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La VOCE ANNO XVIII N°3

novembre 2015

PAGINA f         - 30

Pierre de Fermat : “il più grande dei dilettanti”, agli albori della matematica moderna

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Il francese Fermat (1601-1665) è stato definito “il più grande dei matematici dilettanti”. Egli infatti trascorse tutta la sua vita come importante magistrato della città di Tolosa, ma si dedicò con passione nel tempo libero allo studio degli antichi matematici (Euclide, Apollonio, Archimede, Diofanto) dando nel contempo importanti contributi alla teoria dei numeri ed alla nascita della geometria analitica e dell’analisi infinitesimale. Per tutta la vita fu in contatto – e talvolta anche polemizzò - con tutti i principali matematici della prima metà del ‘600 (Cartesio, Pascal, Huyghens, Beaugrand, Roberval, Frenicle, Wallis), servendosi spesso della mediazione del ben noto frate Marin Mersenne, fondatore di un circolo il cui scopo era quello di mettere in contatto epistolare ed a confronto i principali matematici dell’epoca.
Il più famoso (ma certamente non il più importante) dei lavori matematici di Fermat nel campo della cosiddetta “teoria dei numeri” è quello noto come “ultimo teorema di Fermat” secondo cui, dati tre numeri naturali, x,y e z, l’equazione xn + yn = zn non potrà mai essere soddisfatta per valori di “n” superiori a 2 (mentre per n = 2 l’eguaglianza non è altro che l’espressione matematica del noto teorema di Pitagora, già dimostrato nell’antichità). In realtà non si trattava di un teorema, ma di una “congettura”, ovvero di un’affermazione probabilmente vera, ma non dimostrata, visto che lo stesso Fermat non ne dette una dimostrazione. Per oltre tre secoli molti brillanti matematici cercarono inutilmente di dimostrarla, ed essa fu anche indicata nel 1900 dal grande matematico tedesco Hilbert come uno dei 23 problemi del secolo. Si pensò anche che la congettura fosse indimostrabile, in accordo con quanto affermato nel ‘900 dal logico Godel nel suo teorema sulla ineliminabile presenza di congetture indimostrabili. Finalmente nel 1993-94 l’inglese Andrew Willis ne ha data una complicatissima dimostrazione incassando anche il premio previsto per la risoluzione.
Sempre nel campo della teoria dei numeri (ed in particolare dei numeri primi) è noto anche il “piccolo teorema di Fermat” (risalente al 1640 circa) secondo cui, dato il numero naturale “a” ed il numero primo “p” (che non sia un divisore di “a”), ap - 1 -1 è sempre divisibile per p. Questo teorema, ed altri studi brillanti di Fermat, sono stati importanti da un punto di vista teorico, specie per quanto riguarda i numeri primi (studiati anche nell’antichità da Euclide che ne dimostrò l’infinità). Tuttavia l’applicazione pratica di questi studi può riguardare solo i messaggi criptati, mentre molto più importanti da un punto di vista dello sviluppo scientifico sono risultate le sue anticipazioni sulla geometria analitica e l’analisi infinitesimale.
Nel 1636 Fermat inviò a Mersenne la sua opera “Introduzione ai luoghi geometrici piani e solidi”, nota col semplice nome “Isagogè”. Nell’opera il brillante matematico sviluppò alcune idee già impostate da Francois Viete (matematico di cui già si è fatto cenno a proposito della matematica del tardo ‘500 e che Fermat conobbe personalmente), consistenti nel trattare un problema geometrico come un problema algebrico. Ad esempio, una curva piana può essere espressa da un’equazione in due incognite, un volume da un’equazione a tre incognite. Questo metodo fu sviluppato da Fermat contemporaneamente a Cartesio, ma in quest’ultimo assunse un significato più teorico e filosofico, mentre Fermat tendeva a farne un uso più pratico. Inoltre la geometria cartesiana piana è basata su due assi piani, come si usa ancora oggi, mentre quella di Fermat era monoassiale (che è utile in alcuni problemi di fisica, ma più limitata negli sviluppi successivi). Il metodo della geometria analitica si è dimostrato uno dei più potenti supporti a tutta la scienza moderna superando il formalismo dell’antica geometria greca di tipo euclideo.

