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La VOCE ANNO XVIII N°8

aprile 2016

PAGINA d         - 28

Palestina occupata: donne condannate a vita tra orgoglio e privazioni

Khalida Musleh è categorica; essere la moglie di un detenuto è un orgoglio che non abbandonerebbe per nessuna cosa al mondo.

10 anni fa, condannato all’ergastolo da Israele, il palestinese Ahed Abu Gholmi aveva proposto a sua moglie Wafa di divorziare per sentirsi libera. Ma lei ha rifiutato: “Mi piace Ahed e sono sempre legata a lui”.
Dal 2006, questa palestinese, ha riferito AFP, si occupa solo della cura dei loro figli, un maschio e una femmina, come fa anche Khalida Musleh, che cresce il figlio da sola da quando suo marito Mohammed è stato condannato a nove ergastoli per gli attacchi mortali contro Israele.
Secondo il Club dei prigionieri palestinesi oltre 7.000 palestinesi sono nelle carceri israeliane, 600 stanno scontando ergastoli.
E in questa società dove i prigionieri sono considerati eroi della causa palestinese contro l’occupazione israeliana, si parla poco delle loro mogli.
Questo spiega perché le organizzazioni di difesa dei prigionieri non dispongono di informazioni su di loro o sul numero di divorzi. Per le donne che scelgono il divorzio, preferiscono non parlare, di fronte a una tale tabù.
Khalida Musleh è categorica; essere la moglie di un detenuto è un orgoglio che non abbandonerebbe per nulla al mondo. Il giorno in cui il giudice pronunciò la condanna di Israele contro il marito, “ho lanciato un youyous” [ndt.grido acuto e modulato] ricorda la trentanovenne palestinese.
Eppure, da quel giorno, nel 2002, lei non ha più visto il marito, che sposò un anno e mezzo prima, né ha potuto parlare con lui per dodici anni.

Indomite
“In tutti questi anni non sono mai stata pentita. Al contrario, sono stata orgogliosa di essere la moglie di un combattente, anche se ciò significava privazione di molte cose e dolore per il mio cuore”, racconta la donna il cui figlio Ahmed aveva solo quattro mesi quando suo padre è stato imprigionato.
Dopo una lunga battaglia legale, ha finalmente ottenuto il permesso di visitare il marito. Da allora lei gli può parlare col telefono attraverso il vetro antiproiettile. Dopo 15 anni di separazione, è ancora viva “la speranza indistruttibile” di vederlo rilasciato in uno scambio di prigionieri. Per Lei rappresenta un punto di onore prendersi cura della casa di famiglia che ha dovuto ricostruire insieme ai parenti del marito dopo che gli israeliani l’avevano distrutta per rappresaglia agli attacchi da parte di suo marito.
Da quando il marito è stato imprigionato, lei dedica la sua vita a due cose: il suo lavoro in una società di telecomunicazioni e a suo figlio, perché, “ogni volta che lo guardo, penso che manca un padre al suo fianco. “Improvvisamente, ha detto, “Sono una madre, un padre, un fratello e una sorella per mio figlio”.
E’ per non far vivere questa situazione a sua moglie Wafa e ai loro bambini Qaïss e Rita che Ahed Abu Gholmi, condannato all’ergastolo per il suo coinvolgimento nell’omicidio del ministro israeliano del turismo Rehavam Zeevi nel 2001, aveva proposto a sua moglie il divorzio.

I bambini al di là del muro
Wafa ha rifiutato la proposta del marito, ma lei sostiene di sapere che “molte donne hanno divorziato quando il marito è stato condannato al carcere a vita.”
“Alcune lo hanno fatto perché sono stati i loro mariti a volerlo, altre lo hanno chiesto”, ha detto.
Più trasgressivo, tra le donne dei prigionieri condannati a vita, è quando si parla di coloro che hanno deciso di avere bambini con i loro mariti, al di là delle mura del carcere.
L’inseminazione con sperma uscito dal carcere con modalità spesso rocambolesche e misteriose hanno permesso la nascita di diversi bambini.
Il metodo è dibattuto tra i palestinesi. Secondo il Club dei prigionieri, 35 bambini sono nati dopo più di 60 trasferimenti di seme. - Trad. Invictapalestina - Fonte.

