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La VOCE ANNO XIX N°9

maggio 2017

PAGINA c         - 31

"Una cinica, spudorata aggressione"

Dichiarazione di Ghennady Zyuganov, Presidente del Partito Comunista della Federazione Russa

da kprf.ru

Traduzione dal russo di Mauro Gemma

Nella notte del 7 aprile la US Navy ha attaccato con missili da crociera la base aerea della Siria nei pressi della città di Homs. Secondo il Pentagono, questa azione è una risposta all’utilizzo da parte dell’aviazione siriana di armi chimiche contro Idlib, una delle città della provincia, che si trova sotto il controllo dei combattenti terroristi.

Secondo tutte le norme del diritto internazionale, le azioni degli Stati Uniti sono un’aggressione contro uno stato sovrano. La Carta dell’ONU consente l’utilizzo della forza solo sulla base di una decisione del Consiglio di Sicurezza stesso allo scopo di prevenire minacce alla pace mondiale. Inoltre, non solo non c’è stata la decisione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ma neppure un elementare e obiettivo esame di quanto accade. Ci troviamo di fronte alla recidiva della politica del “grosso bastone”, che ha portato agli interventi distruttivi contro la Jugoslavia, l’Iraq, l’Afghanistan e la Libia.

In questa storia criminale tutto è cucito con fili sporchi. Ricordiamo che le armi chimiche sono state rimosse completamente dalla Siria tre anni fa. Le accuse contro le forze aeree della Siria sono state avanzate sulla base di illazioni di un’opposizione irriducibile, strettamente legata ai servizi segreti degli USA. Inoltre, non c’è da riporre alcuna fiducia nei confronti dell’intelligence degli Stati Uniti. Nessuno ha dimenticato come nel 2003 Colin Powell si era presentato al Consiglio di Sicurezza dell’ONU con le prove sulle presunte “armi biologiche irachene”. Tuttavia, nessuna arma di distruzione di massa è stata trovata dopo l’intervento degli USA e dei suoi alleati in Iraq.

Gli americani non sono autorizzati a dare giudizi morali. Sono ancora fumanti le rovine di Mosul dove nelle case, rase al suolo dalle forze aeree degli Stati Uniti, sono morti centinaia di civili. E nessuno ha dimenticato l’uso dell’inumano napalm e del mostruoso “agente Arancio” da parte delle truppe americane in Vietnam. Le conseguenze di questi crimini di guerra si fanno sentire ancora oggi. Il bombardamento della Siria nel giorno della festa dell’Annunciazione dimostra che gli “umanisti” americani sono ben lontani dai valori più alti della cristianità.

Rileviamo che, secondo gli esperti, le autorità siriane non avevano alcuna necessità di usare armi chimiche. L’esercito della Siria, con il sostegno delle forze aeree russe, controlla saldamente l’andamento della guerra contro il terrorismo internazionale. Inoltre, il governo della Siria si è impegnato a trasferire la guerra civile sul piano di una soluzione pacifica ed evita azioni che possano compromettere la ricerca della pace in questo travagliato paese. “Chi trae vantaggio?”. E’ del tutto ovvio che ciò è utile esclusivamente agli estremisti dell’ISIS combattuti dalla Russia e dai paesi occidentali e del Medio Oriente, che stanno dietro il terrorismo internazionale.

L’ISIS e i suoi sponsor, che hanno subito una sconfitta dopo l’altra sul campo di battaglia, cercano di portare lo scontro sul piano della guerra dell’informazione con il sostegno degli Stati Uniti, che controllano i media del mondo. Non è il primo ed evidentemente neanche l’ultimo tentativo di accusare con menzogne il governo della Siria di utilizzare armi proibite.

Non c’è dubbio che l’atto di aggressione contro la Siria da parte degli USA sia causato da considerazioni politiche puramente interne. Il presidente Trump, attaccato dai suoi avversari, cerca una scusa per dimostrare la propria determinazione a contrapporsi alla Russia.

