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La VOCE 2006

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La VOCE ANNO XXII N°10

giugno 2020

PAGINA b         - 26

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Segue da Pag.25: TERRITORIO E IDENTITÀ. I segreti dello zaatar, l'oro verde delle colline palestinesi. sbocciano all’apice degli steli. Il termine arabo zaatar si riferisce ad entrambe. Entrambe sono originarie della zona che va dal Mediterraneo al nord Africa ed entrambe sono utilizzate dalla notte dei tempi, sia per usi alimentari che medicinali e igienizzanti. L’olio essenziale di timo, in particolare, veniva già usato dagli egiziani per le imbalsamazioni data la sua capacità di impedire la putrefazione essendo fortemente antibatterico. I nomi scientifici delle due piante che gli arabi chiamano zaatar provengono dal greco: Origanum, significa splendore della montagna, forse per la bellezza dei suoi cespuglietti durante la fioritura, mentre Thymus ha un significato più complesso, che possiamo sintetizzare in “principio di vitalità, coraggio, vigore, respiro” e si riteneva desse beneficio al cuore e ai polmoni. Si trattava di credenze popolari, certo, ma l’esame dei principi attivi, avvenuto tanti secoli dopo, dà senso a quelle credenze offrendo loro una veste scientifica ormai consolidata. Infatti, le numerose vitamine contenute nello zaatar, tra cui la vitamina K, un anticoagulante il cui fabbisogno giornaliero è soddisfatto con soli 4 g di quest’erba; le proprietà antiossidanti dovute al contenuto di Omega3 e Omega6; i numerosi sali minerali tra cui il calcio, il fosforo, il magnesio e il potassio che hanno effetto positivo sia sul sistema circolatorio che sull’apparato osseo e sul sistema nervoso; i due più importanti fenoli (il timolo e il carvacrolo) che ne fanno un ottimo antidoto contro le infezioni dell’apparato respiratorio, rendono lo zaatar un prezioso regalo della terra ai palestinesi i quali, grati di ciò, hanno fatto di queste aromatiche un alimento presente ad ogni pasto, con aggiunta di sesamo e a volte di sumaq e inseparabile da ogni tavola che riconosca nella tradizione alimentare anche la propria identità culturale. Tentando un’ipotetica correlazione tra le proprietà antinfiammatorie, protettrici delle vie respiratorie, fluidificanti e altamente immunizzanti di questo alimento consumato quotidianamente in grande abbondanza in Palestina, e il basso numero di palestinesi aggrediti dall’epidemia di Covid-19, senza attribuire allo zaatar proprietà miracolose, alcuni palestinesi ipotizzano che il suo potere di stimolare il sistema immunitario possa essere uno dei motivi per cui i palestinesi, nonostante le condizioni in cui sono costretti a vivere, siano meno colpiti dal nuovo virus di quanto non lo siano gli israeliani i quali, pur vivendo sulla stessa terra palestinese, provengono in gran parte da paesi occidentali ed hanno diverso patrimonio genetico e diverse culture alimentari. Israele sa che lo zaatar ha realmente la capacità di tonificare il corpo e la mente, come afferma ogni palestinese e, con la scusa strumentale di proteggere l’ambiente (lo stesso che occupa illegalmente) tenta da decenni di impedirne ai palestinesi la raccolta. Poi, basta fare un giro per le erboristerie di Gerusalemme ovest per scoprire che lo zaatar palestinese viene venduto in forma di olio essenziale o di tintura madre o di droga secca per tisane col nome di “israeli thyme”! Comunque lo si chiami, l’uso alimentare che ne fanno i palestinesi rende lo zaatar una delle erbe che segnano l’identità di questo popolo letta attraverso il cibo, quel trasmettitore di cultura antropologica che si lega alla terra e che si può riscontrare ovunque, dalla poesia alla tavola, ricca o povera che sia, in qualunque angolo della Palestina e, come scriveva Salman Natur