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LA VOCE 0909

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QUESTIONI DELLA SCIENZA

di Andrea Martocchia
SVILUPPO DELLE FORZE PRODUTTIVE


Si è tenuta a Pisa lo scorso 13 maggio una importante giornata di studio sul tema "I nodi della Transizione: Forze produttive, rapporti di produzione e scienza", seconda parte del convegno CRISI e ALTERNATIVE organizzato dalla Associazione Politica e Classe per il Socialismo del XXI Secolo ( www.politicaeclasse.org ).
La definizione di cosa siano le forze produttive veniva ricordata nella Relazione introduttiva della prima giornata del Convegno, svoltasi a Roma il 4 aprile: "Marx mette in luce come il modo di produzione del capitale ha intrinseca (...) la necessità crescente allo sviluppo delle forze produttive. Per forze produttive si intendono gli individui che lavorano e costituiscono la forza-lavoro, i mezzi di produzione, ovvero tecniche e macchinari, le conoscenze tecniche e scientifiche. I rapporti di produzione stabiliscono le relazioni tra gli individui nella sfera della produzione, la loro espressione giuridica si esprime nei rapporti di proprietà."
La definizione di cosa siano le forze produttive veniva ricordata nella Relazione introduttiva della prima giornata del Convegno, svoltasi a Roma il 4 aprile: "Marx mette in luce come il modo di produzione del capitale ha intrinseca (...) la necessità crescente allo sviluppo delle forze produttive. Per forze produttive si intendono gli individui che lavorano e costituiscono la forza-lavoro, i mezzi di produzione, ovvero tecniche e macchinari, le conoscenze tecniche e scientifiche. I rapporti di produzione stabiliscono le relazioni tra gli individui nella sfera della produzione, la loro espressione giuridica si esprime nei rapporti di proprietà."
Nel documento di convocazione del Convegno (marzo 2009) era stato notato fra l’altro che, nel conflitto tra paesi socialisti e paesi capitalisti in Europa, da parte di questi ultimi "la partita è stata vinta perché i paesi capitalisti e l’imperialismo sono stati in grado di rilanciare un potente sviluppo delle forze produttive in stretta connessione allo sviluppo della scienza che ha permesso un aumento della produttività del lavoro tramite un forte incremento della socializzazione della produzione oggi ’spalmata’ a livello mondiale.
D’altra parte la questione dello sviluppo delle forze produttive e della scienza sono state sempre al centro del pensiero marxiano e della pratica, almeno di quella dichiarata, del movimento comunista internazionale."
In effetti, tale dinamica dello sviluppo delle forze produttive non trova applicazione solamente nel capitalismo, ma in ogni formazione socio-economica umana. Questo è evidente ad ogni pensatore marxista ed in particolare deve esserlo per chi conosce il Materialismo Dialettico ed il Materialismo Storico, la cui visione del reale è una visione di processo, quindi di sviluppo continuo ed incessabile - una concezione insita nella dialettica sin dalle prime formulazioni di Hegel.
D’altro canto, le forze produttive, come ha ricordato in particolare Mino Carchedi, non possono essere "neutre", bensì sono "forze produttive capitaliste", o "forze produttive socialiste", e così via.
Nello stesso documento di convocazione del Convegno (marzo 2009) era specificato che "le stesse forze produttive hanno subito un determinato indirizzo e sviluppo in quanto prodotto diretto del Modo di Produzione Capitalistico. (...)
In base a questa tesi emergerebbe un ’buco nero’ teorico nella costruzione delle esperienze dei paesi socialisti in quanto questi, pur cambiando nei decenni le condizioni dei lavoratori e la sovrastruttura politica, hanno mantenuto di fatto la struttura nata dallo sviluppo capitalistico finalizzata ineluttabilmente alla riproduzione del capitale e delle relazioni ad esso funzionali e non certo a costruire nuovi rapporti sociali."
Su questo punto, come c’era da aspettarsi, l’analisi ed i punti di vista sono stati e rimangono molto distanti.
A Pisa questi interrogativi hanno dominato la discussione, senza poter essere veramente sciolti.
