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La VOCE 2012

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La VOCE ANNO XXIII N°4

dicembre 2020

PAGINA 3         - 23

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segue da pag.22: recensione de "miti e contromiti" di vladimir medinskij. è una narrativa ampiamente gradita in usa e in europa, come dimostra la recente risoluzione del parlamento dell’unione europea, tesa a retrodatare l’inizio della guerra all’accordo molotov-ribbentrop, in modo da imputarne la corresponsabilità a mosca. è per contrastare questa vulgata che medinskij, consigliere di putin per la memoria storica, ha scritto miti e contromiti. l’urss nella seconda guerra mondiale, che compare ora in italiano per i tipi dell’editore sandro teti, accompagnato da un interessante scritto di paolo de nardis sulla particolarità dell’innesto del marxismo nella cultura politica russa. la riscoperta della storia è una delle priorità della russia di oggi, decisa a risollevare l’orgoglio nazionale smarrito nelle autocommiserazioni della perestrojka e nelle incertezze degli anni ‘90. mosca ha elevato l’anniversario della resa della germania nazista a principale ricorrenza del calendario. eppure a quella guerra parteciparono attivamente gli altri popoli dell’urss. se nelle teorie razziali naziste i russi venivano degradati a subumani, l’insieme dei cittadini sovietici veniva considerato “una commistione di razze e popoli, i cui nomi sono impronunciabili e la cui essenza fisica è tale che l’unica cosa che ci si può fare è sparargli senza nessuna pietà e misericordia”, per usare le parole di himmler. la propaganda tedesca stimolò le fratture nazionali, per favorire il collaborazionismo, ma come dimostra il generalplan ost, in caso di vittoria berlino non avrebbe riservato agli altri popoli una sorte migliore di quella destinata ai russi. pagine che meriterebbero di essere ricordate da chi, dai paesi baltici all’ucraina, tende a considerare eroi nazionali coloro che collaborarono con il reich. recensione a cura di giordano merlicco. === il testo che segue è alla base dell'articolo pubblicato sul giornale triestino di lingua slovena "primorski dnevnik" il 20. novembre 2020. https://www.primorski.eu/se/. sloveni alle tremiti. l’italia fascista fu per l’intero ventennio disseminato di luoghi di detenzione ed isolamento in cui, oltre ai delinquenti comuni, furono reclusi, a migliaia, oppositori politici, ma anche omosessuali, protestanti, testimoni di geova e centinaia di allogeni che, va ricordato, con la stipula del trattato di rapallo del 1920, erano stati annessi entro i confini del regno d'italia (secondo i vecchi censimenti asburgici, ammontavano a 490.000 di cui circa 170.000 croati e circa 320.000 sloveni risiedenti nei distretti di tolmino, gorizia circondario, sesana, volosca, idria e fusine, vipacco, postumia e bisterza, nei quali gli sloveni rappresentavano la quasi totalità della popolazione).
con l'avvento del fascismo fu inaugurata nei confronti della comunità slovena una politica d'italianizzazione forzata, infatti gran parte degli impieghi pubblici furono assegnati agli appartenenti al gruppo etnico italiano, l'insegnamento della lingua slovena fu abolito nelle scuole, furono imposti d'ufficio nomi unicamente italiani a centinaia di località dei territori assegnati (r. decreto n. 800 del 29 marzo 1923), furono italianizzati molti cognomi sloveni o di diversa origine (regio decreto legge n. 494 del 7 aprile 1927), furono chiusi i giornali in lingua diversa da quella italiana, le banche e gli istituti di credito locali. tra la fine degli anni venti e l’inizio del secondo conflitto bellico non pochi furono gli sloveni sanzionati dal tribunale speciale ed inviati al confino per attività e diffusione di stampa antifascista, propaganda sovversiva o più frequentemente comunista, vilipendio di regime, appartenenza all’associazione slovena edinost, oltre al favoreggiamento di espatri clandestini. tra i tanti che per queste ragioni finirono al confino pugliese, un rimarco particolare merita vrabec vittorio; meccanico nativo di comeno, nel 1934 viene ammonito per organizzazione comunista, quindi condannato al confino di ponza dove si unisce ad un’agitazione collettiva che gli costa 10 mesi di carcere di poggioreale, prosegue la detenzione a tremiti, scarcerato è vigilato dalla polizia politica fino al 1943 quando si arruola nella resistenza. con l’invasione della jugoslavia della primavera 1941 e l’occupazione italiana della slovenia sud-occidentale, della banovina nord-occidentale, della dalmazia e delle bocche di cattaro, la persecuzione e la repressione degli allogeni sloveni oltre che degli sloveni stessi conobbe una notevole recrudescenza man mano che la resistenza slovena si faceva via via più irriducibile. il flusso, così, di internati sloveni verso i luoghi di detenzione italiana crebbe a dismisura riversandosi per buona parte in puglia dove, in quegli anni, erano allocati ben quattro campi: tremiti, manfredonia, alberobello, gioia del colle. il più importante, non solo in ambito regionale ma anche nazionale, fu senza dubbio tremiti che, dopo ventotene, era il sito che ospitava il numero maggiore di internati ed oppositori politici. le isole tremiti sono un arcipelago del mare adriatico a nord del promontorio del gargano composto da sei isole in cui nelle maggiori, san domino e san nicola, sin dalla seconda metà dell’ottocento, furono reclusi delinquenti comuni, prigionieri della guerra libica, e poi, a partire dalla fine degli anni venti, gli antifascisti. da un recentissimo censimento condotto dai ricercatori dell’ipsaic di bari, è emerso che gli allogeni reclusi nell’arcipelago garganico furono quasi 190, una novantina gli sloveni. un universo concentrazionario multiforme che, pur comprendendo principalmente uomini, annoverava anche numerose donne, tra cui ricordiamo la negoziante comunista, classe 1909, rejna sonia di comeno condannata dal tribunale speciale a 5 ..segue ./.
Segue da Pag.22: Recensione de "Miti e contromiti" di Vladimir Medinskij