in “Memoria”, è l’erba che dà vita a ricordi che gli occupanti vorrebbero cancellare. I palestinesi sanno bene che è proprio da questa terra che viene la loro forza e, sempre citando Salman Natur, sanno che se perderanno la memoria le iene li sbraneranno. Nena News. Palestinesi in Italia. Comunicato stampa API. Nakba: a 72 anni dal Disastro -15 Maggio 2020. Nel 1948, i Palestinesi subirono la più grande tragedia della loro storia, la Nakba (catastrofe). La nakba causò l'espulsione di 750.000 Palestinesi, sia all'interno che all'esterno dei territori destinati allo stato ebraico con il Piano di Ripartizione delle Nazioni Unite del 1947 che facilitò la creazione di Israele sul 78% della Palestina storica. Tale evento portò a un tragico punto di svolta nella vita dei Palestinesi attraverso il saccheggio della loro terra, cultura, proprietà, ricchezza e destino, i massacri e pulizie etniche sistematiche e lo sradicamento e dislocazione, per mano delle bande sioniste, di decine di migliaia di autoctoni, e l'apolidia tuttora in corso. Le risoluzioni ONU, le convenzioni di Ginevra, dell'Aja, il diritto internazionale in generale, ribadiscono con forza il Diritto al Ritorno dei Palestinesi alla loro patria, da dove furono scacciati attraverso massacri perpetrati da bande terroriste sioniste: un esempio emblematico è il massacro di Deir Yassin (Dayr Yāsīn), durante il quale furono assassinati oltre 200 Palestinesi. Inoltre, più di 780 tra città e villaggi furono svuotati dai loro abitanti. Come confermato da molti storici e ricercatori, tra i quali Ilan Pappe ne "La pulizia etnica della Palestina", il dislocamento forzato dei Palestinesi fu un processo programmato e pianificato al fine di ripulire la Palestina della sua popolazione araba, e fu accompagnato da campagne intensive di terrore e massacri che indussero i sopravvissuti a lasciare i loro villaggi e città, che vennero occupati dai colonizzatori sionisti. Pulizia etnica della Palestina e colonizzazione. I fatti della Nakba, in realtà, iniziarono ben prima del 15 maggio 1948, quando le bande sioniste invasero villaggi e cittadine palestinesi attaccando e sterminando parte della popolazione locale e inducendo alla fuga la restante. Secondo i dati della ormai vasta documentazione storica, durante la fase della Nabka, le bande sioniste presero il controllo dei 774 tra villaggi e città, distruggendone 531 e commettendo oltre 70 stragi e massacri degli autoctoni palestinesi. Come conseguenza di tali crimini, oltre 15 mila palestinesi perirono durante la Nakba. 800 mila fuggirono o vennero dislocati dai loro villaggi e città - internamente, in diverse località della Cisgiordania, di Gerusalemme e della Striscia di Gaza, ed esternamente, in alcuni paesi arabi, tra cui Siria, Libano, Giordania, Iraq, ecc. Studi mostrano come l'89% dei Palestinesi sfollati furono costretti a fuggire dalla macchina bellica sionista, il 10% dal terrorismo psicologico e dalla minaccia diretta e indiretta, e meno dell'1% se ne andò di propria spontanea volontà, contrariamente all'opinione diffusa che "i palestinesi hanno venduto la loro terra". Il 51,6% dell'area della Cisgiordania è direttamente controllata da Israele - il 9,3% è costituito da insediamenti; il 2,3% di reti stradali, il 20% di aree militari chiuse, il 20% di terra statale. Ci sono 150 insediamenti e 128 avamposti in Cisgiordania, oltre a 15 insediamenti nella Gerusalemme occupata; 94 basi militari e 25 zone industriali. Il numero di coloni in Cisgiordania supera 670.000; a Gerusalemme sono 228.000. L'ufficio centrale palestinese di statistica ha stimato la popolazione della Cisgiordania a circa 3 milioni. Gli insediamenti si estendono sul 60% della Cisgiordania. A stragrande maggioranza, la comunità internazionale considera illegali gli insediamenti, in base alla Quarta Convenzione di Ginevra