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La VOCE ANNO XXII N°6

febbraio 2020

PAGINA d         - 28

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segue da pag.27: come israele controlla i corpi palestinesi, sia vivi che morti. la politica israeliana ha trasformato i corpi umani in strumenti di negoziazione e il lutto in un atto politico facilmente criminalizzabile. english version. mariam barghouti – 20 dicembre 2019. immagine di copertina: donne palestinesi pregano in un cimitero nella striscia di gaza nel giugno del 2018 (afp). mio zio è morto di recente, e dopo che sua moglie e i suoi figli hanno lavato il suo corpo, lo hanno abbracciato per l’ultima volta e lo hanno seppellito, condividendo il loro dolore con amici, familiari e conoscenti. solo allora sono stati in grado di iniziare a piangere la sua perdita. questo sacro processo del lutto consente alla comunità e ai propri cari di cominciare a guardare avanti , di proseguire e di tributare un saluto finale al defunto. solo allora possono iniziare ad accettare le condoglianze. al funerale, ho visto i volti pallidi e in lutto e ho pensato: “almeno è morto per cause naturali. almeno possiamo seppellirlo e circondarlo di amore. ” cimiteri di numeri. lo dico con la consapevolezza che la maggior parte delle famiglie palestinesi ha un martire tra i suoi conoscenti. peggio ancora sono le famiglie dei martiri palestinesi i cui corpi sono ancora trattenuti da israele. dal 1967, centinaia di corpi palestinesi sono stati trattenuti da israele: alcuni in congelatori e altri nei famigerati “cimiteri dei numeri”. le famiglie dei martiri hanno cercato di riportarli a casa. tuttavia, la prima richiesta dei palestinesi non è che israele restituisca i nostri corpi. e’ smettere di ucciderci. smettere di rubare la terra, cacciare le famiglie, incarcerare intere generazioni e consentire a una popolazione straniera di impossessarsi di quel poco che resta delle città palestinesi, solo per punire chiunque dica “ne ho abbastanza”. non solo ai palestinesi viene negata la possibilità di morire in pace; sono anche privati ​​del diritto di riconoscere che la loro morte è causata da un potere occupante. la perdita, nel quadro della lotta palestinese, è una realtà e un’esperienza inesorabile, che rimane invischiata nella realtà politica e nel dominio psicosociale. con il semplice atto della sepoltura, la perdita diventa una lotta contro un regime potente. recitare preghiere di pace e di misericordia su di un corpo un tempo così pieno di vita, solo per poi tornare ai fantasmi rimasti a casa, non è un compito semplice. nel 2016, durante una conferenza stampa, una madre mi disse, respirando affannosamente: “per favore, scrivi qualcosa. vogliamo seppellire i nostri figli. vogliamo seppellire i nostri figli. ” ho ascoltato la sua supplica e ho pensato a quante famiglie subiscono la perdita dovendo prima accettare il fatto che la persona amata viene uccisa da israele; poi, nel dover riconoscere che probabilmente non verrà definita alcuna responsabilità; poi nelle errate narrazioni e rappresentazioni del fatto confezionate dai media mainstream; e infine, nel dover negoziare il rilascio del corpo con quel potere che ha ucciso la persona amata. martirio glorificante. sebbene il martirio sia spesso indicato come parte dell’esperienza palestinese, è una narrazione complessa e importante in tutte quelle nazioni che cercano di glorificare la morte del proprio popolo in nome dell’ideologia. anche israele partecipa alla glorificazione del martirio, più spesso ricoperto dal diffuso gingoismo e dal ricordo dei suoi soldati. i nostri martiri sono preziosi per noi non solo per la lotta che rappresentano, ma anche perché sono persone con cui abbiamo giocato e combattuto, che abbiamo amato o detestato. il martirio palestinese assume una dimensione completamente diversa nel modo in cui è presentato dai media, ostacolando la nostra volontà di portare un briciolo di dignità agli uccisi e a coloro che cercano di andare avanti. non solo ai palestinesi viene negata la