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La VOCE 1705

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La VOCE ANNO XIX N°9

maggio 2017

PAGINA 2         - 22

Segue da Pag.22: BOMBARDAMENTI N.A.T.O. SULLA JUGOSLAVIA: ALCUNE NOTE BIBLIOGRAFICHE

medias res (cioè già durante quella funesta primavera 1999) o subito dopo (4), non è stato dato seguito con opere di saggistica che potessero fornire un bilancio onnicomprensivo, soprattutto relativamente ai numeri delle vittime sul medio e lungo termine, dovute alle ferite e alle malattie spec. oncologiche. Con il colpo di Stato dell'ottobre 2000, che usufruendo della "manovalanza" di Otpor e affini ha cercato di imporre, con relativo successo, un nuovo corso liberista ed euro-atlantico al paese, è mancata la volontà politica di organizzare i necessari studi epidemiologici, che evidenziassero gli aumenti dei decessi per malattie da stress post-traumatico, spec. cardiovascolari, ma soprattutto per cancro. Ricordiamo che la N.A.T.O. nel '99 ha intenzionalmente colpito depositi di materiali chimici venefici, come il cloruro di vinile monomero delle raffinerie di Pančevo, ed ha cosparso Kosovo, Serbia e Montenegro di uranio depleto, usato per rendere più perforanti i proiettili, con sicuro grave effetto cancerogeno. Sugli aumenti dei decessi esistono pochi articoli sparsi e provvisori, soprattutto in lingua inglese, insufficienti a rendere il quadro definitivo.

In Italia l'interesse per questi argomenti è costantemente e fortemente scemato negli anni, parallelamente al moltiplicarsi delle aggressioni della N.A.T.O. contro i paesi e i popoli "canaglia", che hanno costretto i militanti anti-guerra a disperdere l'attenzione e le informazioni tra troppi scenari diversi; d'altronde, ha pesato e pesa drammaticamente la stessa crisi del movimento contro la guerra, che ha accompagnato la crisi delle sinistre e della politica più in generale. In ambito accademico – contesto che è di per sé in grave crisi per ragioni che esulano dalle tematiche che stiamo affrontando, e su cui non ci soffermiamo – in tutti questi anni sono state prodotte poche tesi e non è stata promossa alcuna attività pubblica a livello istituzionale; a testimonianza di un momento felice dell'impegno e del cimento scientifico che fu, restano i volumi e le iniziative del Comitato Scienziate/i contro la guerra, che però interruppe le attività, per divergenze interne, appena dopo la aggressione all'Iraq (5).

A parte il lavoro scientifico e di saggistica, sui bombardamenti della N.A.T.O. esiste una produzione, meno rilevante, di carattere memorialistico e letterario, prevalentemente segnata dalle prospettive individuali-personali e da una scarsa qualità di scrittura. In lingua italiana sotto questo profilo sono state pubblicate alcune cose interessanti spec. dalle edizioni La Città del Sole di Napoli (6), che comunque non sono focalizzate solamente su quella drammatica primavera, bensì di solito spaziano su archi temporali ben più ampi: si tratta in ogni caso di testimonianze dirette. 
Recentemente siamo venuti a conoscenza della pubblicazione di un romanzo di uno scrittore serbo, tale Saša Stojanović (7), che non abbiamo potuto leggere ma che viene presentato sui siti mainstream di informazione sulla situazione nel sud-est europeo, come Osservatorio Balcani Caucaso, in maniera da rendercelo subito indigesto e sgradito: la difesa dalla aggressione della N.A.T.O. del 1999 è liquidata come una ingiustificata avventura voluta da un "governo che li aveva mandati a uccidere ed essere uccisi" e che "non si prende briga dei suoi uomini". Non è tentata alcuna spiegazione o analisi degli eventi se non "la totale mancanza di senso in quello che accade"... Complimenti! Un simile qualunquismo è un pessimo servizio reso alle vittime: se il romanzo davvero contiene questo, non possiamo che sconsigliarne fortemente l'acquisto.