che impedisce al potere occupante di trasferire gli Israeliani nei Territori occupati. La colonizzazione esponenziale israeliana dei Territori palestinesi è stata incentivata dall’appoggio statunitense nell’ambito del cosiddetto Accordo del Secolo. Nel 1993, quando fu firmato l'accordo di pace di Oslo tra l'OLP e Israele, i coloni in Cisgiordania erano 105 mila. Attualmente, 653.621 coloni risiedono in 150 insediamenti e 116 avamposti nella Cisgiordania occupata e nella città di Gerusalemme, il 47% dei quali si trova nelle vicinanze di Gerusalemme, secondo i dati divulgati dall'Ufficio centrale palestinese di statistica. Il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha annunciato lunedì 11 maggio 2020 che il suo Paese non considera più gli insediamenti israeliani nei Territori occupati una "violazione del diritto internazionale", e ciò significa dare autorizzazione alla realtà coloniale israeliana in Cisgiordania.
secondo i dati forniti dal centro informazione per i diritti umani nei territori occupati "b'tselem" (organizzazione israeliana), dal 1967 e fino alla fine del 2017, israele ha creato oltre 200 insediamenti in cisgiordania, di cui 131 riconosciuti dal ministero degli interni israeliano come “città”, e circa 110 stabiliti senza l'approvazione ufficiale, come "avamposti", ma con il sostegno e l'assistenza dei ministeri del governo. diaspora e rifugiati. secondo i dati diffusi nel 2019 dall'ufficio centrale palestinese di statistica (pcbs), il numero dei palestinesi nel mondo è di circa 14 milioni di persone, così suddivisi: 7 milioni nella palestina storica - 5 milioni in cisgiordania, striscia di gaza e gerusalemme; 2 milioni nei territori occupati del 1948 (israele); 6 milioni nei paesi arabi; circa un milione in stati al di fuori del mondo arabo. secondo i dati registrati dall’unrwa, i rifugiati palestinesi vivono in 58 campi profughi, 10 dei quali in giordania, 9 in siria, 12 in libano, 19 in cisgiordania e 8 nella striscia di gaza. per quanto riguarda il territorio, l'occupazione sfrutta più del 85 per cento della palestina storica, pari a circa 27.000 km², lasciando ai palestinesi soltanto il 15 per cento. le autorità di occupazione israeliane hanno stabilito una zona cuscinetto (buffer-zone) al confine della striscia di gaza, di oltre 1.500 metri lungo il confine orientale di gaza, controllando quindi circa il 24 per cento dei 365 km² della regione gazawi. inoltre, controllano oltre il 90 per cento della superficie della valle del giordano, che rappresenta il 29 per cento del totale della cisgiordania. prigionieri politici. ci sono circa 5.700 prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane, tra i quali 47 donne e ragazze, 250 minorenni, sei parlamentari, 500 detenuti amministrativi e 700 malati – dei quali 200 soffrono di problemi medici cronici. accordo del secolo. “the deal of the century”, presentato dall’amministrazione del presidente usa donald trump anche come piano “peace to prosperity” (pace verso la prosperità), che pretende offrire una soluzione equa alla questione palestino-israeliana, ne potenzia, invece, l’apartheid, la pulizia etnica e un sistema politico razzista e di sottrazione esponenziale dei territori palestinesi. in base al piano di pace svelato dal presidente trump nel 2019, ai palestinesi verrà concessa una limitata autonomia all’interno di un territorio palestinese diviso in enclavi/bantustan non contigui e sparsi in cisgiordania e gaza. il governo israeliano manterrà il controllo di sicurezza sulle enclavi palestinesi e continuerà a controllare i confini, lo spazio aereo, le falde acquifere, le acque marittime palestinesi. ad israele sarà concessa l’annessione della valle del giordano e delle colonie ebraiche in cisgiordania. i palestinesi non avranno diritti politici in israele, lo stato che in realtà governa su di