possibilità di morire in pace; sono anche privati ​​del diritto di riconoscere che la loro morte è stata causata da un incessante potere occupante. funerale di un adolescente palestinese ucciso a gaza il 30 novembre (afp) quando i palestinesi vengono uccisi dalle forze israeliane, vengono indicati in forma passiva. il palestinese “muore” , non viene “ucciso”. il palestinese ha raramente un nome per mostrare la parodia di questa perdita di vite umane al potere di un esercito e di un regime che si sta introducendo con violenza nello spazio palestinese. ciò aiuta israele non solo a colonizzare, spostare e incarcerare sistematicamente e impunemente i palestinesi, ma anche a occupare lo spazio tra i palestinesi stessi. anche nel lutto, si respira un profumo di oppressione e di degrado. a volte le forze israeliane attaccano i funerali dei martiri. in tal modo, israele trasforma i corpi umani in strumenti di contrattazione e il lutto in un atto politico facilmente criminalizzabile. punizione collettiva non sorprende che nel 2018 la knesset abbia approvato una legge che afferma giuridicamente la possibilità di israele di trattenere i corpi dei palestinesi fino a quando le condizioni preliminari per il funerale non siano accettate. i corpi non vengono consegnati alle famiglie in lutto e vengono utilizzati dai vari partiti per scopi politici, nonostante si tratti di una violazione del diritto internazionale umanitario. è una testimonianza dello sforzo di israele di controllare i corpi dei palestinesi e di oggettificarli ulteriormente, in linea con la comune pratica israeliana della punizione collettiva. gaza sta subendo una morte lenta a causa delle misure punitive contro l’intera striscia. un uomo di rafah una volta mi disse: “siamo pronti per essere inviati alla sepoltura”. ma gaza e la trattenuta dei corpi non sono eccezioni. oltre all’aumentata sorveglianza dei palestinesi attraverso le telecamere a circuito chiuso posizionate nelle città e nei villaggi, ai posti di blocco, alle continue demolizioni di case , israele sta anche controllando le nostre emozioni. non possiamo piangere, muoverci o respirare senza considerare ciò che il potente esercito israeliano potrebbe farci. l’esercito israeliano è tra i primi 20 più potenti al mondo, con un budget di difesa superiore a 19 miliardi di dollari. il fatto che israele mantenga il suo diritto di trattenere i corpi palestinesi “indipendentemente dalle loro affiliazioni politiche” mostra che le motivazioni dietro questa posizione non sono semplicemente legate alla costante spiegazione di israele sulla “sicurezza” e sulla “difesa”. questa è una dichiarazione secondo cui israele ha il controllo non solo della terra, ma anche del popolo – e ciò include negare il diritto di piangere coloro che ci sono stati sottratti. le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di middle east eye. mariam barghouti originaria di ramallah, mariam barghouti è una scrittrice e commentatrice palestinese. i suoi articoli sono apparsi sul new york times, al-jazeera english, huffington post, middle east monitor, mondoweiss, international business times e altro ancora.
trad grazia parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” – invictapalestina.org. anti che cosa? di gustavo carneiro, comitato centrale del partito comunista portoghese (pcp). da avante.pt. traduzione di mauro gemma per marx21.it. giorni fa donald trump ha approvato un decreto esecutivo con il proposito annunciato di combattere l'antisemitismo nelle università statunitensi. immediatamente, l'organizzazione jewish voice for peace è intervenuta sostenendo che la misura non intende affrontare il "terribile aumento dell'antisemitismo" nelle università, che è reale, ma piuttosto rappresenta un "pericoloso tentativo autoritario di mettere a tacere l'attivismo studentesco a sostegno dei diritti dei palestinesi”. da questa parte dell'atlantico, il primo ministro britannico rieletto boris johnson ha definito una delle priorità del suo nuovo governo prevenire (e arrestare) qualsiasi boicottaggio o sanzione nei