Andrea Martocchia


(2) Radovan Radinović: "Karakter ratova za razbijanje Jugoslavije". Beograd: Beogradski Forum za svet ravnopravih, 2016 (in cirillico).
(3) Elena Guskova (a cura di): "Balkanska kriza". Moskva: Slovenski institut Ruske akademije nauka (RAN), Centar za izućavanje cabremene balkanske krize, 2016 (ref. in serbocroato ma il libro è in russo).
(4) Ci riferiamo ovviamente innanzitutto ai "Libri bianchi" di fonte governativa ("NATO Crimes in Yugoslavia - Documentary Evidence") e poi alle altre opere edite "a caldo", anche in Italia, delle quali è possibile trovare tutti i riferimenti alla pagina: http://www.cnj.it/24MARZO99/index.htm#biblio
(5) Copia del vecchio sito del Comitato è disponibile all'indirizzo: http://www.cnj.it/scienzaepace/ .
(6) In merito si consiglia di scorrere la pagina http://www.cnj.it/documentazione/bibliografia.htm .
(7) Saša Stojanović: "Var". Ensemble edizioni, 2015 (trad. Anita Vuco).


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GIORNATE DI CAMPAGNA ELETTORALE IN SERBIA

Redazione di Voce Jugoslava su Radio Città Aperta

La primavera ha fatto irruzione a Belgrado con una temperatura media di 25 gradi di giorno – molto meno di notte, come in ogni clima continentale che si rispetti. Sono giornate limpide e colorate da una splendida fioritura di violette, adatte a una campagna elettorale energica e aggressiva come è quella per le elezioni presidenziali in calendario il prossimo 2 aprile
Sono però anche i giorni dell'anniversario dell'inizio della aggressione della NATO (24 marzo 1999). Quella ferita non è rimarginata, nonostante il tempo passato, le ristrutturazioni di molti degli edifici bombardati, che fanno storcere il naso a chi non vuole dimenticare, e i nuovi rapporti politici, sociali e macro-economici instauratisi dopo il "cambio di regime". Le strade di Belgrado si sono riempite di insegne luminose in stile occidentale, la viabilità ha subito trasformazioni importanti – con la costruzione di nuove autostrade e spettacolari ponti sui fiumi Sava e Danubio, anche grazie
all'imprenditoria cinese. I nuovi ponti non cancellano però dai cuori le immagini di quelli "colpiti e affondati" dalla NATO né di quelli occupati da migliaia di cittadini che, urlando slogan e ballando, in quella primavera del 1999 mostravano al mondo intero fieramente i cartelli con la scritta TARGET.
L'anniversario a Belgrado è celebrato nell'arco di un paio di giorni attraverso qualche conferenza con tema geopolitico e cerimonie in memoria dei caduti; la campagna elettorale potrebbe invece durare fino al 16 aprile, in caso di ballottaggio. L'opzione più probabile, e certamente la meno peggio da vari punti di vista, date le condizioni reali esistenti, è che vinca l'attuale primo ministro Aleksandar Vučić, che darebbe così il cambio al suo compagno di partito Tomislav Nikolić. Alle ultime elezioni politiche il loro Partito Progressista Serbo (SNS, una scissione moderata del Partito Radicale di Šešelj) ha incassato oltre il 48% dei voti. I due in tandem hanno gestito in questi anni la cosa pubblica e la collocazione della Serbia sulla scena internazionale con pacatezza ed equilibrio, riuscendo a garantire il posizionamento "centrale" del paese nella contesa sempre più dura apertasi tra Occidente e Federazione Russa: una contesa culminata con la guerra civile in Ucraina, che sotto numerosi aspetti assomiglia alla guerra – fratricida e imperialista assieme – che ha cancellato la Jugoslavia dalle carte geografiche tra il 1991 e il 2008 ed i cui strascichi permangono sotto forma di gravi tensioni e sfacciate ingerenze esterne. 