loro. l’associazione dei palestinesi in italia. in quest'occasione, l'api conferma la propria salda posizione sui diritti del popolo palestinese e sulla memoria storica, e invita tutti i palestinesi in italia, in europa e in tutto il mondo a un forte impegno politico e sociale: sostegno incondizionato della popolazione palestinese sotto assedio da 14 anni nella striscia di gaza; supporto di gerusalemme, che viene tutti i giorni aggredita dai coloni, dalla polizia e dall'autorità israeliana nel tentativo di trasformarla in una città ebraica con l'appoggio del presidente usa donald trump; solidarietà e sostegno ai prigionieri politici palestinesi rinchiusi nelle carceri israeliane in condizioni disumane; sostegno all’inalienabile diritto al ritorno. invitiamo tutti i cittadini liberi del mondo a boicottare ogni forma di rapporto e iniziative di qualsiasi tipo - economico-militare-scientifico ed artistico - con l'occupazione israeliana, riconoscendo il ruolo del bds in italia e in tutto il mondo. genova/roma/milano-api. palestina, unesco e protezione beni culturali secondo il diritto internazionale. il patrimonio culturale presente nel territorio della palestina occupata, unico nel suo genere, a causa delle politiche di ebraicizzazione di israele rischia la distruzione. con l’eliminazione del patrimonio culturale, la relazione tra passato, presente e il futuro ovvero l’identità storica viene eliminata. in questa situazione il contrasto tra l’emergenza causata dal conflitto da una parte e la conservazione dei beni culturali per le future generazioni dall’altra, mette tutti i paesi davanti agli obiettivi contrastanti. nel presente articolo descriviamo il ruolo dell’organizzazione unesco per impedire o quantomeno ridurre gli effetti devastanti causati dall’azioni intenzionate e fuori legge di israele contro i beni culturali. colpire, saccheggiare e la distruzione dei beni culturali sia in un conflitto armato sia nelle azioni intenzionate in una situazione d’emergenza, hanno una storia abbastanza lunga. basti pensare alla distruzione delle biblioteche e beni culturali dell’antica persia da parte di alessandro magno, la distruzione delle biblioteche greche nella città di alessandria in cui bruciano più di 400mila volumi (624 dc). la depredazione della città di costantinopoli nella quarta crociata, la distruzione della città di samarcanda da parte gengis khan fino alla distruzione dei beni culturali nel periodo della seconda guerra mondiale per arrivare ai tempi nostri per confermare la realtà che il terrorismo culturale continua il suo percorso. effettivamente il crollo dell’attuale ordine causato dalla guerra mette a rischio i luoghi e il patrimonio culturale. esiste la necessità di redigere una struttura giuridica nelle convenzioni e riconoscere ufficialmente i diversi principi nei diritti intenzionali. tuttavia, la distruzione del patrimonio culturale purtroppo fa parte della natura dei conflitti armati nonostante l’approvazione delle convenzioni internazionali. nelle maggior parte delle situazioni di guerra, la tutela del patrimonio culturale non viene considerata. il regime giuridico internazionale attuale fino dove riesce ad agire in modo adeguato per tutelare il patrimonio culturale? la palestina come membro dell’organizzazione unesco come può difendere i suoi diritti per tutelare e chiedere la restituzione del suo patrimonio culturale saccheggiato? in questo articolo possiamo confermare che queste azioni rappresentano un genocidio della cultura palestinese. con l’ingresso della palestina nell’organizzazione unesco si apre la strada per chiedere il suo diritto. la distruzione dei beni culturali da parte di israele rappresenta un crimine di guerra contro l’umanità. ..segue ./.
Segue da Pag.25: TERRITORIO E IDENTITÀ. I segreti dello zaatar, l'oro verde delle colline palestinesi