confronti di israele da parte delle autorità municipali del paese. durante la campagna elettorale, il laburista jeremy corbyn ha difeso il riconoscimento dello stato della palestina e la fine della vendita di armi a israele ed è stato, per questo, accusato di antisemitismo. già all'inizio di dicembre, il parlamento francese aveva in modo tassativo deliberato che l'antisionismo è esso stesso una forma di antisemitismo, il che ha ricevuto feroci critiche da parte di vari ambienti, anche di studiosi ebrei e israeliani. lo stesso confronto era stato affermato circa un anno fa nei documenti ufficiali dell'unione europea. alcune settimane fa, l’allora primo ministro israeliano benjamin netanyahu era in portogallo per accordarsi con il segretario di stato americano mike pompeo sull'occupazione della valle del giordano, territorio palestinese - come lo sono pure gerusalemme est e la cisgiordania, dove vivono già oggi centinaia di migliaia di coloni israeliani. nelle ultime due zone, tra l'altro, nel solo 2018, circa 460 case e altri edifici sono stati occupati o distrutti da israele e i suoi abitanti sfollati. inoltre, negli ultimi due anni oltre 300 palestinesi sono stati assassinati dalle forze di occupazione e più di 5.000 rimangono imprigionati nelle carceri israeliane. tra i morti, i feriti e i detenuti ci sono centinaia di minori. a causa della brutalità e dell'impunità dell'occupazione, che si intensifica, sono sempre di più quelli che la respingono in tutto il mondo e, in numero crescente, anche in israele. trump, johnson e macron fanno di tutto per sostenere quello che è il loro principale strumento di dominio nel medio oriente (è pure evidente il ruolo assunto da israele nell'aggressione alla siria e nel ricatto dell'iran) e che occorre contrastare su tutti i fronti: ampliando la denuncia dell’occupazione e la solidarietà con il popolo palestinese e smantellando le trappole semantiche come quelle che confondono l'occupazione con il conflitto e l'antisionismo con l'antisemitismo. la discriminazione e la violenza contro gli ebrei, come contro qualsiasi altro gruppo etnico, nazionale o religioso, sono un crimine. e anche l'estensione con la forza dei confini nazionali, il massacro e persino l'espulsione delle popolazioni. e questo è il sionismo! i palestinesi non si faranno né intimidire né comprare. trump e netanyahu scherzano con il fuoco. la cosiddetta “soluzione per la palestina” cucinata da trump e netanyahu è una provocazione per i palestinesi e la nazione araba. l'occupazione israeliana della cisgiordania si trasforma in annessione diretta. legittimazione definitiva degli insediamenti coloniali. gerusalemme capitale d'israele. una entità palestinese senza controllo dei propri confini, senza esercito proprio, senza continuità territoriale. in conclusione un bantustan, una riserva coloniale sotto il tallone della potenza sionista. altro che “stato palestinese”! l'imperialismo usa chiude così il lungo tragitto dei famosi accordi di oslo del 1993 siglati da clinton e arafat. la promessa era quella di un futuro stato palestinese nei territori di gaza e cisgiordania. ad arafat si concedeva l'amministrazione “autonoma” dei territori nella prospettiva di una futura indipendenza. nei fatti la direzione di al fatah pattuiva con israele la propria funzione di polizia nei territori occupati, in cambio di laute prebende. tutta la sinistra internazionale applaudì all'epoca all'“accordo di pace”, incluso il neonato prc. la parola d'ordine “due popoli due stati” venne celebrata negli ambienti riformisti di tutto il mondo come la soluzione democratica finalmente scoperta per la palestina; una soluzione che le stesse diplomazie imperialiste hanno a lungo recitato come un mantra. in realtà quella promessa era semplicemente una truffa, come tale denunciata dalla sinistra palestinese e a maggior ragione dai marxisti rivoluzionari. come potevano due minuscoli territori accerchiati da israele rappresentare il luogo dell'autodeterminazione palestinese? il diritto dei palestinesi a ritornare nella terra da cui