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La VOCE ANNO XXI N°8

aprile 2019

PAGINA 1         - 17

reportage di pino arlacchi (già vicesegretario generale dell'onu) sul venezuela, da leggere perché davvero molto documentato (mercoledì 27/02/2019): . "io, ex vicesegretario dell'onu vi spiego il grande imbroglio della crisi in venezuela, tra wall street e petrolio". di pino arlacchi | 27 febbraio 2019 . se c'è una lezione che si impara dirigendo una grande organizzazione internazionale come l'onu è che, nelle cose del mondo, la verità dei fatti raramente coincide con la sua versione ufficiale. le idee dominanti - come diceva il vecchio marx - restano quelle della classe dominante. e il caso del venezuela di questi giorni si configura appunto nei termini di una gigantesca truffa informativa volta a coprire la sopraffazione di un popolo e la spoliazione di una nazione. il principale mito da sfatare riguarda le cause di fondo del dramma venezuelano. i media occidentali non hanno avuto dubbi nell'additare gli esecutivi succedutisi al potere dopo l'elezione del "dittatore" chávez alla presidenza nel 1998 come unici responsabili della crisi, nascondendone la matrice di gran lunga più importante: le barbare sanzioni americane contro il venezuela decise da obama nel 2015 e inasprite da trump nel 2017 e nel 2018. spese sociali mai così alte. la "dittatura" di chávez, confermata da 4 elezioni presidenziali e 14 referendum e consultazioni nazionali successive, è stata condotta sotto il segno di uno strappo radicale con la storia passata del venezuela: i proventi del petrolio sono stati in massima parte redistribuiti alla popolazione invece che intascati dall'oligarchia locale e imboscati nelle banche degli stati uniti. nonostante chávez abbia commesso vari errori di malgoverno e corruzione tipici del populismo di sinistra - errori confermati in seguito dal più debole maduro - sotto la sua presidenza le spese sociali hanno raggiunto il 70% del bilancio dello stato, il pil pro capite è più che triplicato in poco più di 10 anni, la povertà è passata dal 40 al 7%, la mortalità infantile si è dimezzata, la malnutrizione è diminuita dal 21 al 5%, l'analfabetismo è stato azzerato e il coefficiente gini di disuguaglianza è sceso al livello più basso dell'america latina (dati fmi, undp e banca mondiale). ma la sfida più temeraria lanciata dal venezuela "socialista" è stata quella contro l'egemonia del dollaro. l'economia ha iniziato a essere de-dollarizzata favorendo investimenti non statunitensi, tentando di non farsi pagare in dollari le esportazioni, e creando il sucre, un sistema di scambi finanziari regionali basato su una cripto-moneta, il petro, detenuta dalle banche centrali delle nazioni in affari col venezuela come unità di conto e mezzo di pagamento. il tempo della resa dei conti con il grande fratello è arrivato perciò molto presto. molti hanno evocato lo spettro del cile di allende di 30 anni prima. ma il venezuela di oggi è preda ancora più consistente del cile. dopo la russia, è il paese più ricco di risorse naturali del pianeta: primo produttore mondiale di petrolio e gas, secondo produttore di oro, e tra i maggiori di ferro, bauxite, cobalto e altri. collocato a tre ore di volo da miami, e con 32 milioni di abitanti. poco indebitato, e capace di fondare una banca dello sviluppo, il banco do sur, in grado di sostituire banca mondiale e fondo monetario come sorgente più equa di credito per il continente latinoamericano. è per queste ragioni che la "cura cilena" è inizialmente fallita. il tentato golpe anti-chavista del 2002 e le manifestazioni violente di un'opposizione divenuta eversiva e anti-nazionale, si sono scontrati con un esecutivo che vinceva comunque un'elezione dopo l'altra. perché anche i poveri, dopotutto, votano. l'occasione per chiudere la partita si è presentata con la morte di chávez nel 2013 e il crollo del prezzo del petrolio iniziato nel 2015. la strategia delle sanzioni - la raffica di sanzioni emesse l'anno dopo con il pretesto che il venezuela fosse una