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LA VOCE 1509 |
P R E C E D E N T E | S U C C E S S I V A |
La VOCE ANNO XVIII N°1 | settembre 2015 | PAGINA e - 33 |
e l’eguaglianza di diritti per tutte le fedi religiose, così come per i convincimenti atei. In questo senso, il programma del partito comunista nella fase che precede la conquista del potere si situa lungo la linea della tradizione democratica e del conseguente indirizzo separatistico nel rapporto tra Stato e Chiesa, che fa pernio sulla rivendicazione dello Stato laico. Laddove tale indirizzo è diverso sia rispetto a quello concordistico, in cui, come accade nel nostro paese, la Chiesa cattolica detiene sostanzialmente il monopolio della religione, sia rispetto a quello cavourriano post-unitario della “libera Chiesa in libero Stato”, sia rispetto a quello statunitense, riassumibile nella formula “libere Chiese in libero Stato”, sia rispetto a quello cesaropapista affermatosi in Russia e, più in generale, nel cristianesimo orientale. È invece una posizione squisitamente opportunista affermare che la religione sia un “affare privato” nei confronti del partito, anche se proprio nel testo leniniano che abbiamo posto al centro di questo articolo si afferma che, a condizione che ne accetti il programma, un prete può essere membro del partito. In realtà, non vi è alcuna contraddizione tra le due tesi, poiché nessuna di esse va intesa come una verità assoluta, che sussiste indipendentemente dalle specifiche condizioni storiche e dalla specifica composizione di classe in cui il partito del proletariato si trova ad operare. La risposta di Lenin, che nulla concede all’eclettismo deteriore, è ancora una volta materialistica e dialettica: «Si pone spesso, per esempio, la questione se un prete possa esser membro del partito socialdemocratico, e di solito a tale questione si risponde, senza alcuna riserva, affermativamente, richiamandosi all’esperienza dei partiti socialdemocratici europei. Ma questa esperienza è nata non solo dall’applicazione del marxismo al movimento operaio, ma anche da particolari condizioni storiche dell’Occidente, che non esistono in Russia… per cui una risposta incondizionatamente affermativa in questo caso è inesatta»[vii]. Dal canto suo, Engels non aveva mancato di criticare l’opportunismo dei socialdemocratici tedeschi, che dichiaravano la religione “affare privato” proprio nell’epoca del ‘Kulturkampf’ bismarckiano, ossia nell’epoca in cui l’anticlericalismo borghese cercava di distogliere le masse operaie dai loro effettivi interessi di classe, trascinandole sul terreno della lotta contro la religione[viii]. In Russia, invece, quando Lenin scriveva l’articolo sull’atteggiamento del partito comunista verso la religione, la situazione era diversa a causa della funzione politica e culturale particolarmente retriva e del peso preponderante che esercitava nella società e nell’economia la Chiesa ortodossa. Qui l’egemonia della classe operaia nella rivoluzione democratica doveva esprimersi anche a livello ideale, oltre che a livello economico e politico, e tradursi in una lotta vigorosa contro ogni residuo medievale e perciò anche contro la “vecchia religione ufficiale”. Laddove Lenin, ribadendo ciò che aveva già esposto nel Che fare?,[ix] sottolinea energicamente la natura ideologica del partito di classe e la sua concezione del mondo alternativa tanto alla cultura borghese quanto alla cultura di derivazione feudale. È implicita, in tutta la elaborazione di Lenin concernente il problema del rapporto tra la religione e la lotta di classe, una precisa distinzione tra Stato e partito, che va salvaguardata nella fase che precede la conquista del potere, così come nella fase che segue alla conquista del potere, quando, fra i compiti che il partito deve assolvere, vi è anche quello che va sotto il nome di rivoluzione culturale e ideologica. Così, lo Stato doveva affermare, insieme con la libertà di coscienza, il suo carattere laico e aconfessionale, distinguendosi perciò, nella fase della rivoluzione democratica in cui Lenin operava, dalla Chiesa ortodossa, allora Chiesa ufficiale di Stato, e da ogni altra religione. Al contrario, il compito permanente che è proprio del partito comunista era allora, ed è ancor oggi, quello di garantire