È una narrativa ampiamente gradita in Usa e in Europa, come dimostra la recente risoluzione del Parlamento dell’Unione Europea, tesa a retrodatare l’inizio della guerra all’accordo Molotov-Ribbentrop, in modo da imputarne la corresponsabilità a Mosca. È per contrastare questa vulgata che Medinskij, consigliere di Putin per la memoria storica, ha scritto Miti e contromiti. L’Urss nella Seconda guerra mondiale, che compare ora in italiano per i tipi dell’editore Sandro Teti, accompagnato da un interessante scritto di Paolo De Nardis sulla particolarità dell’innesto del marxismo nella cultura politica russa. 

La riscoperta della storia è una delle priorità della Russia di oggi, decisa a risollevare l’orgoglio nazionale smarrito nelle autocommiserazioni della perestrojka e nelle incertezze degli anni ‘90. Mosca ha elevato l’anniversario della resa della Germania nazista a principale ricorrenza del calendario. Eppure a quella guerra parteciparono attivamente gli altri popoli dell’Urss. Se nelle teorie razziali naziste i russi venivano degradati a subumani, l’insieme dei cittadini sovietici veniva considerato “una commistione di razze e popoli, i cui nomi sono impronunciabili e la cui essenza fisica è tale che l’unica cosa che ci si può fare è sparargli senza nessuna pietà e misericordia”, per usare le parole di Himmler. 

La propaganda tedesca stimolò le fratture nazionali, per favorire il collaborazionismo, ma come dimostra il Generalplan Ost, in caso di vittoria Berlino non avrebbe riservato agli altri popoli una sorte migliore di quella destinata ai Russi. Pagine che meriterebbero di essere ricordate da chi, dai paesi baltici all’Ucraina, tende a considerare eroi nazionali coloro che collaborarono con il Reich.