minaccia alla sicurezza nazionale degli usa mettono in ginocchio il paese. il venezuela viene espulso dai mercati finanziari internazionali e messo nelle condizioni di non poter più usare i proventi del petrolio per pagare le importazioni. quasi tutto ciò che entra in un'economia che produce poco al di fuori degli idrocarburi deve essere pagato in dollari contanti. e le sanzioni impediscono, appunto, l'uso del dollaro. i fondi del governo depositati negli usa vengono congelati o sequestrati. i canali di rifinanziamento e di rinegoziazione del modesto debito estero del venezuela vengono chiusi. gli interessi sul debito schizzano in alto perché le agenzie di rating al servizio di washington portano il rischio paese a cifre inverosimili, più alte di quelle della siria. nel 2015 lo spread del venezuela è di 2 mila punti, per raggiungere e superare i 6 mila nel 2017. gli economisti del centro studi celag hanno quantificato in 68,6 miliardi di dollari, il 34% del pil l'extra costo del debito venezuelano tra il 2014 e il 2017. ma il più micidiale degli effetti del blocco finanziario del venezuela è il rifiuto delle principali banche internazionali, sotto scacco americano, di trattare le transazioni connesse alle importazioni di beni vitali come il cibo, le medicine, i prodotti igienici e gli strumenti indispensabili per il funzionamento dell'apparato produttivo e dei trasporti. gli ospedali venezuelani restano senza insulina e trattamenti antimalarici. i porti del paese vengono dichiarati porti di guerra, portando alle stelle le tariffe dell'import-export. il valore delle importazioni crolla da 60 miliardi di dollari nel 2011-2013 a 12 miliardi nel 2017, portandosi dietro il tonfo del 50% del pil. le banche di wall street - i beni che riescono comunque a essere importati vengono accaparrati e rivenduti di contrabbando dagli oligopoli dell'industria alimentare che dominano il settore privato dell'economia venezuelana. la stessa delinquenza di alto livello che tira le fila del sabotaggio del clap, il piano di emergenza alimentare del governo che soccorre 6 milioni di famiglie. è stato calcolato che tra il 2013 e il 2017 l'aggressione finanziaria al venezuela è costata tra il 110 e il 160% del suo pil, cioè tra i 245 e i 350 miliardi di dollari. senza le sanzioni, l'economia del venezuela, invece di dimezzarsi, si sarebbe sviluppata agli stessi tassi dell'argentina. durante il 2018 si sviluppa in venezuela una crisi umanitaria interamente indotta. che si accompagna a un'iperinflazione altrettanto fasulla, senza basi nei fondamentali dell'economia, determinata da un attacco del mercato nero del dollaro alla moneta nazionale riconducibile alle 6 maggiori banche d'affari di wall street. è per questo che il rapporto dell'esperto onu che ha visitato il venezuela nel 2017, alfred de zayas (di cui non avete mai sentito parlare ma che contiene buona parte dei dati fin qui citati), propone il deferimento degli stati uniti alla corte penale internazionale per i crimini contro l'umanità perpetrati in venezuela dopo il 2015. * vicesegretario generale dell'onu dal 1997 al 2002 .
conferencia de solidaridad con venezuela en beirut. organizzazioni di donne arabe esprimono solidarieta' al venezuela. la russia e la cina mettono il veto sul progetto degli usa contro al venezuela all' onu. da sentire la testimonianza di fracassi riportata sotto. guaidò già negli anni 80 partecipava alle "lezioni" dell'organizzazione canvas (finanziata dal governo usa, banca morgan e altre società usa) su come organizzare rivoluzioni colorate con metodi ….. non violenti. vincenzo brandi. guaidò, il morto che cammina. come appare chiaro a tutte le persone di buona volontà e di normale intelligenza, l'ultima mossa dell'impero per sottomettere il venezuela e il suo governo bolivarista, scandaloso per wall street e per il suo braccio secolare di washington , è fallita. la puntata grottesca sullo sconosciuto guaidò e la farsa degli aiuti umanitari ormai falsificata persino dai video ( qui, ad esempio) che mostrano la preparazione di questa