sbocciano all’apice degli steli. Il termine arabo zaatar si riferisce ad entrambe. Entrambe sono originarie della zona che va dal Mediterraneo al nord Africa ed entrambe sono utilizzate dalla notte dei tempi, sia per usi alimentari che medicinali e igienizzanti. L’olio essenziale di timo, in particolare, veniva già usato dagli egiziani per le imbalsamazioni data la sua capacità di impedire la putrefazione essendo fortemente antibatterico.

I nomi scientifici delle due piante che gli arabi chiamano zaatar provengono dal greco: Origanum, significa splendore della montagna, forse per la bellezza dei suoi cespuglietti durante la fioritura, mentre Thymus ha un significato più complesso, che possiamo sintetizzare in “principio di vitalità, coraggio, vigore, respiro” e si riteneva desse beneficio al cuore e ai polmoni.

Si trattava di credenze popolari, certo, ma l’esame dei principi attivi, avvenuto tanti secoli dopo, dà senso a quelle credenze offrendo loro una veste scientifica ormai consolidata. Infatti, le numerose vitamine contenute nello zaatar, tra cui la vitamina K, un anticoagulante il cui fabbisogno giornaliero è soddisfatto con soli 4 g di quest’erba; le proprietà antiossidanti dovute al contenuto di Omega3 e Omega6; i numerosi sali minerali tra cui il calcio, il fosforo, il magnesio e il potassio che hanno effetto positivo sia sul sistema circolatorio che sull’apparato osseo e sul sistema nervoso; i due più importanti fenoli (il timolo e il carvacrolo) che ne fanno un ottimo antidoto contro le infezioni dell’apparato respiratorio, rendono lo zaatar un prezioso regalo della terra ai palestinesi i quali, grati di ciò, hanno fatto di queste aromatiche un alimento presente ad ogni pasto, con aggiunta di sesamo e a volte di sumaq e inseparabile da ogni tavola che riconosca nella tradizione alimentare anche la propria identità culturale.
Tentando un’ipotetica correlazione tra le proprietà antinfiammatorie, protettrici delle vie respiratorie, fluidificanti e altamente immunizzanti di questo alimento consumato quotidianamente in grande abbondanza in Palestina, e il basso numero di palestinesi aggrediti dall’epidemia di Covid-19, senza attribuire allo zaatar proprietà miracolose, alcuni palestinesi ipotizzano che il suo potere di stimolare il sistema immunitario possa essere uno dei motivi per cui i palestinesi, nonostante le condizioni in cui sono costretti a vivere, siano meno colpiti dal nuovo virus di quanto non lo siano gli israeliani i quali, pur vivendo sulla stessa terra palestinese, provengono in gran parte da paesi occidentali ed hanno diverso patrimonio genetico e diverse culture alimentari.

Israele sa che lo zaatar ha realmente la capacità di tonificare il corpo e la mente, come afferma ogni palestinese e, con la scusa strumentale di proteggere l’ambiente (lo stesso che occupa illegalmente) tenta da decenni di impedirne ai palestinesi la raccolta. Poi, basta fare un giro per le erboristerie di Gerusalemme ovest per scoprire che lo zaatar palestinese viene venduto in forma di olio essenziale o di tintura madre o di droga secca per tisane col nome di “israeli thyme”!

Comunque lo si chiami, l’uso alimentare che ne fanno i palestinesi rende lo zaatar una delle erbe che segnano l’identità di questo popolo letta attraverso il cibo, quel trasmettitore di cultura antropologica che si lega alla terra e che si può riscontrare ovunque, dalla poesia alla tavola, ricca o povera che sia, in qualunque angolo della Palestina e, come scriveva Salman Natur in “Memoria”, è l’erba che dà vita a ricordi che gli occupanti vorrebbero cancellare. I palestinesi sanno bene che è proprio da questa terra che viene la loro forza e, sempre citando Salman Natur, sanno che se perderanno la memoria le iene li sbraneranno. Nena News

Palestinesi in Italia

Comunicato stampa API.