Intorno al 1636 comparve anche un altro trattato di Fermat: “Metodo per determinare massimi e minimi e tangenti di linee curve” (detto anche semplicemente ”Methodus”). In esso venivano esaminati in modo ingegnoso tre problemi tipici dell’analisi infinitesimale, cioè quella matematica che affronta il problema delle quantità infinitamente piccole, e che prevedono un’operazione detta “derivazione” di una “funzione” numerica. Fermat affrontò, al solito, i problemi in modo più pratico ed efficace che generale e teorico (come poi faranno Newton e Leibnitz, e due secoli dopo Cauchy, Weistrass e Bolzano, che, sviluppando concetti come quello di “limite”, forniranno un fondamento teorico a tutto l’argomento). Il procedere di Fermat nel “Methodus” con abili artifici, senza inquadrare il tutto in una solida teoria generale, attirò le feroci critiche di Cartesio, indispettito, da parte sua, perche’ Fermat aveva osato criticare la sua opera “Diottrica” riguardante l’ottica geometrica, ed in particolare il fenomeno della rifrazione. Nella successiva importante opera, “Investigazione analitica” del 1643, Fermat cercherà di dare maggiori giustificazioni teoriche ai suoi metodi pratici ed ingegnosi.
Nei suoi ultimi trattati, “Il Trattato sulla Quadratura” del 1658, ed “Il Trattato sulla rettificazione” del 1660, Fermat affrontò anche i fondamenti dell’altro grande problema dell’analisi matematica, quello noto come “calcolo integrale”. Nel primo trattato dimostrò la possibilità di “quadratura”, ovvero del calcolo dell’area sottesa tra una curva e una retta, operazione oggi realizzabile con un’operazione detta di “integrazione”, relativamente a varie curve ritenute dai cartesiani impossibili da “quadrare”. Operazioni di questo genere erano già state fatte da Archimede nell’antichità con il metodo di “esaustione” proposto da Eudosso. Nel secondo trattato rettificò (ovvero costruì un segmento retto equivalente, di eguale lunghezza) tratti di varie curve, dividendole in un numero tendenzialmente infinito di tratti sempre più piccoli.
Fermat pose quindi le basi del calcolo infinitesimale, ma non fece l’ultimo passo (fatto poi da Newton e Lebnitz) consistente nel capire che la “derivata” di una funzione è a sua volta una funzione derivabile, e che l’operazione di “derivazione” è l’operazione inversa di quella di “integrazione”.
Nel frattempo, pochi anni prima, nel 1654, in una serie di lettere scambiate con Blaise Pascal, Fermat, in collaborazione con lo stesso Pascal, aveva posto anche i primi fondamenti del calcolo delle probabilità. L’argomento era stato sollevato da un giocatore d’azzardo che si era rivolto a Pascal per avere un metodo per vincere. Pascal aveva, a sua volta, sollecitato il parere di Fermat.
Infine, nei suoi ultimi anni di vita, nel 1658, circa dieci anni dopo la morte di Cartesio, si rinnovò la polemica tra Fermat ed il cartesiano Clerselier sul fenomeno della rifrazione della luce. Il geniale matematico si cimentò con successo in un problema di fisica facendo notare le contraddizioni cui portava il modello cartesiano basato sulla visione del raggio luminoso come una serie di corpuscoli costituenti il cosiddetto “etere” che si spingevano l’un l’altro. Egli invece utilizzò un principio (oggi noto come “principio di Fermat”) che in fisica assume un valore universale, quello secondo cui la natura sceglie sempre il cammino che impiega meno tempo (che è una modifica del principio del “cammino più breve” sostenuto dall’antico ingegnere Erone e dal contemporaneo di Fermat, Cureau). Questo principio introduce l’importantissima idea della velocità della luce, che allora era in genere considerata istantanea (ma non da Galilei).
In definitiva il geniale “dilettante” Fermat non creò una scuola per la sua propensione a risolvere i problemi piuttosto che creare teorie generali, ma fornì elementi preziosi per lo sviluppo della matematica moderna.

Vincenzo Brandi

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