trappola, non ha sortito gli effetti sperati nonostante l'alleanza fin troppo esplicita con i signori della droga, soprattutto perché non c'è stata l'adesione che si aspettava dagli altri paesi latino americani del gruppo di lima, in particolare da quelli governati dai lacché degli usa: di fronte a bugie così clamorose e scoperte hanno avuto timore che il loro consenso interno saltasse. del resto la vicenda di confine avvenuta sotto gli occhi della stampa internazionale non ha lasciato scampo agli organizzatori perché i quattro camion apparentemente carichi di aiuti umanitari e accompagnati da circa 400 giovani "guarimberos" incappucciati (specialisti dello scontro della polizia) destinati a stabilire una testa di ponte dell'opposizione a ureña hanno rivelato il loro vero contenuto dopo che i suoi stessi accompagnatori avevano dato fuoco per errore ai teloni: tra scatolette di tonno e pacchetti di biscotti disposti a favore di fotocamera, si potevano scorgere pile di rotoli di filo, cavi d'acciaio, chiodi, maschere antigas, fischietti, termico antigelo, insomma l'armamentario tipico del guerrigliero. a questo disastro si sono aggiunte due gigantesche manifestazioni a caracas in appoggio di maduro che sebbene censurate dalla stampa occidentale, sono il segno che il paese non è ancora maturo per un golpe politico credibile. cosa può fare trump adesso? vittima della sua rozza verbosità e della brutalità dei gangster che lo consigliano, non gli rimane che l'opzione militare perché è difficile per un personaggio come lui ammettere una sconfitta diplomatica e politica di queste proporzioni senza un gesto violento, un colpo di coltello. e' una possibilità che non può essere esclusa anche se presenta numerose difficoltà sia sul piano delle operazioni - il venezuela è discretamente armato e infliggerebbe parecchi danni agli invasori - sia su quello della credibilità internazionale. certo sarebbe un'ottima cosa utilizzare la tattica usata per l'invasione di cuba nel 1898, ossia far saltare in aria una propria nave da guerra e quindi invadere il paese accusandolo della strage, tanto la verità emergerebbe dopo molti anni, se non dopo un secolo come è avvenuto per la guerra ispano - americana, ma questo non si può disgraziatamente fare per mancanza di un incrociatore maine alla fonda al largo di caracas. tuttavia un altro pretesto ci sarebbe: se guaidò, arnese ormai inutile, venisse sacrificato ed eliminato dandone la colpa a maduro questo potrebbe costituire un casus belli non dico credibile, ma presentabile, soprattutto da parte di un ‘informazione occidentale che si è comporta in modo vergognoso. non è un'ipotesi che faccio in prima persona, ma che è comparsa nel dibattito latino americano il quale conosce a fondo i metodi usati da washington ormai da due secoli per tenersi stretto il "cortile di casa". ovviamente maduro non avrebbe alcun interesse ad eliminare guaidò, piccolo politicante mercenario, ora che è bruciato e porta in giro il volto della sconfitta, semmai punterebbe ai suoi burattinai locali, però col fuoco di batteria dei media occidentali, non sarebbe difficile convincere le opinioni pubbliche della necessità di questa nuova esportazione di democrazia o comunque obnubilarne il giudizio o per meglio dire l'emozionalità occasionale. non si è forse riusciti a persuadere i più riottosi all'intelligenza che assad aveva usato i gas quando già aveva vinto la guerra e per di più in una situazione in cui il loro uso sarebbe stato del tutto incongruo e inutile? quindi dire guaidò è un morto che cammina non ha solo un significato politico, ma ahimè ben più sinistro. del resto la stessa scelta di un giovanotto sconosciuto e senz'arte né parte per la sceneggiata presidenziale, potrebbe far pensare che fin dall'inizio una sua uscita definitiva di scena fosse stata messa in conto. altro che presidente in pectore, caprone sacrificale piuttosto.
Reportage di Pino Arlacchi (già Vicesegretario generale dell'ONU) sul Venezuela, da leggere perché davvero molto documentato (mercoledì 27/02/2019):