Sul primo punto (carattere delle forze produttive) è più facile da impostare - anche se non altrettanto facili o condivise sono le conclusioni da trarre - poichè esistono esperienze concrete cui molti compagni si sono interessati, vivendole anche direttamente. In effetti andrebbe sempre premesso quali siano i paesi socialisti che si vogliono considerare, perché ogni esperienza socialista - sia tra quelle concluse sia tra quelle attuali - ha la sua specificità, e c’è grande differenza tra le une e le altre.
Nella Relazione introduttiva a Pisa si è detto che "a fianco dello sviluppo quantitativo delle forze produttive c’è stato anche, soprattutto nell’URSS, un forte impegno nella ricerca e nell’innovazione che è culminato nella corsa allo spazio producendo cosi sviluppo scientifico e tecnologico, egemonia internazionale ed amplificando ulteriormente la crisi dei paesi capitalisti guidati dagli USA.
Questo sviluppo delle capacità produttive, della scienza e l’egemonia che indubbiamente esercitava il modello sovietico è riuscito a portare la minaccia rivoluzionaria fin sotto il cortile di casa dell’imperialismo USA, con la nascita della Cuba socialista. Possiamo dire che l’esperienza reale del socialismo del ’900 ha dimostrato che era possibile raggiungere la prima barriera che si erano trovati di fronte i popoli coinvolti nei processi rivoluzionari, cioè quella dell’arretratezza. La capacità di accumulare in pochi decenni forze produttive tali da raggiungere il livello di sviluppo dell’occidente, maturato in circa 200 anni, sembrava una sfida vinta ed anche in modo definitivo. (...)
Se nel confronto con l’URSS il piano politico e militare sono stati importanti e per un certo periodo prevalenti nelle scelte occidentali, il terreno su cui è stata vinta, inaspettatamente anche per i paesi capitalisti, la partita è stato quello della produzione, della produttività ed in definitiva, ancora una volta, quello dello sviluppo delle forze produttive di nuovo sotto il segno del capitale. (...)
Assume un carattere sempre più rilevante la questione della Scienza, che è uno dei punti che abbiamo voluto mettere al centro del dibattito odierno. Legarla, sempre più, all’incremento della produttività ed alla valorizzazione del capitale, anche tramite un condizionamento sempre più forte sulla formazione e la ricerca, accentua il carattere di classe di uno sviluppo scientifico in funzione della produzione di merci e di servizi, fino a quelli socialmente rilevanti (...)"
Qui si tocca il secondo punto (non-neutralità delle forze produttive e, in particolare, della Scienza), che è ancora più delicato poichè, muovendo tutto sul piano teorico, attorno ad esso si scontrano purtroppo impostazioni, e pregiudizi, di natura meramente ideologica, e quindi altrettanti rischi di falsa coscienza. Il nodo è: che cosa comporta, concretamente, dire che le forze produttive, e quindi anche la Scienza, non sono neutre bensì hanno sempre una connotazione socio- economica?
Personalmente sono intervenuto nel dibattito per fare la metafora della... bistecca. Prendiamo infatti una bella bistecca di maiale, magari una fiorentina. Possiamo dire forse che tale bistecca è neutrale dal punto di vista socio-economico? Assolutamente no.
I motivi sono molti: a partire da come viene tagliata, la bistecca dimostra di appartenere ad una certa civiltà, di essere un piatto che non tutte le società umane hanno avuto. Tra l’altro, ci sono culture in cui la carne di maiale non si mangia (ad esempio l’Islam e l’Ebraismo). Ma la connotazione storica e sociale della bistecca si riconosce anche da come è condita, poichè le spezie, l’olio e l’aceto, possono essere o meno usate ed essere o meno disponibili sul mercato in un dato luogo e periodo. Infine, una bistecca ben condita spesso denota una condizione sociale agiata: non tutti se la possono permettere. Quindi la bistecca non è per niente neutrale.
Questa metafora è per dire che ci sono prodotti del capitalismo, quali la Scienza e la Tecnica, che pur non essendo per niente neutrali non possono essere buttati nel cestino a priori. Viceversa, essi possono essere preziosi anche per le formazioni socio-economiche che sostituiranno il capitalismo. D’altronde il passaggio da una società ad un’altra non può mai avvenire come cesura netta ed assoluta: ci saranno sempre acquisizioni della società precedente che riappariranno nella società futura, dialetticamente.