Non è questa la sede per approfondimenti sulla situazione in tutta l'area, ma per comprendere la precarietà quasi miracolosa dell'equilibrio serbo vanno richiamate le delicatissime situazioni esistenti nei paesi vicini. Nella FYROM (Macedonia di Skoplje), essendo fallito il progetto terrorista pan-albanese con la operazione di Kumanovo del maggio 2015, UE e NATO da molti mesi lavorano a rinfocolare lo scontro politico ed etnico cercando di imporre un governo socialdemocratico sostenuto dai secessionisti albanofoni al posto dell'attuale governo di impronta patriottica. In Montenegro, le stesse UE e NATO lo scorso ottobre hanno "coperto" l'ennesimo  "golpe bianco" del "presidente eterno", il camorrista Milo Djukanović, che ha inscenato una operazione mediatico-repressiva proprio nel giorno delle elezioni politiche, garantendo così la vittoria formale del blocco atlantista che sta portando il piccolo paese nella NATO contro la volontà della maggioranza della sua popolazione. In Bosnia-Erzegovina la Repubblica Srpska difende con i denti alcune prerogative di sovranità che in tutti i modi il regime semicoloniale, instaurato dopo gli Accordi di Dayton, le vuole sottrarre: principale tra tutti, anche in questo caso, è il diritto a non entrare a far parte della NATO contro la volontà del proprio popolo, anch'esso bombardato nel 1994-1996. 
Per quanto dunque riguarda la Serbia, il focolaio principale di crisi rimane ovviamente (lo è da 30 anni a questa parte) il Kosovo, che i paesi NATO hanno provato a strapparle a forza di atti militari e diplomatici unilaterali e illegali (1). Violenze, ingiustizie, provocazioni e polemiche non sono mai cessate dal giugno 1999 (momento della occupazione congiunta NATO-UCK del territorio) in poi, inclusa ovviamente la dichiarazione di indipendenza del 2008. Però sono adesso all'ordine del giorno nuovi passaggi simbolici dalla valenza potenzialmente lacerante, in particolare: la nuova decisione del "Parlamento" di Pristina di "nazionalizzare" i beni jugoslavi (ricordiamo la straordinaria ricchezza mineraria di quel territorio e tutte le infrastrutture industriali ad essa collegate) e l'annuncio della formazione di un "esercito del Kosovo" (fatto su misura, ovviamente, per la adesione alla NATO).

Ritornando dunque ai leader SNS, data la preoccupante situazione al contorno e globale, il loro equilibrio è apprezzato da tutti i soggetti internazionali: da Occidente – si pensi al gesto della visita di Vučić a Srebrenica – come da Oriente – visti i rapporti sempre più stretti, specialmente dal lato economico, con la Cina e ovviamente la Russia, con cui è stato stretto un accordo di partnership strategica nel 2014. In virtù di tale equilibrio, che potremmo definire opportunistico, gli anni del governo SNS sono stati finora contrassegnati dalla accumulazione di energie, anche economiche, nel segno ovviamente del nuovo corso liberista seguito al golpe dell'ottobre 2000.
Un orientamento liberista più acceso è propugnato dai candidati alla presidenza filo-occidentali: dall'ex "difensore civico" (ombudsman) Janković all’ex premier Živković ("Partito Nuovo"), dall’ex ministro degli Esteri Jeremić (di recente candidato a Segretario Generale dell’ONU, ma significativamente sgradito anche alla Russia) all’ex ministro dell’Economia Radulović, ed altri ancora. Tutti costoro erano però assenti dal Parlamento il giorno della visita della Rappresentante dell'UE Mogherini, a causa di una controproducente protesta che hanno voluto inscenare contro la sospensione della attività parlamentare in campagna elettorale. Nel Parlamento della capitale serba la Mogherini non ha trovato perciò applausi, come avrebbe voluto, bensì la sonora e plateale contestazione da parte dei deputati delle opposizioni di destra,cioè Dveri e il Partito Radicale con Vojslav Šešelj in testa. Dinanzi alla contestazione << Vučić, impassibile tra le fila della maggioranza di governo, è apparso ancora una volta come l’unico interlocutore possibile per l’UE >> (2). Allo stesso Šešelj il circo mediatico, evidentemente diretto da "spin doctors" assai professionali formatisi in chissà quali istituti anglosassoni, ha attribuito il ruolo di candidato per eccellenza della parte più apertamente anti-europeista e anti-occidentale dell'opinione pubblica; alle consuete scritte sui muri ed ai manifesti scoloriti affissi dai militanti si sono aggiunti in queste settimane molti manifesti patinatissimi e bene illuminati che ne espongono il faccione con insistenza. Oltre al provocatorio Šešelj, sul fronte nazionalista alle elezioni c'è il rappresentante di Dveri, Obradović, ed il debole candidato del partito DSS che fu di Koštunica – Popović.

La sinistra non presenta candidati. I socialisti (SPS e Movimento dei Socialisti) sono oramai da molti anni in coalizione con l'SNS e dunque appoggiano Vučić. La sinistra di classe doveva essere rappresentata da Zeljko Veselinović, coordinatore del sindacato SLOGA (federato alla Federazione Sindacale Mondiale), per la iniziativa civica "Il lavoratore non è merce": ma appena il 5 marzo con una dichiarazione pubblica rilasciata via YouTube Veselinović ha comunicato che "a causa delle condizioni impossibili" (spec. dal punto di vista economico) poste per la presentazione della lista e la partecipazione alle elezioni, doveva rinunciare alla competizione. È l'ennesima volta che le formazioni anticapitaliste sono tenute fuori dalle competizioni elettorali tramite tagliole burocratiche e finanziarie.

..segue ./.

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