l’autonomia politica e ideale della classe operaia, affermando una concezione del mondo alternativa a quella borghese, cioè il materialismo dialettico e storico, e dunque una posizione precisa verso la religione, elevando la coscienza filosofica e morale dei suoi iscritti e agendo con le armi della critica, del ragionamento e della convinzione per educare a tale concezione anche quei militanti che, pur professando una fede religiosa, hanno riconosciuto nel partito comunista, nel suo programma e nella sua battaglia lo strumento della loro emancipazione. Eros Barone Note: [i] M. Weber, Sociologia della religione, a cura di Pietro Rossi, 4 voll., Edizioni di Comunità, Milano 2002. [ii] E. Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa, Meltemi, Roma 1905. [iii] Cfr. V. I. Lenin, Opere complete, vol. XV, Editori Riuniti, Roma 1967, pp. 381-391. [iv] Cfr. la sezione dedicata alla Critica marxista della religione in I. Fetscher, Il marxismo – Storia documentaria – Filosofia Ideologia, Feltrinelli, Milano 1969, pp. 35-36. L’antologia curata dal Fetscher è particolarmente utile, grazie al suo impianto storico e sistematico, per un primo orientamento sull’intero arco delle questioni teoriche inerenti alle fonti di Marx, ai testi del medesimo e alla tradizione marxista che ne è scaturita. L’antologia comprende infatti, oltre al volume qui citato, altri due volumi, dedicati a Economia, sociologia e Politica. |
[v] Vale la pena di riportare con una certa larghezza dalla sezione or ora citata per documentare la straordinaria pregnanza di queste enunciazioni rispetto al processo di elaborazione del materialismo storico, che vedeva Marx ed Engels seriamente impegnati, nel corso degli anni quaranta del XIX secolo, a “fare i conti con la [loro] anteriore coscienza filosofica” e quindi con i debiti contratti verso Hegel e verso la sinistra hegeliana, in particolare verso Feuerbach. I due fondatori del materialismo storico pervengono a questa “resa dei conti”, muovendo da due assunti chiave: a) che “il presupposto di ogni critica è la critica della religione”; b) che l’ateismo è la condizione di ogni autentico processo di liberazione umana.
[vi] Cfr. Tesi su Feuerbach in K. Marx – F. Engels, Opere scelte, Editori Riuniti, Roma 1969, pp. 185-190. [vii] Cfr. nota 3. [viii] Un ‘falso scopo’ analogo a quello attuato con il ‘Kulturkampf’ da una parte della borghesia tedesca per deviare la lotta di classe del proletariato dai suoi specifici obiettivi fu, nel periodo kruscioviano, la campagna ateistica promossa (non solo dal partito comunista ma anche) dallo Stato sovietico, la cui funzione era soprattutto quella di celare la natura controrivoluzionaria ed opportunistica della ‘destalinizzazione’. [ix] Tra le diverse formulazioni con cui Lenin esprime ed articola il carattere alternativo dell’ideologia socialista rispetto all’ideologia borghese, può bastare per il suo rigore dirimente e per la sua icastica secchezza la seguente argomentazione: «Dal momento che non si può parlare di una ideologia indipendente, elaborata dalle stesse masse operaie nel corso stesso del loro movimento [come è noto, questa è la premessa maggiore del sillogismo da cui Lenin ricava la conclusione che “la coscienza socialista è un elemento importato nella lotta di classe del proletariato dall’esterno” – Nota nostra], la questione si può porre solamente così: o ideologia borghese o ideologia socialista. Non c’è via di mezzo (poiché l’umanità non ha creato una “terza” ideologia, e, d’altronde, in una società dilaniata dagli antagonismi di classe, non potrebbe mai esistere una ideologia al di fuori o al di sopra delle classi). Ecco perché ogni menomazione dell’ideologia socialista, ogni allontanamento da essa implica necessariamente un rafforzamento dell’ideologia borghese». Nello svolgere la sua argomentazione Lenin suppone che il lettore del Che fare? avanzi questa domanda: «Ma perché il movimento spontaneo…conduce al predominio dell’ideologia borghese?». Alla quale domanda il grande rivoluzionario e pensatore russo così risponde: «Per la semplice ragione che, per le sue origini, l’ideologia borghese è ben più antica di quella socialista, essa è meglio elaborata in tutti i suoi aspetti e possiede una quantità incomparabilmente maggiore di mezzi di diffusione» |