furono cacciati era la prima vittima degli accordi di oslo. la degenerazione di al fatah e del suo gruppo dirigente, sospinta dalla corruzione dilagante e dalla collaborazione con le forze di occupazione, fu il suo inevitabile risvolto. hamas e il panislamismo reazionario capitalizzarono a gaza la deriva di al fatah in cisgiordania. ora trump e netanyahu forniscono agli accordi di oslo la loro concreta traduzione politica. “due popoli due stati” diventano una enclave palestinese sotto la dominazione di israele, una dominazione militare, politica, territoriale, accompagnata da una pioggia di miliardi per chi volesse vendersi. una prigione a cielo aperto e senza vie d'uscita, benedetta dalle monarchie del golfo. un ultimatum provocatorio per le stesse direzioni palestinesi, alle quali si chiede semplicemente una resa definitiva e umiliante agli occhi del loro stesso popolo. trump e netanyahu esibiscono la propria “soluzione” anche a fini di politica interna. trump, oggetto di impeachment, punta alla propria rielezione a novembre. netanyahu, sotto processo per corruzione, deve affrontare la terza competizione elettorale nel solo ultimo anno. la cancellazione della questione palestinese è solo merce di scambio nei loro calcoli cinici. hanno scelto non a caso, per fare l'annuncio, il giorno internazionale della memoria della shoah, per fornire al colonialismo sionista la maschera di un popolo oppresso. come se il terribile sterminio degli ebrei da parte del mostro nazista potesse legittimare l'oppressione dei palestinesi. come se l'ebraismo potesse essere arruolato nel sionismo. ma la questione palestinese non si farà cancellare da trump. nessuna oppressione nazionale può essere cancellata sulla carta nel momento stesso in cui è riproposta in tutta la sua brutalità materiale. il popolo palestinese ha dimostrato nella propria storia l'eroismo di cui è capace un popolo oppresso. non si farà né intimidire né comprare. ma certo la provocazione dell'imperialismo e del sionismo sottrae ogni spazio alle illusioni. il diritto di autodeterminazione del popolo palestinese non troverà un proprio spazio all'ombra dello stato di israele, né ora né mai. uno stato che si regge sulla negazione del diritto al ritorno, sui privilegi confessionali, sulla potenza militare, sulla discriminazione della sua stessa minoranza araba, è incompatibile coi diritti dei palestinesi. solo la dissoluzione dello stato d'israele può consentire il diritto al ritorno. solo una sollevazione rivoluzionaria della popolazione palestinese ed araba, combinandosi con la migliore opposizione ebraica al sionismo, può dissolvere lo stato d'israele, aprendo la via all'unica possibile soluzione storicamente progressiva: quella di uno stato nazionale palestinese, laico, democratico, socialista, rispettoso dei diritti nazionali della minoranza ebraica, dentro una federazione socialista della nazione araba e del medio oriente. è una prospettiva terribilmente difficile, ma è l'unica reale. ogni altra soluzione, negoziata con l'imperialismo e col sionismo, può essere solo un inganno. e dunque fonte di nuove tragedie e sofferenze. peraltro in larga parte del medio oriente e della nazione araba si è levato da tempo un vento nuovo. le ribellioni democratiche e di massa di dieci anni fa in tunisia, in egitto, in siria si sono risolte in drammatici rovesci, per responsabilità delle loro direzioni liberali e dell'imperialismo. ma la rivoluzione ha rialzato la testa in algeria, in sudan, in iraq, in libano, mentre in iran un nuovo movimento sfida l'oppressione del regime. ovunque la giovane generazione si ribella alle divisioni confessionali, al dispotismo di regimi teocratici, alla presenza di forze di occupazione. le ragioni del popolo palestinese possono dunque trovare nuove energie nelle masse oppresse della regione. ma è necessaria una nuova direzione, all'altezza di un vero progetto di liberazione: una direzione rivoluzionaria e socialista. partito comunista dei lavoratori.
Segue da Pag.27: Come Israele controlla i corpi palestinesi, sia vivi che morti