Recensione a cura di Giordano Merlicco


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Il testo che segue è alla base dell'articolo pubblicato sul giornale triestino di lingua slovena "Primorski Dnevnik" il 20. novembre 2020

https://www.primorski.eu/se/


SLOVENI ALLE TREMITI

L’Italia fascista fu per l’intero ventennio disseminato di luoghi di detenzione ed isolamento in cui, oltre ai delinquenti comuni, furono reclusi, a migliaia, oppositori politici, ma anche omosessuali, protestanti, testimoni di Geova e centinaia di allogeni che, va ricordato, con la stipula del Trattato di Rapallo del 1920, erano stati annessi entro i confini del Regno d'Italia (secondo i vecchi censimenti asburgici, ammontavano a 490.000 di cui circa 170.000 Croati e circa 320.000 Sloveni risiedenti nei distretti di Tolmino, Gorizia circondario, Sesana, Volosca, Idria e Fusine, Vipacco, Postumia e Bisterza, nei quali gli Sloveni rappresentavano la quasi totalità della popolazione).

Con l'avvento del fascismo fu inaugurata nei confronti della comunità slovena una politica d'italianizzazione forzata, infatti gran parte degli impieghi pubblici furono assegnati agli appartenenti al gruppo etnico italiano, l'insegnamento della lingua slovena fu abolito nelle scuole, furono imposti d'ufficio nomi unicamente italiani a centinaia di località dei territori assegnati (R. Decreto N. 800 del 29 marzo 1923), furono italianizzati molti cognomi sloveni o di diversa origine (Regio Decreto Legge N. 494 del 7 aprile 1927), furono chiusi i giornali in lingua diversa da quella italiana, le banche e gli istituti di credito locali. 
Tra la fine degli anni venti e l’inizio del secondo conflitto bellico non pochi furono gli sloveni sanzionati dal Tribunale Speciale ed inviati al confino per attività e diffusione di stampa antifascista, propaganda sovversiva o più frequentemente comunista, vilipendio di Regime, appartenenza all’associazione slovena Edinost, oltre al favoreggiamento di espatri clandestini. Tra i tanti che per queste ragioni finirono al confino pugliese, un rimarco particolare merita Vrabec Vittorio; meccanico nativo di Comeno, nel 1934 viene ammonito per organizzazione comunista, quindi condannato al confino di Ponza dove si unisce ad un’agitazione collettiva che gli costa 10 mesi di carcere di Poggioreale, prosegue la detenzione a Tremiti, scarcerato è vigilato dalla polizia politica fino al 1943 quando si arruola nella resistenza. 

Con l’invasione della Jugoslavia della primavera 1941 e l’occupazione italiana della Slovenia sud-occidentale, della Banovina nord-occidentale, della Dalmazia e delle Bocche di Cattaro, la persecuzione e la repressione degli allogeni sloveni oltre che degli sloveni stessi conobbe una notevole recrudescenza man mano che la resistenza slovena si faceva via via più irriducibile. 
Il flusso, così, di internati sloveni verso i luoghi di detenzione italiana crebbe a dismisura riversandosi per buona parte in Puglia dove, in quegli anni, erano allocati ben quattro campi: Tremiti, Manfredonia, Alberobello, Gioia del Colle. 
Il più importante, non solo in ambito regionale ma anche nazionale, fu senza dubbio Tremiti che, dopo Ventotene, era il sito che ospitava il numero maggiore di internati ed oppositori politici. 
Le isole Tremiti sono un arcipelago del mare Adriatico a nord del promontorio del Gargano composto da sei isole in cui nelle maggiori, San Domino e San Nicola, sin dalla seconda metà dell’Ottocento, furono reclusi delinquenti comuni, prigionieri della guerra libica, e poi, a partire dalla fine degli anni venti, gli antifascisti. 
Da un recentissimo censimento condotto dai ricercatori dell’IPSAIC di Bari, è emerso che gli allogeni reclusi nell’arcipelago garganico furono quasi 190, una novantina gli sloveni. 
Un universo concentrazionario multiforme che, pur comprendendo principalmente uomini, annoverava anche numerose donne, tra cui ricordiamo la negoziante comunista, classe 1909, Rejna Sonia di Comeno condannata dal Tribunale Speciale a 5

..segue ./.

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