Il Mossad promuove la cyberguerra contro il BDS

Asa Winstanley (*)

Sabato, 05 Marzo 2016 14:32
Ad un forum sulla cyberguerra a Tel Aviv a Gennaio, è saltato fuori che Israele ha disposto almeno 26 milioni di dollari nel budget di quest’anno per combattere il sempre crescente movimento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni, abbreviato in BDS.

Un resoconto di Associated Press sull’evento ha citato un’alta ufficiale israeliana nella sua dichiarazione di voler “creare una comunità di combattenti” contro il BDS nel mondo online.

Il piccolo frammento di cyber-tintinnio di sciabola è arrivato da Sima Vaknin-Gil, la direttrice generale del Ministero per gli Affari Strategici israeliano ( precedentemente a capo della censura militare della stampa in Israele). Il capo di questo ministero è Gilad Erdan, lo scorso anno incoronato “ministro del BDS” dal Primo Ministro Benjamin Netanyhau.

Il forum era rivolto agli sviluppatori tecnologici israeliani, riporta l’Associated Press. “Le iniziative sono in gran parte tenute nascoste,” dice il resoconto. ” I partecipanti al forum, al quale si accede solo per invito e che si è tenuto ai margini di una conferenza sulla cyber tecnologia, hanno ripetutamente ricordato ai presenti che dei giornalisti erano all’interno della stanza.”

Si rende anche chiara l’idea che la nuova spinta è, in parte, frutto del lavoro del Mossad, l’agenzia israeliana di spionaggio internazionale.
Il Mossad ha una lunga storia di rapimenti, omicidi ed altri atti terroristici contro i suoi nemici, soprattutto contro attivisti palestinesi, leaders e combattenti. Solo la settimana scorsa il Mossad ha ucciso l’ex prigioniero palestinese, Omar Nayef Zayed, secondo quanto riferito dalla sua famiglia. Il prigioniero politico fuggito aveva vissuto pacificamente in Bulgaria in esilio fin dalla fine degli anni ’90.
Una parte di questi milioni di nuovi dollari anti-BDS andranno alle società high-tech israeliane per combattere il BDS online, dice il resoconto, sebbene (come sempre) i dettagli siano nebulosi.

Due “ex ufficiali dell’intelligence militare” hanno riferito ad Associated Press di aver creato una compagnia che intende ” raccogliere informazioni sulle organizzazioni BDS in Europa […]negli Stati Uniti ed in Sud America” e che lo scopo sia quello di “smantellare l’infrastruttura dei gruppi[…] responsabili di incitamento e di antisemitismo contro Israele. ” Ma, ovviamente, ” hanno rifiutato di fornire dettagli.”

In che modo degli strumenti online possano “smantellare” gruppi esistenti nella vita reale, fatti di amici e compagni, è un mistero. È probabile che rimanga solo un desiderio augurale d’Israele

Alla piccola soirée era presente anche Adam Milstein, un magnate immobiliare israeliano-americano fanaticamente antipalestinese e un evasore di tasse condannato (i diplomatici israeliani hanno scritto al giudice federale statunitense per chiedere una sentenza più lieve).

Tutto questo ci dice due cose.
In primo luogo, Israele non si riesce a scrollare di dosso la sua dipendenza dalla guerra. Come con tutto ciò con cui ha a che fare, ricorre sempre alla guerra ed alla retorica guerrafondaia ad ogni giro.
Da qui la dichiarazione di “guerra” contro il BDS, un movimento del tutto nonviolento di volontari attivisti impegnati che non vogliono altro che l’eguaglianza e la libertà per i palestinesi ed il diritto al ritorno per i rifugiati.

Il quadro dipinto dai partecipanti del forum cyberbelligerante che hanno parlato con l’Associated Press non rappresenta un movimento nato dal basso ma una una specie di cospirazione internazionale senza alcuna reale profondità.

Un portavoce del ministero degli esteri israeliano che si è rivolto all’Associated Press incolpa ” i musulmani di seconda e terza generazione in Europa e negli Stati Uniti che hanno rancore verso l’occidente e conducono anche campagne online contro gli europei e contro i governi statunitensi”, un tentativo di dipingere in modo falso il problema come odio religioso piuttosto che come una questione universale di diritti umani.

Ha dichiarato anche che gli attivisti BDS “spesso creano codici che consentono ai membri di lanciare migliaia di messaggi dai loro profili sui social media, creando l’illusione che molti manifestanti stiano condividendo in rete lo stesso messaggio contro Israele o contro l’occidente.”