La politica israeliana ha trasformato i corpi umani in strumenti di negoziazione e il lutto in un atto politico facilmente criminalizzabile.

English version

Mariam Barghouti – 20 dicembre 2019

Immagine di copertina: Donne palestinesi pregano in un cimitero nella Striscia di Gaza nel giugno del 2018 (AFP)

Mio zio è morto di recente, e dopo che sua moglie e i suoi figli hanno lavato il suo corpo, lo hanno abbracciato per l’ultima volta e lo hanno seppellito, condividendo il loro dolore con amici, familiari e conoscenti.

Solo allora sono stati in grado di iniziare a piangere la sua perdita. Questo sacro processo del lutto consente alla comunità e ai propri cari di cominciare a guardare avanti , di proseguire e di tributare un saluto finale al defunto. Solo allora possono iniziare ad accettare le condoglianze.

Al funerale, ho visto i volti pallidi e in lutto e ho pensato: “Almeno è morto per cause naturali. Almeno possiamo seppellirlo e circondarlo di amore. ”

Cimiteri di numeri

Lo dico con la consapevolezza che la maggior parte delle famiglie palestinesi ha un martire tra i suoi conoscenti. Peggio ancora sono le famiglie dei martiri palestinesi i cui corpi sono ancora trattenuti da Israele.

Dal 1967, centinaia di corpi palestinesi sono stati trattenuti da Israele: alcuni in congelatori e altri nei famigerati “cimiteri dei numeri”. Le famiglie dei martiri hanno cercato di riportarli a casa.

Tuttavia, la prima richiesta dei palestinesi non è che Israele restituisca i nostri corpi. E’ smettere di ucciderci. Smettere di rubare la terra, cacciare le famiglie, incarcerare intere generazioni e consentire a una popolazione straniera di impossessarsi di quel poco che resta delle città palestinesi, solo per punire chiunque dica “ne ho abbastanza”.

Non solo ai palestinesi viene negata la possibilità di morire in pace; sono anche privati ​​del diritto di riconoscere che la loro morte è causata da un potere occupante

La perdita, nel quadro della lotta palestinese, è una realtà e un’esperienza inesorabile, che rimane invischiata nella realtà politica e nel dominio psicosociale. Con il semplice atto della sepoltura, la perdita diventa una lotta contro un regime potente. Recitare preghiere di pace e di misericordia su di un corpo un tempo così pieno di vita, solo per poi tornare ai fantasmi rimasti a casa, non è un compito semplice.

Nel 2016, durante una conferenza stampa, una madre mi disse, respirando affannosamente: “Per favore, scrivi qualcosa. Vogliamo seppellire i nostri figli. Vogliamo seppellire i nostri figli. ”

Ho ascoltato la sua supplica e ho pensato a quante famiglie subiscono la perdita dovendo prima accettare il fatto che la persona amata viene uccisa da Israele; poi, nel dover riconoscere che probabilmente non verrà definita alcuna responsabilità; poi nelle errate narrazioni e rappresentazioni del fatto confezionate dai media mainstream; e infine, nel dover negoziare il rilascio del corpo con quel potere che ha ucciso la persona amata.

Martirio glorificante

Sebbene il martirio sia spesso indicato come parte dell’esperienza palestinese, è una narrazione complessa e importante in tutte quelle nazioni che cercano di glorificare la morte del proprio popolo in nome dell’ideologia. Anche Israele partecipa alla glorificazione del martirio, più spesso ricoperto dal diffuso gingoismo e dal ricordo dei suoi soldati.

I nostri martiri sono preziosi per noi non solo per la lotta che rappresentano, ma anche perché sono persone con cui abbiamo giocato e combattuto, che abbiamo amato o detestato. Il martirio palestinese assume una dimensione completamente diversa nel modo in cui è presentato dai media, ostacolando la nostra volontà di portare un briciolo di dignità agli uccisi e a coloro che cercano di andare avanti.

Non solo ai palestinesi viene negata la possibilità di morire in pace; sono anche privati ​​del diritto di riconoscere che la loro morte è stata causata da un incessante potere occupante.