Nakba: a 72 anni dal Disastro
-15 Maggio 2020

Nel 1948, i Palestinesi subirono la più grande tragedia della loro storia, la Nakba (catastrofe).

La nakba causò l'espulsione di 750.000 Palestinesi, sia all'interno che all'esterno dei territori destinati allo stato ebraico con il Piano di Ripartizione delle Nazioni Unite del 1947 che facilitò la creazione di Israele sul 78% della Palestina storica.

Tale evento portò a un tragico punto di svolta nella vita dei Palestinesi attraverso il saccheggio della loro terra, cultura, proprietà, ricchezza e destino, i massacri e pulizie etniche sistematiche e lo sradicamento e dislocazione, per mano delle bande sioniste, di decine di migliaia di autoctoni, e l'apolidia tuttora in corso.

Le risoluzioni ONU, le convenzioni di Ginevra, dell'Aja, il diritto internazionale in generale, ribadiscono con forza il Diritto al Ritorno dei Palestinesi alla loro patria, da dove furono scacciati attraverso massacri perpetrati da bande terroriste sioniste: un esempio emblematico è il massacro di Deir Yassin (Dayr Yāsīn), durante il quale furono assassinati oltre 200 Palestinesi.

Inoltre, più di 780 tra città e villaggi furono svuotati dai loro abitanti.

Come confermato da molti storici e ricercatori, tra i quali Ilan Pappe ne "La pulizia etnica della Palestina", il dislocamento forzato dei Palestinesi fu un processo programmato e pianificato al fine di ripulire la Palestina della sua popolazione araba, e fu accompagnato da campagne intensive di terrore e massacri che indussero i sopravvissuti a lasciare i loro villaggi e città, che vennero occupati dai colonizzatori sionisti.

Pulizia etnica della Palestina e colonizzazione

I fatti della Nakba, in realtà, iniziarono ben prima del 15 maggio 1948, quando le bande sioniste invasero villaggi e cittadine palestinesi attaccando e sterminando parte della popolazione locale e inducendo alla fuga la restante.

Secondo i dati della ormai vasta documentazione storica, durante la fase della Nabka, le bande sioniste presero il controllo dei 774 tra villaggi e città, distruggendone 531 e commettendo oltre 70 stragi e massacri degli autoctoni palestinesi. Come conseguenza di tali crimini, oltre 15 mila palestinesi perirono durante la Nakba.

800 mila fuggirono o vennero dislocati dai loro villaggi e città - internamente, in diverse località della Cisgiordania, di Gerusalemme e della Striscia di Gaza, ed esternamente, in alcuni paesi arabi, tra cui Siria, Libano, Giordania, Iraq, ecc.

Studi mostrano come l'89% dei Palestinesi sfollati furono costretti a fuggire dalla macchina bellica sionista, il 10% dal terrorismo psicologico e dalla minaccia diretta e indiretta, e meno dell'1% se ne andò di propria spontanea volontà, contrariamente all'opinione diffusa che "i palestinesi hanno venduto la loro terra".

Il 51,6% dell'area della Cisgiordania è direttamente controllata da Israele - il 9,3% è costituito da insediamenti; il 2,3% di reti stradali, il 20% di aree militari chiuse, il 20% di terra statale.

Ci sono 150 insediamenti e 128 avamposti in Cisgiordania, oltre a 15 insediamenti nella Gerusalemme occupata; 94 basi militari e 25 zone industriali.

Il numero di coloni in Cisgiordania supera 670.000; a Gerusalemme sono 228.000.

L'ufficio centrale palestinese di statistica ha stimato la popolazione della Cisgiordania a circa 3 milioni. Gli insediamenti si estendono sul 60% della Cisgiordania.

A stragrande maggioranza, la comunità internazionale considera illegali gli insediamenti, in base alla Quarta Convenzione di Ginevra che impedisce al potere occupante di trasferire gli Israeliani nei Territori occupati.