Ma in realtà non c’è alcuna “illusione”. Israele semplicemente si rifiuta di affrontare la realtà dei fatti secondo cui le sue azioni sono detestate da una vasta maggioranza di persone di tutto il mondo. La maggioranza delle persone semplicemente non sono generalmente ammiratori dei crimini di guerra o del razzismo. Sondaggio dopo sondaggio viene svelata l’impopolarità mondiale d’Israele.

Finché Israele non riuscirà a rendersi conto di tutto ciò, i suoi progetti per combattere il BDS continueranno a fallire. Israele non sta combattendo contro un fantasma: ha costruito un nemico immaginario. Quello che esiste realmente è un popolare movimento globale dal basso che non può essere sconfitto con stupidi trucchetti online.

La seconda cosa da ricordare qui è che le rivendicazioni israeliane di avere abilità nel combattere il cybercrimine (o di porsi come leader mondiale in materia di cyber sicurezza, come descritto enfaticamente dall’Associated Press) sono largamente sovrastimate.
Mentre da una parte non c’è dubbio alcuno che Israele sia coinvolto in tentativi di sabotaggio contro le capacità degli attivisti BDS online, d’altro canto queste strategie equivalgono a mettere il dito nella falla della diga. Al massimo possono riuscire a ritardare gli eventi per quantità di tempo davvero molto brevi.

Come Omar Barghouti, un leader del movimento BDS, ha detto ad Associated Press: “Un discreto numero di pagine web che i siti web del BDS avevano linkato sono misteriosamente scomparse da Internet. Presumiamo che il cyber sabotaggio di Israele stia procedendo, ma siamo compiaciuti nell’osservare che il suo effetto scoraggiante ha ottenuto scarso risultato sul movimento globale del BDS, fino ad oggi.”

Ad Israele piace crogiolarsi nell’esagerazione, nell’intimidazione e nella guerra psicologica contro i propri nemici. Ci sono molti esempi storici di questo modo di fare, come per esempio gli urlatori che le organizzazioni terroristiche sioniste portano in giro nei villaggi palestinesi annunciando che i loro crimini di guerra (massacri e stupri) contro i civili palestinesi siano stati peggiori di quanto non fossero effettivamente, allo scopo di terrorizzare i palestinesi disarmati ed indurli alla fuga.

Per anni, Israele si è compiaciuto nel dipingere un’immagine di grande sofisticatezza tecnologica. Viene citato come esempio principale la sua partecipazione alla creazione di “Stuxnet”, il virus che ha sabotato le attrezzature nucleari iraniane.

Se da un lato non c’è dubbio sulle capacità d’Israele in questo campo, il suo ruolo viene ingigantito spesso con obiettivi propagandistici. Come ho precedentemente raccontato nel 2012, è molto più probabile che Stuxnet fosse stato creato principalmente dagli statunitensi (prima durante il governo Bush e poi durante i governi Obama) per attaccare l’Iran. Israele è stato solo un partner minoritario ed è stato persino responsabile di avere rovinato l’operazione di sabotaggio (soprannominata “Giochi Olimpici”), portandola a finire prima di quanto programmato.

Altri documenti riguardo ad una operazione correlata a Giochi Olimpici (un piano d’emergenza soprannominato “Nitro Zeus”) sono emersi a Febbraio, durante la prima di un nuovo film documentario chiamato Zero Days. Queste rivelazioni hanno confermato le mie analisi del 2012.

“Secondo le affermazioni fatte nel film, le avventate azioni israeliane hanno impedito di portare avanti altre azioni precedentemente pianificate che avevano lo scopo di sabotare i computer di una seconda e più fortificata struttura di arricchimento dell’uranio” ha raccontato un giornalista israeliano.

C’è una ragione per essere altamente scettici a proposito di un tale auto-accrescimento delle rivendicazioni che il Mossad ed i suoi alleati, i suoi delegati ed affiliati hanno chiaramente inteso trasmettere alla stampa. È altamente probabile che simili rivendicazioni abbiano solo lo scopo di fomentare qualcosa di simile alla guerra psicologica contro gli attivisti BDS.

Siate consapevoli ma non fatevi indimidire. Abbiamo la ragione dalla nostra parte, loro hanno solo i soldi, l’oppressione ed il potere statale.

(*) Asa Winstanley è un giornalista investigativo che vive a Londra ed è un collaboratore di Electronic Intifada. - Trad. L. Pal – Invictapalestina.org - Fonte.



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