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La VOCE ANNO XVIII N°3

novembre 2015

PAGINA h         - 32

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Segue da Pag.31: CENT’ANNI DI RELATIVITÀ

sica ma di poco cervello) su mandato del social democratico di destra Erbert, la Repubblica, ormai in mano all’apparato militare tedesco, un vero Stato nello Stato, subì un lento ma inesorabile declino democratico fino al 1933, anno della presa del potere nazista.
Nel corso dell’anno 1920 la borghesia dominante tedesca si rafforzò grazie al sostegno dei trusts e delle banche americane i quali contribuirono al riarmo della Germania e grazie anche alla politica d’inflazione perseguita dal governo socialdemocratico che permise la crescita smisurata dei profitti degli esportatori tedeschi e l’impoverimento delle masse lavoratrici. Il paese cadde preda delle forze razziste, antisemite e del nascente nazismo. Nello stesso anno venne organizzata in Germania una campagna antisemita, ben finanziata, per diffamare Einstein e attaccare la sua teoria della relatività, che venne definita ebraica e comunista e il 25 agosto, gli stessi organizzatori, non badando a spese, indissero una ben pubblicizzata riunione di massa contro la relatività nella sala della Filarmonica di Berlino.
Il prof. Wilhelm Muller, del Politecnico di Aquisgrana,nel suo libro Il giudaismo e la scienza immaginò che la relatività fosse un complotto mondiale ebraico per contaminare le scienze e, di conseguenza, distruggere la civiltà. Per il prof. Ludwig Bierberback, dell’università di Berlino, Einstein era «un ciarlatano straniero».
Il prof.Rudolph Tomaschek, direttore dell’Istituto di fisica di Dresda disse :« La fisica moderna è uno strumento del giudaismo mondiale perla distruzione della scienza nordica…. La vera fisica è creazione dello spirito tedesco…..Infatti tutta la scienza europea è frutto del pensiero ariano, o meglio tedesco». Ma l’attacco più velenoso fu sferrato dal fisico Antonvon Lenard dell’università di Breslavia, premio Nobel nel 1905, durante il Congresso degli scienziati e medici tedeschi svoltosi a Bad Nauheim nel 1920 e presieduto da Max Planck.
Lenard, durante il suo virulento attacco antisemita disse:« all’ebreo [Einstein ndr] manca fondamentalmente la capacità di capire la verità…..,essendo egli sotto questo punto di vista molto diverso dal ricercatore ariano, dotato dall’attento e serio desiderio di cercare la verità….La fisica ebraica è quindi un fantasma e un fenomeno di degenerazione della fondamentale fisica tedesca».
Nonostante ciò la fama di Einstein era alle stelle. Nel 1921 viene insignito del premio Nobel per il suo contributo alla fisica, specialmente per la scoperta della legge dell’effetto fotoelettrico, lavoro questo che risale al 1905. Nella motivazione ufficiale,come si può notare, la teoria della relatività non veniva menzionata.Continuavaaessere considerata troppo controversa sia scientificamente ma soprattutto politicamente.
Nel 1921 Einstein tenne conferenze a Praga e a Vienna e il 2 aprile arrivò a New York dove ebbe il benvenuto dal Sindaco e ricevuto alla Casa Bianca dal Presidente Harding. Ma anche qui si accesero polemiche: il Il Dearborn Independent, settimanale di proprietà di Henry Ford, deciso antisemita, pubblicò in copertina un titolo inequivocabile:«Einstein è un plagiario». In giugno rientrò in Germania dove l’atmosfera politica si era fatta molto pesante che fece temere perla sua incolumità. Nell’novembre del 1922 la
famiglia Einstein partì per il Giappone su invito di un editore giapponese. Vi rimase sei settimane per un ciclo di conferenze, ovunque accolto con calore e grande simpatia. Fu ricevuto dall’Imperatrice.
Il viaggio fu un piacevole diversivo dopo la tensione di Berlino. Nella primavera del 1923 rientrò in Europa e nello stesso anno contribuì a fondare l’Associazione Amici della Nuova Russia e fu nominato, con i fisici Hendrik Loretz e Marie Curie e con il filosofo Henry Bergson, membro del Comitato della Società delle Nazioni per la Cooperazione intellettuale. Pacifismo e internazionalismo furono i due grandi ideali politici di Einstein.
