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La VOCE ANNO XVIII N°3

novembre 2015

PAGINA 9

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I nuovi accordi di libero scambio promossi dagli Usa

Juan Manuel Karg* | alainet.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

22/10/2015

A novembre, l’America Latina compirà i dieci anni di quello che viene ricordato come il "No all’Alca (Area di libero commercio delle Americhe)", cioè quando i paesi della regione evitarono l’attuazione di un gigantesco accordo di libero commercio capitanato dagli Usa. In quell’occasione, i nostri paesi andarono controcorrente in uno dei momenti di maggiore auge del libero scambio su scala globale. Oggi, dieci anni dopo, quali sono i nuovi trattati spinti dagli Usa? Perché vanno contro i Brics, i paesi emergenti che hanno sostenuto l’economia a livello mondiale negli ultimi anni? Qual è la disputa aperta, in termini internazionali, tra Usa e Cina a partire da questa situazione?

1. Partenariato trans-pacifico (Tpp). Già firmato, abbraccia dodici paesi che compongono il 40% del Pil mondiale: Usa, Messico, Perù, Cile, Giappone, Vietnam, Singapore, Brunei, Malesia, Australia e Nuova Zelanda. Come ogni accordo di libero commercio con queste caratteristiche, si basa sulle asimmetrie tra i suoi membri, che notoriamente favoriscono gli Usa, i principali interessati alla sua attuazione e che inoltre dovranno approvarlo al Congresso nei prossimi mesi.

Il Tpp nasce inoltre con un’altra evidente finalità: cercare di consolidare una controparte alla crescita della Cina dentro il blocco asiatico, vale a dire nella stessa zona di influenza della nuova potenza economica mondiale. Il Giappone, socio privilegiato degli Usa nell’area, è il "cavallo di Troia" per portare avanti questa strategia, concepita a Washington a fronte del veloce sviluppo del gigante asiatico. Le parole di Obama in relazione al Tpp, la stessa sera in cui questo veniva firmato, sono eloquenti: "Non possiamo permettere che paesi come la Cina dettino le regole dell’economia mondiale".

2. Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (Ttip). Ancora in fase di negoziazione, il Ttip è il tentativo di avanzare verso un’area di libero commercio tra Usa e Ue. I negoziati si svolgono in un momento in cui la periferia del vecchio continente subisce la devastazione della disoccupazione e della disuguaglianza, il prodotto di cinque anni di declino economico dopo l’arrivo della crisi iniziata con il crollo di Lehman Brothers negli Stati Uniti.

Con la condizione imprescindibile di segretezza dei negoziati, al contrario dei suoi pari Tpp e Tisa, il Ttip ha una caratteristica speciale. Esso prevede l’istituzione di un tribunale di arbitrato che agisca come appartato del sistema giuridico di ciascun paese al fine di "proteggere gli investimenti stranieri". Come si vede, un’impalcatura creata per le imprese transnazionali, che saranno le principali beneficiarie di questo vero attacco agli stati nazionali.

Una recente mobilitazione a Berlino, centro del potere dell’Ue oltre a Bruxelles, dimostra che i lavoratori europei stanno all’erta di fronte al progredire delle trattative sul Ttip. Nell’immagine di quella piazza con 250mila manifestanti c’è una certa analogia con quanto accaduto in America Latina agli inizi di questo secolo, quando importanti mobilitazioni in Argentina, Brasile e Venezuela contribuirono a rafforzare la posizione di fermezza mostrata da Kirchner, Lula e Chávez contro l’Alca.

3. Accordo di scambio sui servizi (Tisa). Negoziato nel più grande segreto, Wikileaks ha recentemente diffuso alcuni dei punti principali di questo accordo di servizi di scala mondiale. Il Tisa permetterà alle corporazioni finanziarie di esportare tutti i dati personali dei consumatori attraverso le frontiere, entrando in contraddizione con le attuali leggi di protezione dati in vigore, per esempio nell’Ue. Un altro dei punti critici del Tisa sta nella pretesa che le compagnie finanziarie internazionali possano essere esenti dal rispetto delle normative del paese con cui entrino in attività, se quelle azioni sono permesse nel paese di origine. Ciò consentirebbe, ad esempio, alle imprese statunitensi di essere privilegiate in altri continenti con il solo avvallo di Washington.

Australia, Canada, Cile, Colombia, Corea del Sud, Costa Rica, Stati Uniti, Hong Kong, Islanda, Israele, Giappone, Liechtenstein, Messico, Nuova Zelanda, Norvegia, Pakistan, Panama, Paraguay, Perù, Svizzera, Taiwan, Turchia e la Commissione europea sono i protagonisti delle trattative su questo "accordo" nell’ambito dei servizi. L’Uruguay, che si allontanò dopo la decisione del governo a maggioranza Frente Amplio, ha ratificato il rifiuto maggioritario dei paesi del Mercosur a non partecipare a questi accordi che impongono condizioni draconiane per i nostri paesi. Tuttavia, la presenza del Paraguay, membro fondatore del Mercosur, ai negoziati è un dato che non va sottovalutato, a soli quattro anni del golpe parlamentare contro Fernando Lugo (fatto che, in definitiva, ha favorito questa conclusione).

È necessario concludere questo articolo con alcune conclusioni sul momento economico internazionale apertosi negli ultimi anni. In primo luogo, l’obiettivo di tutte questi negoziati è il tentativo Usa di battere la Cina nel momento in cui l’economia della potenza orientale, al di là di un calo nelle proiezioni, continua ad essere quella che muove il mondo: il 7% di crescita prevista per Pechino per i prossimi anni, nonostante sia meno del 14% di anni fa, risulta molto più significativa del magro 2% per il quale si inorgogliscono gli Usa. D’altra parte, si cercano anche di colpire Russia, India, Brasile e Sudafrica, gli altri paesi emergenti che sono riusciti, insieme ai paesi con governi liberali nella regione, ad essere una voce crescente nelle istanze internazionali, diminuendo l’influenza di Usa e Ue. La decisione a Washington sembra presa: lanciare un’offensiva contro l’idea di "nuovo mondo multipolare" a partire da una massiccia liberalizzazione commerciale che possa fronteggiare la tendenza, ora senza dubbio evidente, all’indebolimento di fronte alle economie emergenti.

In conclusione, gli Stati uniti cercano di "aprire", per chiudere in realtà, cercando di rivitalizzarsi in un momento agitato per le proprie aspirazioni, tanto sul piano geopolitico, come su quello geoeconomico. Ci riusciranno?

* Juan Manuel Karg è politologo e analista internazionale con sede a Buenos Aires, Argentina


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