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La "Gaza Freedom March" e
la palude italiana


Alla fine di dicembre 2009, 1400 militanti di organizzazioni antimperialiste, democratiche e pacifiste provenienti da 43 paesi sono affluiti in Egitto, al Cairo. Di qui intendevano raggiungere il confine con la Palestina, per poi entrare in massa nella "Striscia di Gaza",  settore della Palestina assediato da 3 anni e sottoposto al blocco totale anche dei generi di prima necessità.

Si tratta di una punizione collettiva inflitta agli abitanti di Gaza da Israele, Europa, Stati Uniti, e dal loro alleato,  il governo egiziano,  per aver votato a favore di un movimento di "resistenza islamica", Hamas, inviso ad Israele ed alle potenze occidentali.

Lo scopo dell'iniziativa, cui ha partecipato anche chi vi scrive in qualità di testimone diretto, era quello di rompere simbolicamente l'assedio e marciare il 31 dicembre insieme ai Palestinesi assediati. La data coincideva con l'anniversario del feroce bombardamento effettuato dagli Israeliani tra il dicembre del 2008 ed il gennaio del 2009, che ha causato la morte di oltre 1400 persone, il ferimento di migliaia di altre, la distruzione di migliaia di case, fabbriche, scuole che è impossibile ricostruire per la mancanza di materiali da costruzione a causa del blocco.

Le autorità egiziane, probabilmente su pressione israeliana ed americana, hanno vietato all'ultimo momento la marcia. Ma non basta! Dimostrando tutto il suo servilismo nei confronti dell'entità sionista e degli USA, il governo egiziano ha dato il via alla costruzione di un muro d'acciaio sotterraneo che dovrebbe bloccare i tunnel attraverso cui i Palestinesi fanno affluire di contrabbando le merci indispensabili alla sopravvivenza.

Le delegazioni internazionali presenti non si sono perse d'animo ed hanno rifiutato a larga maggioranza un compromesso proposto dal governo dell'Egitto di far passare solo 100 persone con motivazioni solo "umanitarie" e non "politiche". Si trattava di una vera e propria trappola per dividere il movimento in cui sono cascate solo alcuni spezzoni delle delegazioni più moderate, come le "Code-pink", organizzazione femminista americana di fede "obamiana".

Sono state organizzate una serie di manifestazioni di protesta al Cairo che hanno avuto grande risonanza sulla stampa egiziana e su tutte le televisioni arabe, ed hanno riscosso la simpatia e la solidarietà di gran parte della popolazione egiziana sottoposta al regime poliziesco di Mubarak.

Il ritorno in Italia, dopo il sostanziale successo politico della "marcia" , sia pur impedita nel traguardo finale, ci ha mostrato il volto squallido di un paese, che come altri paesi europei e dell'Occidente capitalista ed imperialista, eleva, coi suoi politici e con i suoi "mass media",  una cortina di silenzio sui grandi problemi reali del mondo. Abbiamo trovato un'opinione pubblica in gran parte addormentata dalle sciocchezze diffuse dai nostri giornali e TV, ed abbiamo assistito al teatrino di ridicole diatribe offerto da amministratori e candidati alle prossime elezioni regionali, tutti più o meno coinvolti in scandaletti di corruzione o di sesso.

A quando il rilancio nel nostro paese ed in tutto l'Occidente in crisi degli ideali antimperialisti, di eguaglianza, e di riscatto del mondo del lavoro?

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