"Io, ex vicesegretario dell'Onu vi spiego il grande imbroglio della crisi in Venezuela, tra Wall Street e petrolio"

di Pino Arlacchi | 27 Febbraio 2019

Se c'è una lezione che si impara dirigendo una grande organizzazione internazionale come l'Onu è che, nelle cose del mondo, la verità dei fatti raramente coincide con la sua versione ufficiale. Le idee dominanti - come diceva il vecchio Marx - restano quelle della classe dominante. E il caso del Venezuela di questi giorni si configura appunto nei termini di una gigantesca truffa informativa volta a coprire la sopraffazione di un popolo e la spoliazione di una nazione.

Il principale mito da sfatare riguarda le cause di fondo del dramma venezuelano. I media occidentali non hanno avuto dubbi nell'additare gli esecutivi succedutisi al potere dopo l'elezione del "dittatore" Chávez alla presidenza nel 1998 come unici responsabili della crisi, nascondendone la matrice di gran lunga più importante: le barbare sanzioni americane contro il Venezuela decise da Obama nel 2015 e inasprite da Trump nel 2017 e nel 2018.

Spese sociali mai così alte. La "dittatura" di Chávez, confermata da 4 elezioni presidenziali e 14 referendum e consultazioni nazionali successive, è stata condotta sotto il segno di uno strappo radicale con la storia passata del Venezuela: i proventi del petrolio sono stati in massima parte redistribuiti alla popolazione invece che intascati dall'oligarchia locale e imboscati nelle banche degli Stati Uniti.

Nonostante Chávez abbia commesso vari errori di malgoverno e corruzione tipici del populismo di sinistra - errori confermati in seguito dal più debole Maduro - sotto la sua presidenza le spese sociali hanno raggiunto il 70% del bilancio dello Stato, il Pil pro capite è più che triplicato in poco più di 10 anni, la povertà è passata dal 40 al 7%, la mortalità infantile si è dimezzata, la malnutrizione è diminuita dal 21 al 5%, l'analfabetismo è stato azzerato e il coefficiente Gini di disuguaglianza è sceso al livello più basso dell'America Latina (dati Fmi, Undp e Banca Mondiale).

Ma la sfida più temeraria lanciata dal Venezuela "socialista" è stata quella contro l'egemonia del dollaro. L'economia ha iniziato a essere de-dollarizzata favorendo investimenti non statunitensi, tentando di non farsi pagare in dollari le esportazioni, e creando il Sucre, un sistema di scambi finanziari regionali basato su una cripto-moneta, il Petro, detenuta dalle banche centrali delle nazioni in affari col Venezuela come unità di conto e mezzo di pagamento. Il tempo della resa dei conti con il Grande Fratello è arrivato perciò molto presto. Molti hanno evocato lo spettro del Cile di Allende di 30 anni prima.

Ma il Venezuela di oggi è preda ancora più consistente del Cile. Dopo la Russia, è il Paese più ricco di risorse naturali del pianeta: primo produttore mondiale di petrolio e gas, secondo produttore di oro, e tra i maggiori di ferro, bauxite, cobalto e altri. Collocato a tre ore di volo da Miami, e con 32 milioni di abitanti. Poco indebitato, e capace di fondare una banca dello sviluppo, il Banco do Sur, in grado di sostituire Banca Mondiale e Fondo monetario come sorgente più equa di credito per il continente latinoamericano.

È per queste ragioni che la "cura cilena" è inizialmente fallita. Il tentato golpe anti-chavista del 2002 e le manifestazioni violente di un'opposizione divenuta eversiva e anti-nazionale, si sono scontrati con un esecutivo che vinceva comunque un'elezione dopo l'altra. Perché anche i poveri, dopotutto, votano. L'occasione per chiudere la partita si è presentata con la morte di Chávez nel 2013 e il crollo del prezzo del petrolio iniziato nel 2015.

