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LA VOCE 1311 |
P R E C E D E N T E | S U C C E S S I V A |
La VOCE ANNO XVI N°3 | novembre 2013 | PAGINA d - 28 |
Il DNA di NeandertalLO STUDIO DI SCIENCE CHE RIMETTE IN DISCUSSIONE LA NOSTRA IDENTITÀ Analizzando le ossa di tre esemplari di Homo neanderthalensis, vissuti nell’area dell’odierna Croazia tra i 38mila e i 44mila anni fa, i ricercatori hanno mappato il DNA degli uomini di Neandertal. Il risultato è stato ottenuto grazie alle nuove tecniche di mappatura, che consentono di ricostruire anche le sequenze mancanti di DNA dovute alla progressiva disgregazione nel corso del tempo del codice genetico. Il genoma sarà ora confrontato con quello degli esseri umani dei nostri giorni per rilevare le differenze causate dall’evoluzione. L’uomo di Neanderthal non si è estinto, o quasi: diciamo che è ancora tra noi. Confrontando le informazioni genetiche ricavate dai resti di alcuni esemplari con il genoma dei giorni nostri, i ricercatori del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology (Lipsia, Germania) hanno scoperto che una quota tra l’1 e il 4% del DNA degli uomini di Neanderthal fa parte del patrimonio genetico degli uomini non di origini africane. Il team di ricerca ha ricostruito per ora il 60% del corredo genetico dell’Homo neanderthalensis, un progresso notevole nella ricerca di informazioni sui nostri antenati e che potrebbe offrire nuove informazioni per comprendere il nostro processo evolutivo. La nostra specie, Homo sapiens sapiens, e quella degli uomini di Neanderthal iniziarono a evolvere separatamente circa 600mila anni or sono. Fino a ora, il gruppo di ricerca ha identificato solamente 100 geni – sorprendentemente pochi – che hanno contribuito all’evoluzione dell’uomo moderno a partire dal periodo di differenziazione [dalluomo di Neanderthal]. I geni umani che differiscono da quelli degli uomini di Neanderthal sono di particolare interesse perché portano con loro che cosa significa essere umani, o per lo meno non neanderthaliani. Alcuni geni sembrano essere coinvolti in alcune funzioni cognitive e altri nella struttura delle ossa. Fino a qualche anno fa, raccontano i ricercatori, sembrava impossibile poter sequenziare il genoma dell’uomo di Neanderthal in breve tempo. I progressi raggiunti nella ricerca hanno consentito di scoprire il probabile incrocio tra neanderthaliani e uomo moderno prima della divisione che portò all’evoluzione di europei e asiatici. Un certo livello di incrocio tra le due specie non è così inaspettato, considerato che le due specie convissero in Europa per diverse migliaia di anni fino alla scomparsa dei neanderthaliani 30mila anni or sono circa. L’attuale analisi è basata unicamente sulla genetica e su alcuni modelli matematici, e dunque non è per ora sovrapponibile con i dati raccolti dagli archeologi sul campo. Secondo gli autori dello studio, il parziale incrocio tra le due specie si sarebbe verificato in Medio Oriente e probabilmente tra i 100mila e i 60mila anni fa. Una ipotesi controversa, almeno secondo i detrattori della nuova scoperta che contestano la mancanza di solide prove archeologiche a supporto dei dati statistici prodotti dai ricercatori. Richard Klein, un paleontologo di Stanford, dice che gli autori della teoria di un episodio di un antico incrocio tra le specie non hanno preso sufficientemente in considerazione l’aspetto archeologico. «In pratica stanno dicendo: “Qui ci sono i nostri dati, dovete accettarli”. Ma dal poco che ho potuto vedere si tratta di una questione più problematica, dunque il resto mi preoccupa». |
HAIDS E PROFILASSIDopo anni di ricerche, un gruppo di scienziati guidati dal Centro di Ricerca Sudafricano contro l’Aids (CAPRISA) è riuscito a ottenere un gel vaginale capace di ridurre la trasmissione dell’HIV. Lo studio è stato condotto su un gruppo di 900 donne in Sud Africa e ha dimostrato che il gel riesce a ridurre le possibilità di infezione da virus HIV. Gli scienziati lo hanno definito un risultato storico nella lotta contro la diffusione della malattia: nell’Africa subsahariana si verificano oltre i due terzi dei contagi HIV di tutto il mondo, e le donne colpite dal virus sono ormai il 60% della popolazione adulta. I risultati dovranno essere confermati da un secondo studio e ancora non garantiscono una copertura abbastanza soddisfacente perché il farmaco sia distribuito, ma gli scienziati sono certi che il gel potrà essere migliorato. “Stiamo dando speranza alle donne”, ha detto in un comunicato stampa Michel Sidibe, responsabile del programma ONU per la lotta all’AIDS, “per la prima volta un gel ci potrebbe permettere di spezzare questa epidemia”. E il dottor Anthony Fauci, dell’Istituto Nazionale Malattie Infettive degli Stati Uniti ha confermato che è la prima volta nella storia della ricerca sul virus HIV che un gel dà dei risultati statisticamente rilevanti. I risultati della ricerca sono stati pubblicati ieri dalla rivista Science e saranno presentati ufficialmente oggi durante la Conferenza Internazionale per la lotta all’AIDS a Vienna da Salim Abdool Karim, lo scienziato sudafricano che ha guidato lo studio. Il gel riduce il rischio di infezione del 39%, ma la percentuale aumenta al 54% se viene usato con maggiore frequenza. Nello studio infatti la maggior parte delle donne testate lo ha usato solo nel 60% dei rapporti: quelle che lo usavano più spesso hanno mostrato un tasso di riuscita più alto. Il gel aiuta anche a ridurre la possibilità di sviluppare il virus HSV-2, responsabile di una forma di herpes genitale che a sua volta aumenta il rischio di contagio HIV. Il Washington Post lo ha definito il primo successo dopo 15 anni di ricerca sul fronte della prevenzione per le donne: In Africa per molte donne la maggior parte dei metodi di prevenzione come l’uso del preservativo è fuori dalla loro portata. Per questo un microbicida vaginale che possa essere usato con o senza il consenso dell’uomo è considerato essenziale, e finora mancava. Se le ricerche continueranno come ci si aspetta — formule più potenti e campagne di comunicazione che rendano il gel più attraente anche dal punto di vista sessuale — i risultati potrebbero migliorare notevolmente. Lo scienziato Salim Abdool Karim ha spiegato che anche una protezione parziale come quella ottenuta con questo gel deve essere considerata una vittoria enorme: “In Sud Africa, una donna su tre viene contagiata dal virus dell’HIV entro i vent’anni. Questo gel potrebbe prevenire 1.3 milioni di contagi e 826.000 morti nei prossimi due decenni”. Spiega AP che questo è il “secondo grande progresso in meno di un anno sul fronte della prevenzione dell’AIDS. Lo scorso autunno, fu annunciato un vaccino che riduce il rischio di infezione di circa il 30%, e che i ricercatori stanno perfezionando”. |