Funerale di un adolescente palestinese ucciso a Gaza il 30 novembre (AFP)

Quando i palestinesi vengono uccisi dalle forze israeliane, vengono indicati in forma passiva. Il palestinese “muore” , non viene “ucciso”. Il palestinese ha raramente un nome per mostrare la parodia di questa perdita di vite umane al potere di un esercito e di un regime che si sta introducendo con violenza nello spazio palestinese.

Ciò aiuta Israele non solo a colonizzare, spostare e incarcerare sistematicamente e impunemente i palestinesi, ma anche a occupare lo spazio tra i palestinesi stessi. Anche nel lutto, si respira un profumo di oppressione e di degrado.

A volte le forze israeliane attaccano i funerali dei martiri. In tal modo, Israele trasforma i corpi umani in strumenti di contrattazione e il lutto in un atto politico facilmente criminalizzabile.

Punizione collettiva

Non sorprende che nel 2018 la Knesset abbia approvato una legge che afferma giuridicamente la possibilità di Israele di trattenere i corpi dei palestinesi fino a quando le condizioni preliminari per il funerale non siano accettate

I corpi non vengono consegnati alle famiglie in lutto e vengono utilizzati dai vari partiti per scopi politici, nonostante si tratti di una violazione del diritto internazionale umanitario. È una testimonianza dello sforzo di Israele di controllare i corpi dei palestinesi e di oggettificarli ulteriormente, in linea con la comune pratica israeliana della punizione collettiva.

Gaza sta subendo una morte lenta a causa delle misure punitive contro l’intera Striscia. Un uomo di Rafah una volta mi disse: “Siamo pronti per essere inviati alla sepoltura”.

Ma Gaza e la trattenuta dei corpi non sono eccezioni. Oltre all’aumentata sorveglianza dei palestinesi attraverso le telecamere a circuito chiuso posizionate nelle città e nei villaggi, ai posti di blocco, alle continue demolizioni di case , Israele sta anche controllando le nostre emozioni.

Non possiamo piangere, muoverci o respirare senza considerare ciò che il potente esercito israeliano potrebbe farci. L’esercito israeliano è tra i primi 20 più potenti al mondo, con un budget di difesa superiore a 19 miliardi di dollari.

Il fatto che Israele mantenga il suo diritto di trattenere i corpi palestinesi “indipendentemente dalle loro affiliazioni politiche” mostra che le motivazioni dietro questa posizione non sono semplicemente legate alla costante spiegazione di Israele sulla “sicurezza” e sulla “difesa”.

Questa è una dichiarazione secondo cui Israele ha il controllo non solo della terra, ma anche del popolo – e ciò include negare il diritto di piangere coloro che ci sono stati sottratti.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Mariam Barghouti Originaria di Ramallah, Mariam Barghouti è una scrittrice e commentatrice palestinese. I suoi articoli sono apparsi sul New York Times, Al-Jazeera English, Huffington Post, Middle East Monitor, Mondoweiss, International Business Times e altro ancora.

Trad Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” – Invictapalestina.org

Anti che cosa?

di Gustavo Carneiro, Comitato Centrale del Partito Comunista Portoghese (PCP)
da avante.pt
traduzione di Mauro Gemma per Marx21.it

Giorni fa Donald Trump ha approvato un decreto esecutivo con il proposito annunciato di combattere l'antisemitismo nelle università statunitensi. Immediatamente, l'organizzazione Jewish Voice for Peace è intervenuta sostenendo che la misura non intende affrontare il "terribile aumento dell'antisemitismo" nelle università, che è reale, ma piuttosto rappresenta un "pericoloso tentativo autoritario di mettere a tacere l'attivismo studentesco a sostegno dei diritti dei palestinesi”.

Da questa parte dell'Atlantico, il primo ministro britannico rieletto Boris Johnson ha definito una delle priorità del suo nuovo governo prevenire (e arrestare) qualsiasi boicottaggio o sanzione nei confronti di Israele da parte delle autorità municipali del paese. Durante la campagna elettorale, il laburista Jeremy Corbyn ha difeso il riconoscimento dello Stato della Palestina e la fine della vendita di armi a Israele ed è stato, per questo, accusato di antisemitismo.