Prima della partenza per il Giappone, nei giorni 22,24 e 26 novembre 1921, su invito del prof. Federico Enriques, presso l’Archiginnasio di Bologna, Einstein tenne tre conferenze affollatissime sulla relatività.
Nella prima conferenza Einstein parlò in italiano (da giovane trascorse più di sei mesi prima a Padova e poi a Pavia dove soggiornò felicemente, insieme alla sorella Maja, nella casa di campagna dell’amica Ernestina Marangoni presso Casteggio),spiegò come la teoria della relatività fosse sorta da problemi collegati direttamente o indirettamente dall’esperienza quali la costante velocità della luce nel vuoto indipendentemente dal moto della sorgente luminosa e la critica del concetto di contemporaneità dato auto evidente.
Nella seconda, affrontò i problemi connessi alla teoria della relatività generale e come ad essa fossero collegati i metodi forniti dalla geometria non euclidea,nonché la estensione dei risultati trovati nella teoria della relatività ristretta relativi ai sistemi di riferimento dotati di moto rettilineo uniforme, ai sistemi di riferimento accelerati, per giungere poi alla conoscenza della legge generale del campo gravitazionale.
Nella terza, si soffermò su alcune conseguenze della teoria suscettibili di verifiche sperimentali, esponendo poi,sulla base di tutti i risultati ottenuti, la concezione relativistica dell’universo.Al termine della conferenza Einstein non mancò di aggiungere che lo strumento matematico di cui si era servito derivava dai metodi matematici creati da Gauss, Riemann, Ricci e Levi-Civita, presente alla stessa conferenza.
Ma proprio l’occasione delle conferenze di Einstein favorì, in Italia, una serie di reazioni sconcertanti sia in ambito scientifico che politico. Sulla Stampa e sul Resto del carlino, lo scrittore Adriano Tilgher, commentando le tre conferenze, cercò di interpretare la relatività in senso idealista.Nel suo libretto Relativisti contemporanei scrisse:« voglio dire che nel campo delle scienze fisico-matematiche la teoria della relatività corrisponde a quello che in filosofia è il pragmatismo, in economia il capitalismo dei trusts…., in politica l’imperialismo, in arte il titanismo, l’energetismo». Perfino Benito Mussolini scrisse un corsivo su Popolo d’Italia in cui associava il relativismo al fascismo. Mentre lo scrittore Ardengo Soffici nella rivista Gerarchia descriveva Einstein come un ebreo tedesco a capo di una filosofia da cui ci si doveva guardare. D’altra parte come meravigliarsi se il Consiglio Nazionale delle Ricerche, allora presieduto dal fascista Giovanni Magrini, era del parere che«….purtroppo oggi scienziati italiani veramente superiori, ad eccezione di Marconi, non ve ne sono….; nei matematici dei due ora meglio quotati il migliore, il Levi-Civita è un comunista ed uno squinternato,il Volterra è stato fatto un grand’uomo dalla massoneria internazionale, come l’Einstein».
Vito Volterra (1860-1940), nato ad Ancona, uno dei più grandi matematici del tempo, di livello internazionale, fondatore del CRN nel 1923 e suo primo presidente, vicepresidente dell’International Research Council fondata a Bruxelles nel 1918, oppositore del regime fascista (fu tra i 12 accademici italiani nel 1931 che rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo) e convinto sostenitore della relatività in quanto «dal punto di vista matematico, ossia logico,la teoria della relatività è perfetta, come è perfetta la ordinaria teoria newtoniana». Tuttavia buona parte degli astronomi italiani – rappresentati dall’astronomo teramano Vincenzo Cerulli, in quanto presidente della Società astronomica italiana, Emilio Bianchi direttore dell’osservatorio del Collegio Romano e Pio Emanuelli dell’università di Roma – espressero posizioni pregiudizialmente ostili alla relatività.Addirittura il Cerullisi abbandonò a dichiarazioni ottuse liquidando in modo sbrigativo la relatività vista come «una crisi degenerativa» della fisica. Chi invece colse gli aspetti più significativi della nuova teoria,soprattutto quelli relativi alla struttura dell’atomo e alla equivalenza fra massa e energia secondo la famosa relazione matematica E=mc2, fu il ventenne Enrico Fermi. In un suo memorabile articolo giovanile dal titolo

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