La colonizzazione esponenziale israeliana dei Territori palestinesi è stata incentivata dall’appoggio statunitense nell’ambito del cosiddetto Accordo del Secolo. Nel 1993, quando fu firmato l'accordo di pace di Oslo tra l'OLP e Israele, i coloni in Cisgiordania erano 105 mila.

Attualmente, 653.621 coloni risiedono in 150 insediamenti e 116 avamposti nella Cisgiordania occupata e nella città di Gerusalemme, il 47% dei quali si trova nelle vicinanze di Gerusalemme, secondo i dati divulgati dall'Ufficio centrale palestinese di statistica.

Il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha annunciato lunedì 11 maggio 2020 che il suo Paese non considera più gli insediamenti israeliani nei Territori occupati una "violazione del diritto internazionale", e ciò significa dare autorizzazione alla realtà coloniale israeliana in Cisgiordania.

Secondo i dati forniti dal Centro informazione per i diritti umani nei Territori occupati "B'Tselem" (organizzazione israeliana), dal 1967 e fino alla fine del 2017, Israele ha creato oltre 200 insediamenti in Cisgiordania, di cui 131 riconosciuti dal ministero degli Interni israeliano come “città”, e circa 110 stabiliti senza l'approvazione ufficiale, come "avamposti", ma con il sostegno e l'assistenza dei ministeri del governo.

Diaspora e Rifugiati

Secondo i dati diffusi nel 2019 dall'Ufficio centrale palestinese di Statistica (PCBS), il numero dei Palestinesi nel mondo è di circa 14 milioni di persone, così suddivisi:

7 milioni nella Palestina storica - 5 milioni in Cisgiordania, Striscia di Gaza e Gerusalemme; 2 milioni nei Territori occupati del 1948 (Israele); 6 milioni nei Paesi Arabi; circa un milione in Stati al di fuori del mondo arabo.

Secondo i dati registrati dall’UNRWA, i rifugiati palestinesi vivono in 58 campi profughi, 10 dei quali in Giordania, 9 in Siria, 12 in Libano, 19 in Cisgiordania e 8 nella Striscia di Gaza.

Per quanto riguarda il territorio, l'occupazione sfrutta più del 85 per cento della Palestina storica, pari a circa 27.000 km², lasciando ai Palestinesi soltanto il 15 per cento.

Le autorità di occupazione israeliane hanno stabilito una zona cuscinetto (buffer-zone) al confine della Striscia di Gaza, di oltre 1.500 metri lungo il confine orientale di Gaza, controllando quindi circa il 24 per cento dei 365 km² della regione gazawi. Inoltre, controllano oltre il 90 per cento della superficie della Valle del Giordano, che rappresenta il 29 per cento del totale della Cisgiordania.

Prigionieri politici

Ci sono circa 5.700 prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane, tra i quali 47 donne e ragazze, 250 minorenni, sei parlamentari, 500 detenuti amministrativi e 700 malati – dei quali 200 soffrono di problemi medici cronici.

Accordo del Secolo

“The Deal of the Century”, presentato dall’amministrazione del presidente USA Donald Trump anche come piano “Peace to Prosperity” (Pace verso la Prosperità), che pretende offrire una soluzione equa alla questione palestino-israeliana, ne potenzia, invece, l’Apartheid, la pulizia etnica e un sistema politico razzista e di sottrazione esponenziale dei Territori palestinesi.

In base al piano di pace svelato dal presidente Trump nel 2019, ai Palestinesi verrà concessa una limitata autonomia all’interno di un territorio palestinese diviso in enclavi/bantustan non contigui e sparsi in Cisgiordania e Gaza. Il governo israeliano manterrà il controllo di sicurezza sulle enclavi palestinesi e continuerà a controllare i confini, lo spazio aereo, le falde acquifere, le acque marittime palestinesi. Ad Israele sarà concessa l’annessione della Valle del Giordano e delle colonie ebraiche in Cisgiordania. I Palestinesi non avranno diritti politici in Israele, lo stato che in realtà governa su di loro.