Già all'inizio di dicembre, il parlamento francese aveva in modo tassativo deliberato che l'antisionismo è esso stesso una forma di antisemitismo, il che ha ricevuto feroci critiche da parte di vari ambienti, anche di studiosi ebrei e israeliani. Lo stesso confronto era stato affermato circa un anno fa nei documenti ufficiali dell'Unione Europea.

Alcune settimane fa, l’allora primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu era in Portogallo per accordarsi con il Segretario di Stato americano Mike Pompeo sull'occupazione della Valle del Giordano, territorio palestinese - come lo sono pure Gerusalemme est e la Cisgiordania, dove vivono già oggi centinaia di migliaia di coloni israeliani. Nelle ultime due zone, tra l'altro, nel solo 2018, circa 460 case e altri edifici sono stati occupati o distrutti da Israele e i suoi abitanti sfollati.

Inoltre, negli ultimi due anni oltre 300 palestinesi sono stati assassinati dalle forze di occupazione e più di 5.000 rimangono imprigionati nelle carceri israeliane. Tra i morti, i feriti e i detenuti ci sono centinaia di minori. A causa della brutalità e dell'impunità dell'occupazione, che si intensifica, sono sempre di più quelli che la respingono in tutto il mondo e, in numero crescente, anche in Israele.

Trump, Johnson e Macron fanno di tutto per sostenere quello che è il loro principale strumento di dominio nel Medio Oriente (è pure evidente il ruolo assunto da Israele nell'aggressione alla Siria e nel ricatto dell'Iran) e che occorre contrastare su tutti i fronti: ampliando la denuncia dell’occupazione e la solidarietà con il popolo palestinese e smantellando le trappole semantiche come quelle che confondono l'occupazione con il conflitto e l'antisionismo con l'antisemitismo.

La discriminazione e la violenza contro gli ebrei, come contro qualsiasi altro gruppo etnico, nazionale o religioso, sono un crimine. E anche l'estensione con la forza dei confini nazionali, il massacro e persino l'espulsione delle popolazioni. E questo è il sionismo!

I palestinesi non si faranno né intimidire né comprare

Trump e Netanyahu scherzano con il fuoco

La cosiddetta “soluzione per la Palestina” cucinata da Trump e Netanyahu è una provocazione per i palestinesi e la nazione araba. L'occupazione israeliana della Cisgiordania si trasforma in annessione diretta. Legittimazione definitiva degli insediamenti coloniali. Gerusalemme capitale d'Israele. Una entità palestinese senza controllo dei propri confini, senza esercito proprio, senza continuità territoriale. In conclusione un bantustan, una riserva coloniale sotto il tallone della potenza sionista. Altro che “Stato palestinese”!

L'imperialismo USA chiude così il lungo tragitto dei famosi accordi di Oslo del 1993 siglati da Clinton e Arafat. La promessa era quella di un futuro Stato palestinese nei territori di Gaza e Cisgiordania. Ad Arafat si concedeva l'amministrazione “autonoma” dei territori nella prospettiva di una futura indipendenza. Nei fatti la direzione di Al Fatah pattuiva con Israele la propria funzione di polizia nei territori occupati, in cambio di laute prebende. Tutta la sinistra internazionale applaudì all'epoca all'“accordo di pace”, incluso il neonato PRC. La parola d'ordine “due popoli due Stati” venne celebrata negli ambienti riformisti di tutto il mondo come la soluzione democratica finalmente scoperta per la Palestina; una soluzione che le stesse diplomazie imperialiste hanno a lungo recitato come un mantra.

In realtà quella promessa era semplicemente una truffa, come tale denunciata dalla sinistra palestinese e a maggior ragione dai marxisti rivoluzionari. Come potevano due minuscoli territori accerchiati da Israele rappresentare il luogo dell'autodeterminazione palestinese? Il diritto dei palestinesi a ritornare nella terra da cui furono cacciati era la prima vittima degli accordi di Oslo. La degenerazione di Al Fatah e del suo gruppo dirigente, sospinta dalla corruzione dilagante e dalla collaborazione con le forze di occupazione, fu il suo inevitabile risvolto. Hamas e il panislamismo reazionario capitalizzarono a Gaza la deriva di Al Fatah in Cisgiordania.