Non molto tempo fa, quando la “trumpmania” aveva investito parte dell’élite russa in relazione alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, il PCFR aveva messo in guardia: qualsiasi inquilino della Casa Bianca continuerà a perseguire una politica nell’interesse dell’oligarchia finanziaria mondiale. Così sarà, anche se questa politica dovesse non coincidere con gli interessi del popolo americano e con i punti di vista personali del nuovo presidente. I servizi speciali e militari degli USA “hanno piegato” la squadra di Trump alcuni giorni fa dopo la sua dichiarazione sul rifiuto di fatto di puntare al rovesciamento di Bashar al-Assad.

Abbiamo ancora una volta ricevuto la conferma che la politica estera degli Stati Uniti è determinata dagli interessi di classe del grande capitale. Trump è obbligato ad agire contro non solo alle sue promesse elettorali, ma anche contro la Costituzione degli USA, prendendo decisioni importanti senza consultare il Congresso. Naturalmente, nessuno ha chiesto il parere degli alleati europei degli Stati Uniti.

La nuova amministrazione degli Stati Uniti si comporta in modo più duro per quanto riguarda le nostre relazioni bilaterali. E non ha senso essere sorpresi. In un mondo come questo solo i forti, gli intelligenti e coloro che hanno successo incutono rispetto. E nella situazione in cui l’economia russa è in crisi, quando rialzano la testa la lebbra “arancione”, la russofobia e l’antisovietismo, non ha senso aspettarsi una partnership paritaria da parte dell’America.

L’azione degli Stati Uniti in Siria è una sfida diretta alla Russia. Questa sfida richiede dal nostro paese una politica interna qualitativamente diversa. E’ necessario esaminare la nuova realtà mondiale al più alto livello con la partecipazione di tutte le forze patriottiche. E’ indispensabile rafforzare i legami con i nostri partner dell’Unione Eurasiatica, dei BRICS e dell’Organizzazione della Cooperazione di Shanghai.

Solo una Russia forte con una potente economia, una scienza di avanguardia, una formazione di alta qualità e forze armate potenti, è in grado di difendere i propri interessi nel mare turbolento e aspro della politica mondiale. Ciò esige l’immediato rifiuto del fallimentare corso economico-sociale, imposto al nostro paese 25 anni fa. All’ordine del giorno c’è la creazione di un Governo di fiducia nazionale, capace di portare la Russia fuori dal vicolo cieco, in cui è stata spinta dall’attuale gruppo dirigente.

"La sporca guerra
contro la Siria"

T. Anderson: Il Fatto Quotidiano

Siria, per uscire dal conflitto c’è un’unica via: istituire una commissione d’inchiesta Onu

di Claudia De Martino (Centro Studi Unimed)

Il 4 aprile in Siria si è avuto un ennesimo attacco chimico che ha provocato 86 morti, tra cui circa 30 bambini intossicati ancora nel sonno nel loro villaggio di Khan Sheikhun, a sud della città di Idlib.

L’Ansa ricorda trattarsi dell’ultimo attacco di una lunga serie, di cui il più terribile fu nell’estate del 2013 nella Ghuta orientale con 1.400 vittime del gas sarin, solo in quell’occasione rilasciato da missili terra-terra invece che, come questa volta, da bombardamenti aerei. Il sarin è utilizzato per provocare perdite massime al termine di dolori terribili. Si tratta, dunque, di un’arma letale che non lascia alcuna possibilità di fuga.

Perché tale accanimento contro un piccolo villaggio come Khan Sheikhun?

Il quotidiano Al Monitor rivela che il villaggio era già stato ripetutamente bombardato dalla coalizione pro-regime, dall’aviazione russa, ma anche dagli aerei della coalizione anti-Isis statunitense perché ospitava la roccaforte di due temibili gruppi jihadisti – Jeysh al-Fatah e il Fronte Fatah al-Sham-, uniti nell’alleanza anti-Assad.

La posizione del villaggio è rilevante perché collocata lungo una delle maggiori vie di comunicazione della cosiddetta “Siria utile” o “Assadistan”, com’è stata ribattezzata la parte di territorio che il regime sta tentando di riconquistare. La notizia assume più senso se contestualizzata all’interno dell’offensiva che le forze pro-regime stanno compiendo per assicurare al proprio controllo una serie di “sacche di resistenza” ribelli. Tuttavia, il governo Assad nega di aver utilizzato armi chimiche e rilancia, denunciando di non possederne dal almeno quattro anni, ovvero da quando il regime ne affidò lo smantellamento alla Russia con l’accordo del 2013.