L’Associazione dei Palestinesi in Italia

In quest'occasione, l'API conferma la propria salda posizione sui diritti del popolo palestinese e sulla memoria storica, e invita tutti i Palestinesi in Italia, in Europa e in tutto il mondo a un forte impegno politico e sociale: sostegno incondizionato della popolazione palestinese sotto assedio da 14 anni nella Striscia di Gaza; supporto di Gerusalemme, che viene tutti i giorni aggredita dai coloni, dalla polizia e dall'autorità israeliana nel tentativo di trasformarla in una città ebraica con l'appoggio del presidente USA Donald Trump; solidarietà e sostegno ai prigionieri politici palestinesi rinchiusi nelle carceri israeliane in condizioni disumane; sostegno all’inalienabile Diritto al Ritorno.

Invitiamo tutti i cittadini liberi del mondo a boicottare ogni forma di rapporto e iniziative di qualsiasi tipo - economico-militare-scientifico ed artistico - con l'occupazione israeliana, riconoscendo il ruolo del BDS in Italia e in tutto il mondo.

Genova/Roma/Milano-API

Palestina, Unesco e protezione Beni Culturali secondo il diritto internazionale



Il patrimonio culturale presente nel territorio della Palestina occupata, unico nel suo genere, a causa delle politiche di ebraicizzazione di Israele rischia la distruzione. Con l’eliminazione del patrimonio culturale, la relazione tra passato, presente e il futuro ovvero l’identità storica viene eliminata. In questa situazione il contrasto tra l’emergenza causata dal conflitto da una parte e la conservazione dei beni culturali per le future generazioni dall’altra, mette tutti i Paesi davanti agli obiettivi contrastanti.

Nel presente articolo descriviamo il ruolo dell’organizzazione Unesco per impedire o quantomeno ridurre gli effetti devastanti causati dall’azioni intenzionate e fuori legge di Israele contro i beni culturali.

Colpire, saccheggiare e la distruzione dei beni culturali sia in un conflitto armato sia nelle azioni intenzionate in una situazione d’emergenza, hanno una storia abbastanza lunga. Basti pensare alla distruzione delle biblioteche e beni culturali dell’antica Persia da parte di Alessandro Magno, la distruzione delle biblioteche greche nella città di Alessandria in cui bruciano più di 400mila volumi (624 DC). La depredazione della città di Costantinopoli nella quarta crociata, la distruzione della città di Samarcanda da parte Gengis Khan fino alla distruzione dei beni culturali nel periodo della seconda guerra mondiale per arrivare ai tempi nostri per confermare la realtà che il terrorismo culturale continua il suo percorso.

Effettivamente il crollo dell’attuale ordine causato dalla guerra mette a rischio i luoghi e il patrimonio culturale. Esiste la necessità di redigere una struttura giuridica nelle convenzioni e riconoscere ufficialmente i diversi principi nei diritti intenzionali. Tuttavia, la distruzione del patrimonio culturale purtroppo fa parte della natura dei conflitti armati nonostante l’approvazione delle convenzioni internazionali.

Nelle maggior parte delle situazioni di guerra, la tutela del patrimonio culturale non viene considerata. Il regime giuridico internazionale attuale fino dove riesce ad agire in modo adeguato per tutelare il patrimonio culturale? La Palestina come membro dell’organizzazione Unesco come può difendere i suoi diritti per tutelare e chiedere la restituzione del suo patrimonio culturale saccheggiato?

In questo articolo possiamo confermare che queste azioni rappresentano un genocidio della cultura palestinese. Con l’ingresso della Palestina nell’organizzazione Unesco si apre la strada per chiedere il suo diritto. La distruzione dei beni culturali da parte di Israele rappresenta un crimine di guerra contro l’umanità.

..segue ./.

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