Ogni società ha le sue contraddizioni, sia di tipo strutturale che di tipo sovrastrutturale; allo stesso modo, ogni passaggio da una società all’altra è fatto sia di discontinuità che di possibili continuità. La visione della storia umana come processo dovrebbe imporci questo modo di pensare e di rispettare, in qualche senso, le società e le culture passate e che vogliamo cambiare, perché da ogni società e da ogni cultura ereditiamo comunque qualche tesoro, piccolo o grande, che va ad incrementare il bagaglio delle conoscenze umane - scienze, tecniche, arti.
Cosicchè, il passaggio dal capitalismo al socialismo non significa buttare nel cestino le conoscenze e le pratiche acquisite ad esempio in campo sanitario. Ovviamente la nuova società deve fare tesoro di ciò che è utile, e deve lasciar perdere ciò che della vecchia cultura è inutile o persino dannoso.
Dalle due giornate del Convegno CRISI e ALTERNATIVE è emerso un punto da tutti condiviso: la crisi attuale del sistema capitalistico è una crisi di sovrapproduzione.
A mio avviso, è proprio questa la ragione per cui lo sviluppo delle forze produttive capitalistiche attualmente appare frenato. La produzione e riproduzione del sapere scientifico nei paesi a capitalismo avanzato è adesso per molti versi bloccata: lo vediamo con evidenza nella crisi e nei movimenti delle università e degli Enti di Ricerca, soggetti ad una vera e propria desertificazione.
Ma lo vediamo altrettanto bene nell’attacco che è portato avanti - non solo in Italia - anche contro la scuola, e contro la cultura in generale. Lo vediamo persino nella decadenza culturale che traspare in tutte le sedi dove la classe dominante (la borghesia capitalistica) esibisce se stessa e la sua ideologia - a partire dalla trasmissioni radiotelevisive.
Su questo punto la discussione a Pisa è stata solamente abbozzata. A dire il vero, la voce del movimento degli studenti e dei ricercatori era assente, e questo è effettivamente negativo: i lavoratori della conoscenza sono rimasti fuori, eppure rappresentavano il convitato di pietra del Convegno.
Riuscirà il sistema capitalista a superare questa sua crisi, ad alimentare di nuovo lo sviluppo delle sue forze produttive, ed a portare nuovi contributi alla evoluzione dell’intera società umana?
Sembrerebbe che una soluzione si trovi nel "far divenire la questione ambientale il nuovo ambito di ripresa e sviluppo capitalista".
Fare previsioni in questo senso non è facile ma non è neanche facile che il ’business’ ambientale abbia le potenzialità quantitative per poter rilanciare il ciclo, oltre la contingenza, su un piano storico; è difficile sia per gli interessi in campo costituiti a livello mondiale sia perché allo stato attuale i limiti della tecnologia non permettono un riciclaggio totale dell’apparato produttivo. (...)
Comunque in alternativa rimane il ’collaudato’ mezzo della distruzione di capitale che però aprirebbe prospettive "ben più drammatiche per tutta l’umanità": cioè la guerra imperialista, che non a caso abbiamo visto tornare alla ribalta negli ultimi venti anni. Essa è da sempre lo strumento più immediato, per il capitale monopolistico, per risolvere le sue contraddizioni.
Le numerose ed importantissime questioni poste a Pisa sono dunque rimaste in gran parte senza risposta o, almeno, senza risposta condivisa. È bene comunque che si sia riconosciuto il "filo rosso" che troviamo sia nelle fasi rivoluzionarie che in quelle di controrivoluzione o di crisi che è quello della centralità del rapporto tra sviluppo delle forze produttive (dalla capacità rivoluzionaria della scienza a quella della Forza Lavoro) e rapporti di produzione.
Questa centralità che è stata rimossa dalla elaborazione politica va invece assolutamente riconquistata se si vuole avere la possibilità di ritrovare un orientamento strategico per il movimento di classe internazionale ma anche per il "nostro Paese."

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