La strategia delle sanzioni - La raffica di sanzioni emesse l'anno dopo con il pretesto che il Venezuela fosse una minaccia alla sicurezza nazionale degli Usa mettono in ginocchio il Paese. Il Venezuela viene espulso dai mercati finanziari internazionali e messo nelle condizioni di non poter più usare i proventi del petrolio per pagare le importazioni. Quasi tutto ciò che entra in un'economia che produce poco al di fuori degli idrocarburi deve essere pagato in dollari contanti. E le sanzioni impediscono, appunto, l'uso del dollaro. I fondi del governo depositati negli Usa vengono congelati o sequestrati. I canali di rifinanziamento e di rinegoziazione del modesto debito estero del Venezuela vengono chiusi. Gli interessi sul debito schizzano in alto perché le agenzie di rating al servizio di Washington portano il rischio paese a cifre inverosimili, più alte di quelle della Siria. Nel 2015 lo spread del Venezuela è di 2 mila punti, per raggiungere e superare i 6 mila nel 2017.

Gli economisti del centro studi Celag hanno quantificato in 68,6 miliardi di dollari, il 34% del Pil l'extra costo del debito venezuelano tra il 2014 e il 2017. Ma il più micidiale degli effetti del blocco finanziario del Venezuela è il rifiuto delle principali banche internazionali, sotto scacco americano, di trattare le transazioni connesse alle importazioni di beni vitali come il cibo, le medicine, i prodotti igienici e gli strumenti indispensabili per il funzionamento dell'apparato produttivo e dei trasporti. Gli ospedali venezuelani restano senza insulina e trattamenti antimalarici. I porti del paese vengono dichiarati porti di guerra, portando alle stelle le tariffe dell'import-export. Il valore delle importazioni crolla da 60 miliardi di dollari nel 2011-2013 a 12 miliardi nel 2017, portandosi dietro il tonfo del 50% del Pil.

Le banche di Wall Street - I beni che riescono comunque a essere importati vengono accaparrati e rivenduti di contrabbando dagli oligopoli dell'industria alimentare che dominano il settore privato dell'economia venezuelana. La stessa delinquenza di alto livello che tira le fila del sabotaggio del Clap, il piano di emergenza alimentare del governo che soccorre 6 milioni di famiglie. È stato calcolato che tra il 2013 e il 2017 l'aggressione finanziaria al Venezuela è costata tra il 110 e il 160% del suo Pil, cioè tra i 245 e i 350 miliardi di dollari. Senza le sanzioni, l'economia del Venezuela, invece di dimezzarsi, si sarebbe sviluppata agli stessi tassi dell'Argentina.

Durante il 2018 si sviluppa in Venezuela una crisi umanitaria interamente indotta. Che si accompagna a un'iperinflazione altrettanto fasulla, senza basi nei fondamentali dell'economia, determinata da un attacco del mercato nero del dollaro alla moneta nazionale riconducibile alle 6 maggiori banche d'affari di Wall Street.

È per questo che il rapporto dell'esperto Onu che ha visitato il Venezuela nel 2017, Alfred De Zayas (di cui non avete mai sentito parlare ma che contiene buona parte dei dati fin qui citati), propone il deferimento degli Stati Uniti alla Corte Penale Internazionale per i crimini contro l'umanità perpetrati in Venezuela dopo il 2015.

* Vicesegretario Generale dell'Onu dal 1997 al 2002

Conferencia de solidaridad con Venezuela en Beirut

ORGANIZZAZIONI DI DONNE ARABE ESPRIMONO SOLIDARIETA' AL VENEZUELA

LA RUSSIA E LA CINA METTONO IL VETO SUL PROGETTO DEGLI USA CONTRO AL VENEZUELA ALL' ONU

Da sentire la testimonianza di Fracassi riportata sotto. Guaidò già negli anni 80 partecipava alle "lezioni" dell'organizzazione CANVAS (finanziata dal governo USA, banca Morgan e altre società USA) su come organizzare rivoluzioni colorate con metodi ….. non violenti.
Vincenzo Brandi.



