mentre i contagi aumentano. Blocco sotto occupazione Mi confortano le iniziative che i palestinesi hanno intrapreso per sostenersi a vicenda durante questo periodo, come abbiamo fatto durante altri periodi di chiusura e blocchi, sapendo che nonostante tutto, ci prenderemo cura gli uni degli altri, anche quando altri vogliono vederci scomparire. Nella Cisgiordania occupata, i palestinesi sono stati messi in isolamento per un mese, al momento della dichiarazione della quarantena, con scuole e imprese chiuse. Lo stato di emergenza dichiarato dall’Autorità Palestinese è già stato rinnovato per un altro mese, i palestinesi non solo temono ciò che accadrà a un’economia già dipendente e fragile, ma anche che l’epidemia non possa essere contenuta. Queste paure non sono ingiustificate: Israele ha da tempo il controllo sul sistema sanitario pubblico palestinese. Impedisce che apparecchiature essenziali come le macchine per le radiografie non solo non entrino a Gaza ma nemmeno nella Cisgiordania occupata fuori Gerusalemme est. E pur limitando l’accesso alle strutture sanitarie in Israele, le autorità di occupazione rendono anche difficile o impossibile per i palestinesi ottenere i permessi per recarsi negli ospedali relativamente meglio attrezzati di Gerusalemme Est. Ma i palestinesi non solo devono temere la perdita di vite umane, il collasso del sistema sanitario e dell’economia: devono anche temere le azioni quotidiane di Israele nei territori occupati. Da quando è stato dichiarato lo stato di emergenza, Israele ha effettuato arresti di massa (detenendo 85 persone, tra cui 10 bambini), ha continuato le demolizioni, costretto le persone ad auto-demolirsi la propria casa, sequestrato oltre 40 luoghi di lavoro e case mentre a tutto il mondo viene chiesto di “rimanere a casa.” I coloni israeliani continuano i loro attacchi, sia contro le persone che contro le proprietà, restando impuniti. Gaza rimane bloccata, anche se il settore sanitario è sull’orlo del collasso a causa del blocco israeliano che dura da più di 13 anni. I prigionieri palestinesi in detenzione israeliana sono tra i più vulnerabili. Dal 15 marzo, le norme di emergenza hanno concesso poteri quasi illimitati alle autorità carcerarie. Impediscono ai detenuti di incontrare le famiglie o gli avvocati e consentono la consultazione telefonica solo se un procedimento giudiziario è imminente. Per quelli di noi che vivono all’interno dei confini di Israele del 1948, il quadro è altrettanto desolante. Il razzismo israeliano guida la politica sul coronavirus. Dall’inizio dell’epidemia, Israele ha comunque promosso un’immagine di uguaglianza mostrando i medici palestinesi in prima linea nel trattamento dei pazienti con infezione da coronavirus per mascherare il suo razzismo. Allo stesso tempo ha punito solo i palestinesi per non “aver seguito le regole”, almeno all’inizio, anche se la maggior parte di coloro che sono risultati positivi fino ad oggi provengono da comunità religiose ebraiche. Israele ha emesso sanzioni contro gli imam per aver tenuto preghiere, pur permettendo alle sinagoghe di continuare i loro servizi senza interruzioni. I Mikvah, bagni rituali, sono rimasti aperti fino alla fine di marzo e gli yeshiva hanno continuato a operare durante la quarantena, anche se la continua inosservanza delle regole da parte di alcune comunità ultra-ortodosse potrebbe porre fine a tutto ciò molto presto. Discriminazione sistemica Ancora più grave è che fino al 2 aprile Israele abbia testato solo 4.000 cittadini palestinesi di Israele, per il virus. Questo è lo stesso numero di ebrei israeliani testati ogni giorno. Inizialmente le ordinanze di sicurezza e salute pubblica venivano forniti in ebraico e talvolta in russo e inglese, ma non in arabo. Da allora sono stati intensificati gli sforzi per fornire una guida in lingua araba, sebbene tali informazioni non siano ancora trasmesse in tempo reale. Solo 117 cittadini arabi in Israele sono stati diagnosticati su 6.211 a livello nazionale (circa il 2%) e solo 4000 sono stati testati – circa il numero di cittadini ebrei testati ogni giorno. Salvo intervento immediato, un disastro attende la minoranza araba. Ad eccezione degli ospedali esistenti prima del 1948 e nelle città con popolazioni miste, non ci sono ospedali nelle città palestinesi, e certamente nessuno è in grado di gestire volumi di pazienti affetti da coronavirus. Il disastro potrebbe essere imminente. Ma mentre i test rimangono inaccessibili, il monitoraggio no. Israele sta tentando di utilizzare i meccanismi di sorveglianza dello Shin Bet per rintracciare i pazienti affetti da coronavirus, una misura temporaneamente sospesa a causa dell’intervento del gruppo di diritti Adalah. Come sempre, è stata solo la società civile dei cittadini palestinesi di Israele e i loro legislatori che hanno respinto gli abusi dello stato, facendo anche pressioni per aumentare i test nelle città palestinesi, aumentare i finanziamenti per gli ospedali palestinesi e chiedere la fine dello stato di sorveglianza. Alcuni potrebbero credere che il coronavirus sia equo, che colpisca sia israeliani che palestinesi. Mentre il virus ha il potenziale per colpire tutti, il trattamento per esso è difficilmente egualitario. Piuttosto, a causa della discriminazione sistemica, l’approccio adottato da Israele è stato quello di dare la priorità alle vite degli ebrei israeliani rispetto alle vite palestinesi. Se questo virus si diffondesse ampiamente nelle comunità palestinesi, le conseguenze sarebbero disastrose. In breve, l’approccio israeliano al coronavirus è il culmine delle politiche razziste e coloniali storiche indiscindibili. All’indomani dell’invasione israeliana del 2002, molte situazioni sono diventate “normali:” incursioni notturne, blocchi infiniti, drastiche restrizioni al movimento per motivi di “sicurezza” e la demolizione delle case senza proteste significative. La mia paura è che una volta superata questa minaccia pandemica, verranno anche normalizzate alcune misure: dalla discriminazione nei trattamenti sanitari, al tenere in ostaggio i palestinesi e il loro sistema sanitario, alla sorveglianza, alle demolizioni abitative e ai blocchi, tutto in nome della “sicurezza pubblica”. ![]() Trad: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org |
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