Anche la Federazione russa nega che si tratti di un attacco del regime, sottolineando che in questa fase l’utilizzo di armi chimiche possa risultare controproducente al rilancio del processo di pace “Ginevra III” in corso in questi mesi. Chi ha utilizzato tali armi, tuona Putin, era interessato a scardinare tale processo e deligittimare Assad proprio nel momento in cui gli Usa avevano assicurato di non puntare più alla rimozione del Presidente siriano. Il governo russo considera, dunque, possibile si sia trattato di un incidente: ovvero di un bombardamento che è andato accidentalmente a colpire un deposito di armi chimiche non ancora smantellato detenuto dai ribelli o caduto in mano agli stessi dopo la conquista del villaggio. L’argomento che solo il governo Assad potesse possedere armi chimiche e le forze ribelli no, è stato sconfessato in vari rapporti dell’intelligence Usa, che sostengono che al-Nusra ed altre formazioni ribelli li abbiano già impiegati in varie occasioni.

Tim Anderson, un ricercatore di politica economica presso l’Università di Sidney e autore di “La sporca guerra contro la Siria. Washington, regimi e resistenza”, sostiene che nel caso precedente, l’attacco chimico del 2013 nella regione del Ghouta vicino a Damasco, il timing del bombardamento chimico da parte di Assad sarebbe stato particolarmente sbagliato, dato che era avvenuto in presenza degli ispettori della missione Onu a Damasco su invito del regime. Qualcosa di simile a quanto avvenuto ora, in una fase in cui il regime ha riguadagnato sia terreno che credito, in particolare presso le cancellerie occidentali. Le forze ribelli, incluse quelle jihadiste, avrebbero dunque tutto l’interesse a screditare il regime, in modo da sollecitare un intervento militare dell’appena insediato presidente Trump, che fino a oggi era apparso fin troppo conciliante nelle sue posizioni sul regime.

In questo, come in altri casi, quando si leggono notizie come attacchi ad alto potenziale di destabilizzazione come quello chimico avvenuto pochi giorni fa, è necessario contestualizzare l’informazione, chiedendosi in primis a chi possa beneficiare e, in secundis, verso quali scenari possa condurre.

Nessuna possibilità è esclusa e depennabile dalla lista a priori: il regime potrebbe aver deciso di imprimere un’accelerazione alla sua operazione di “pulizia” degli oppositori, dimostrando, come già avvenuto in passato, il suo totale disprezzo per la vita umana e per quella dei suoi cittadini in particolare: avrebbe così adoperato il gas per liberare più velocemente una piccola sacca di resistenza ribelle in una zona sensibile, capitalizzando sulla protezione diplomatica della Russia.

Oppure alcune formazioni ribelli, appoggiate o comandate a distanza da Stati sunniti potenti della regione come Arabia Saudita, Qatar e Turchia, avrebbero potuto condurre l’attacco o metterlo in scena per poi attribuire la responsabilità al regime, con l’obiettivo dichiarato di spingere il nuovo governo Usa a un coinvolgimento militare diretto in Siria e alla sospensione dei colloqui di pace.

Non ci sono elementi certi in questo come in altri episodi analoghi le cui esatte fonti di informazione e dati è difficile accertare, quello che è sicuro è che, per evitare il rischio di manipolazioni dall’una o dall’altra parte, è necessario come società civile chiedere a gran voce che venga istituita una commissione d’inchiesta Onu il più possibile imparziale, capace di mandare i suoi ispettori sul campo, e di accertare il più verosimilmente possibile la natura e la composizione degli agenti chimici utilizzati e l’eventuale responsabilità dell’attacco.

Poi, solo sulla base dei suoi risultati, sarà possibile approdare a un’idea più certa di cosa stia accadendo in Siria e come intervenire, sperando che la risposta univoca non sia solo e sempre un altro bombardamento presumibilmente “umanitario” occidentale, come quello operato dal Presidente Trump la scorsa notte – in realtà, nient’altro che una rappresaglia simbolica e autocelebrativa – ma il tentativo di raggiungere davvero un difficile compromesso tra le parti, sostanzialmente ingiusto come lo sono sempre gli accordi politici, che sappia però mettere fine a sei anni di sanguinoso conflitto.

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