Ora Trump e Netanyahu forniscono agli accordi di Oslo la loro concreta traduzione politica. “Due popoli due Stati” diventano una enclave palestinese sotto la dominazione di Israele, una dominazione militare, politica, territoriale, accompagnata da una pioggia di miliardi per chi volesse vendersi. Una prigione a cielo aperto e senza vie d'uscita, benedetta dalle monarchie del Golfo. Un ultimatum provocatorio per le stesse direzioni palestinesi, alle quali si chiede semplicemente una resa definitiva e umiliante agli occhi del loro stesso popolo.

Trump e Netanyahu esibiscono la propria “soluzione” anche a fini di politica interna. Trump, oggetto di impeachment, punta alla propria rielezione a novembre. Netanyahu, sotto processo per corruzione, deve affrontare la terza competizione elettorale nel solo ultimo anno. La cancellazione della questione palestinese è solo merce di scambio nei loro calcoli cinici. Hanno scelto non a caso, per fare l'annuncio, il giorno internazionale della memoria della Shoah, per fornire al colonialismo sionista la maschera di un popolo oppresso. Come se il terribile sterminio degli ebrei da parte del mostro nazista potesse legittimare l'oppressione dei palestinesi. Come se l'ebraismo potesse essere arruolato nel sionismo.

Ma la questione palestinese non si farà cancellare da Trump. Nessuna oppressione nazionale può essere cancellata sulla carta nel momento stesso in cui è riproposta in tutta la sua brutalità materiale. Il popolo palestinese ha dimostrato nella propria storia l'eroismo di cui è capace un popolo oppresso. Non si farà né intimidire né comprare. Ma certo la provocazione dell'imperialismo e del sionismo sottrae ogni spazio alle illusioni. Il diritto di autodeterminazione del popolo palestinese non troverà un proprio spazio all'ombra dello Stato di Israele, né ora né mai. Uno Stato che si regge sulla negazione del diritto al ritorno, sui privilegi confessionali, sulla potenza militare, sulla discriminazione della sua stessa minoranza araba, è incompatibile coi diritti dei palestinesi. Solo la dissoluzione dello Stato d'Israele può consentire il diritto al ritorno. Solo una sollevazione rivoluzionaria della popolazione palestinese ed araba, combinandosi con la migliore opposizione ebraica al sionismo, può dissolvere lo Stato d'Israele, aprendo la via all'unica possibile soluzione storicamente progressiva: quella di uno Stato nazionale palestinese, laico, democratico, socialista, rispettoso dei diritti nazionali della minoranza ebraica, dentro una federazione socialista della nazione araba e del Medio Oriente.

È una prospettiva terribilmente difficile, ma è l'unica reale. Ogni altra soluzione, negoziata con l'imperialismo e col sionismo, può essere solo un inganno. E dunque fonte di nuove tragedie e sofferenze.

Peraltro in larga parte del Medio Oriente e della nazione araba si è levato da tempo un vento nuovo. Le ribellioni democratiche e di massa di dieci anni fa in Tunisia, in Egitto, in Siria si sono risolte in drammatici rovesci, per responsabilità delle loro direzioni liberali e dell'imperialismo. Ma la rivoluzione ha rialzato la testa in Algeria, in Sudan, in Iraq, in Libano, mentre in Iran un nuovo movimento sfida l'oppressione del regime. Ovunque la giovane generazione si ribella alle divisioni confessionali, al dispotismo di regimi teocratici, alla presenza di forze di occupazione. Le ragioni del popolo palestinese possono dunque trovare nuove energie nelle masse oppresse della regione. Ma è necessaria una nuova direzione, all'altezza di un vero progetto di liberazione: una direzione rivoluzionaria e socialista.
Partito Comunista dei Lavoratori



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