Guaidò, il morto che cammina

Come appare chiaro a tutte le persone di buona volontà e di normale intelligenza, l'ultima mossa dell'impero per sottomettere il Venezuela e il suo governo bolivarista, scandaloso per Wall Street e per il suo braccio secolare di Washington , è fallita. La puntata grottesca sullo sconosciuto Guaidò e la farsa degli aiuti umanitari ormai falsificata persino dai video ( qui, ad esempio) che mostrano la preparazione di questa trappola, non ha sortito gli effetti sperati nonostante l'alleanza fin troppo esplicita con i signori della droga, soprattutto perché non c'è stata l'adesione che si aspettava dagli altri Paesi latino americani del gruppo di Lima, in particolare da quelli governati dai lacché degli Usa: di fronte a bugie così clamorose e scoperte hanno avuto timore che il loro consenso interno saltasse. Del resto la vicenda di confine avvenuta sotto gli occhi della stampa internazionale non ha lasciato scampo agli organizzatori perché i quattro camion apparentemente carichi di aiuti umanitari e accompagnati da circa 400 giovani "guarimberos" incappucciati (specialisti dello scontro della polizia) destinati a stabilire una testa di ponte dell'opposizione a Ureña hanno rivelato il loro vero contenuto dopo che i suoi stessi accompagnatori avevano dato fuoco per errore ai teloni: tra scatolette di tonno e pacchetti di biscotti disposti a favore di fotocamera, si potevano scorgere pile di rotoli di filo, cavi d'acciaio, chiodi, maschere antigas, fischietti, termico antigelo, insomma l'armamentario tipico del guerrigliero. A questo disastro si sono aggiunte due gigantesche manifestazioni a Caracas in appoggio di Maduro che sebbene censurate dalla stampa occidentale, sono il segno che il Paese non è ancora maturo per un golpe politico credibile.

Cosa può fare Trump adesso? Vittima della sua rozza verbosità e della brutalità dei gangster che lo consigliano, non gli rimane che l'opzione militare perché è difficile per un personaggio come lui ammettere una sconfitta diplomatica e politica di queste proporzioni senza un gesto violento, un colpo di coltello. E' una possibilità che non può essere esclusa anche se presenta numerose difficoltà sia sul piano delle operazioni - il Venezuela è discretamente armato e infliggerebbe parecchi danni agli invasori - sia su quello della credibilità internazionale. Certo sarebbe un'ottima cosa utilizzare la tattica usata per l'invasione di Cuba nel 1898, ossia far saltare in aria una propria nave da guerra e quindi invadere il Paese accusandolo della strage, tanto la verità emergerebbe dopo molti anni, se non dopo un secolo come è avvenuto per la guerra ispano - americana, ma questo non si può disgraziatamente fare per mancanza di un incrociatore Maine alla fonda al largo di Caracas. Tuttavia un altro pretesto ci sarebbe: se Guaidò, arnese ormai inutile, venisse sacrificato ed eliminato dandone la colpa a Maduro questo potrebbe costituire un casus belli non dico credibile, ma presentabile, soprattutto da parte di un ‘informazione occidentale che si è comporta in modo vergognoso.

Non è un'ipotesi che faccio in prima persona, ma che è comparsa nel dibattito latino americano il quale conosce a fondo i metodi usati da Washington ormai da due secoli per tenersi stretto il "cortile di casa". Ovviamente Maduro non avrebbe alcun interesse ad eliminare Guaidò, piccolo politicante mercenario, ora che è bruciato e porta in giro il volto della sconfitta, semmai punterebbe ai suoi burattinai locali, però col fuoco di batteria dei media occidentali, non sarebbe difficile convincere le opinioni pubbliche della necessità di questa nuova esportazione di democrazia o comunque obnubilarne il giudizio o per meglio dire l'emozionalità occasionale. Non si è forse riusciti a persuadere i più riottosi all'intelligenza che Assad aveva usato i gas quando già aveva vinto la guerra e per di più in una situazione in cui il loro uso sarebbe stato del tutto incongruo e inutile? Quindi dire Guaidò è un morto che cammina non ha solo un significato politico, ma ahimè ben più sinistro. Del resto la stessa scelta di un giovanotto sconosciuto e senz'arte né parte per la sceneggiata presidenziale, potrebbe far pensare che fin dall'inizio una sua uscita definitiva di scena fosse stata messa in conto. Altro che presidente in pectore, caprone sacrificale piuttosto.

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