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La VOCE 1810 |
P R E C E D E N T E | S U C C E S S I V A |
La VOCE ANNO XXI N°2 | ottobre 2018 | PAGINA 10 |
Torri Gemelle – Alcuni retroscena utili a “capire” l’attentato dell’11.9Larry Silverstein è il magnate immobiliare newyorkese che acquistò l’intero complesso del World Trade Center proprio 6 mesi prima degli attacchi dell’11 ottobre. Quella fu la prima volta che nei 33 anni di storia del complesso vi fu un cambio di proprietà. Un’altra piccola “coincidenza”: Mr. Silverstein, che diede un acconto di 124 milioni di dollari su questo complesso da 3,2 miliardi di dollari, lo assicurò prontamente per la cifra di 7 miliardi di dollari. Non solo, assicurò il complesso contro “attacchi terroristici”. A seguito degli attacchi, Silverstein presentò due richieste di indennizzo per la cifra massima della polizza (7 miliardi di dollari), basate, secondo il parere di Silverstein, su due attacchi separati. La compagnia assicurativa Swiss Re, diede a Silverstein un risarcimento di 4.6 miliardi di dollari – un principesco compenso per un investimento relativamente misero di 124 milioni di dollari. Ma c’è dell’altro. Le World Trade Towers non erano proprio quell’affare immobiliare che siamo portati a credere. Da un punto di vista economico, il Trade center – sovvenzionato fin dall’inizio dal New York Port Authority – non ha mai funzionato, né si intendeva farlo funzionare, indifeso nel disordinato mercato immobiliare di Manhattan. Come non faceva a esserne al corrente il Gruppo Silverstein? Le torri avevano bisogno di ristrutturazione e migliorie per un totale di 200 milioni di dollari, gran parte dell’ammontare relativo alla rimozione e rimpiazzo dei materiali edilizi dichiarati rischiosi per la salute fin già negli anni quando le torri vennero costruite. Era ben risaputo dalla città di New York che il WTC era una bomba all’amianto. Per anni il Port Authority trattò l’edificio come un vecchio dinosauro, cercando in diverse occasioni di ottenere i permessi per demolire la costruzione per motivi liquidità, mai concessi a causa dei risaputi problemi riguardanti l’amianto. Inoltre si sapeva benissimo che l’unico motivo per cui la costruzione stava ancora in piedi fino all’11/9 era perché sarebbe stato troppo costoso smantellare le Twin Towers piano per piano dato che al Port Authority venne impedito legalmente di demolire gli edifici. Il costo stimato per smontare le torri: 15 miliardi di dollari. Solo il materiale da impalcatura per l’operazione venne stimato sui 2.4 miliardi di dollari! In poche parole, le Twin Towers erano strutture condannate. Che cosa conveniente, quindi, quell’attacco “terroristico” che le ha demolite completamente. L’edificio 7 era parte del complesso del WTC, e coperto dalla stessa polizza assicurativa. Questa struttura di 47 piani, in acciaio, che non venne colpita da un aereo, crollò misteriosamente su se stesso a caduta libera , otto ore più tardi nello stesso giorno (h 17,20) – esattamente nello stesso modo delle Twin Towers. (Notizie raccolte a cura di Paolo Sensini) Ricordo di Ada Rossi![]() [Lotte Dann Treves è mancata la sera del 31 luglio. Pubblicare questo ricordo inedito, raccolto da Andrea Ricciardi e letto durante la presentazione di un libro su Ada Rossi a Roma nel febbraio 2017, è un ottimo modo per ricordare la vedova di Paolo Treves, una donna davvero speciale] Devo premettere che non ho incontrato Ernesto Rossi che una sola volta e per pochi minuti. Ada, invece, l’ho conosciuta attraverso la più amica delle mie amiche, la carissima e indimenticabile Cetta Cifarelli, recentemente scomparsa, che mi raccontava come lei e Ada si fossero prese cura con grande coraggio e, talvolta, perfino con audacia dei vecchi antifascisti quando Michele ed Ernesto, per effetto delle persecuzioni e delle vessazioni dei fascisti, non erano più in grado di organizzare e governare la propria esistenza. Io ascoltavo i racconti con ammirazione. Ma ho incontrato Ada solo dopo la morte del marito, quando l’abbiamo accompagnata alla Clinica chirurgica del Policlinico, dove lui era stato operato ed era morto, per ritirare alcune cose rimaste là. L’intesa è stata immediata e non è mai venuta meno. Ada raccontava con sobria obiettività e spesso con umorismo della sua difficile vita, del lungo confino e della lunghissima separazione dal marito, col quale credo abbia davvero convissuto solo dopo la fine del fascismo. Mai quei racconti avevano il minimo “sottotono” di lamento o volevano suscitare compassione, anche se era ovvio che c’era stata molta sofferenza e grande fatica in quei viaggi, quando le veniva concesso il |
permesso di andare a far visita al marito in carcere, sempre sotto rigorosa sorveglianza e come il bacio che era ammesso, quando era ammesso, serviva spesso per passare da bocca a bocca un minuscolo foglietto con le ultime informazioni e istruzioni. Grazie al lavoro che facevo, ho avuto la possibilità di far sorvegliare il diabete di Ada da un esperto diabetologo, che era anche in rapporto con una delle grandi case farmaceutiche tedesche e faceva avere ad Ada le medicine che doveva prendere. Per questo lei mi chiamava, esagerando, la sua fata benefica. Diceva: «Noi diabetici siamo i più indisciplinati, perché se mangiamo quello che non dovremmo, non ci sentiamo male o non ci fa male la pancia, del danno che ci facciamo ci accorgiamo molto più tardi». Il vero grande amore di Ada era però la matematica. E lei ha saputo trametterlo ai suoi allievi. Infatti, anche da novantenne faceva lezione ai figli e ai nipoti dei suoi amici, alcuni dei quali sono poi diventati professori d’università di economia, fisica e altre materie scientifiche. L’altro grande amore di Ada erano i cani. Ne ha avuto una lunga serie, tutti chiamati Pirri. Il nome era seguito da un numero d’ordine, come quello dei monarchi. Lei raccontava storie divertenti dei vari Pirri e bisogna anche ammettere che quando è morto l’ultimo, noi, le sue amiche, eravamo anche un po’ contente, pensando che non c’era più bisogno che Ada scendesse con ogni clima, la mattina presto e la sera tardi, per far passeggiare Pirri. Ma questa morte mi fece sentire in colpa. Bisogna sapere che le nostre abitazioni erano molto distanti tra di loro e siccome le lezioni di pianoforte o di ginnastica di mio figlio, allora ginnasiale, si svolgevano dalle parti di Piazzale Medaglie d’oro, i miei pomeriggi erano dedicati all’accompagnamento di Claudio che, altrimenti, avrebbe dovuto fare i compiti dopo cena e io ci tenevo che non facesse troppo tardi. Spesso, uscendo da una di queste lezioni, facevamo un saluto da Ada, la cui abitazione era poco distante, ma quella volta decidemmo di non farlo. Glielo dissi la sera telefonandole e mi rispose che avevo fatto male, perché quel pomeriggio era morto Pirri. Il cagnolino stava male ma, in un certo momento, si era faticosamente alzato, aveva attraversato la stanza e, datole una leccata alla mano, era crollato a terra morto. Non so dire quanti anni siano passati, ma sento ancora il rimorso, come di un dovere trascurato, quasi di un tradimento. Sarebbe stato per lei un sollievo vedere due facce amiche, e quel piccolo gesto non l’ho compiuto. È una prova ulteriore di quanto Ada sia stata per me importante.
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