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LA VOCE 1509

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La VOCE ANNO XVIII N°1

settembre 2015

PAGINA 6

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Sostiene l’Istat: il reddito minimo è possibile

Il presidente dell’Istat Giorgio Alleva ha presentato ieri in un’audizione alla commissione lavoro al Senato le stime di una microsimulazione sulle famiglie che permettono di valutare l’impatto economico delle proposte di legge sul reddito minimo presentate dal Movimento Cinque Stelle e Sinistra Ecologia e Libertà.

Le simulazioni hanno confermato i costi dei provvedimenti, rispettivamente 14,9 e 23,5 miliardi di euro annui, e la necessità di una riforma radicale dello stato sociale italiano. M5S ha salutato con un certo entusiasmo questo intervento: «Volevano screditarci dicendo che la nostra misura aveva un costo di oltre 30 miliardi. Oggi è stato direttamente l’Istat a darci ragione», ha detto Nunzia Catalfo prima firmataria della proposta M5S. «Altro che incostituzionale come sostiene Renzi. Il reddito di cittadinanza va fatto e con la massima urgenza», ha ribadito Roberto Fico. E Beppe Grillo: «Il Reddito di Cittadinanza è la priorità dell’Italia, Grasso calendarizzi la proposta». «Il reddito minimo bisogna finanziarlo con la fiscalità generale e non è alternativo all’occupazione», ha detto il segretario della Fiom Maurizio Landini, «soprattutto perché siamo di fronte ad una diseguaglianza incredibile».

L’analisi dell’Istat va letta anche per chiarire la differenza tra reddito minimo e reddito di cittadinanza. Il primo è un intervento che garantisce «un livello minimo di risorse» ai cittadini e nel caso della proposta M5s alle famiglie. Il secondo è un’erogazione universale (e dunque ai singoli individui) a tutti. In generale, bisogna rimediare alle iniquità del Welfare italiano «attualmente sbilanciato verso prestazioni assicurative come la Cassa integrazione guadagni e le pensioni», sostiene l’Istat. Il reddito minimo è mirato «a fornire una rete di protezione per gli individui nelle diverse fasi della loro vita». Tutto ciò che manca in Italia, il paese più arretrato d’Europa, insieme alla Grecia, per quanto riguarda la tutela universale della vita attiva.

Alleva ha precisato che «una misura di reddito minimo dovrebbe essere associata a politiche di accompagnamento e inserimento nel mercato del lavoro, al fine di bilanciare gli effetti di disincentivo alla partecipazione all’offerta di lavoro». In questo modo si eviterebbe la «trappola della povertà», generata dalla scelta dell’individuo di percepire un «sussidio sicuro», anziché usare queste risorse per cercare lavoro.
È l’ottica prestazionale del reddito minimo, oggetto delle politiche workfariste che in Europa hanno modificato l’aspirazione universalistica del reddito di base in una politica del controllo e del disciplinamento delle persone. Ciò non toglie che esista uno spazio per modificare queste politiche in direzione di un welfare rispettoso della loro autonomia.

Ciò che il Movimento 5 Stelle definisce, impropriamente, «reddito di cittadinanza» nel disegno di legge n° 1148. Si tratta, con le parole del presidente dell’Istat, di un «reddito minimo universale», cioè «una misura selettiva, limitata all’erogazione dei benefici alle famiglie il cui reddito è inferiore a una determinata soglia (di povertà)». Parole che dovrebbero essere, una volta tanto, tenute in considerazione anche dai diretti interessati che parlano di «reddito di cittadinanza» (cioè un’erogazione universale del reddito e dunque all’individuo e non alla famiglia) e creano confusioni colossali nel dibattito pubblico.

Per l’Istat la proposta dei Cinque Stelle è ricavata dalla simulazione di un’imposta negativa sul reddito presentata dall’Istat nel rapporto annuale 2014. Si parla di una soglia minima pari a 9.360 euro annui e il 90 per cento del reddito familiare. Il beneficio mensile massimo è di 780 euro per singolo e cresce con il numero dei componenti del nucleo familiare. Il beneficio diminuisce gradualmente al crescere del reddito per impedire che l’incremento del reddito corrisponda a una riduzione del sussidio.

L’anno scorso l’Istat aveva calcolato l’importo complessivo annuale del reddito minimo in 15,5 miliardi di euro. Oggi è stimato in circa 14,9 miliardi, considerando il bonus degli 80 euro mensili riservato ai soli lavoratori dipendenti che riduce la quota da erogare. Il sussidio andrebbe a una platea di 2 milioni e 640 mila persone con reddito inferiore all’80 per cento della linea di povertà relativa ed è quantificato in 12 mila euro annui.

La proposta di legge n°1670, depositata da Sinistra Ecologia e Libertà, frutto della proposta di legge di iniziativa popolare promossa — tra gli altri — dal Bin Italia, allarga significativamente la platea dei destinatari e per questa ragione costa molto di più: 23,5 miliardi di euro all’anno. Il sussidio è calcolato in somma fissa a 7200 euro annui per i singoli. Questo è un elemento di avanzamento notevole perché garantisce l’autonomia degli individui e sale per le famiglie con più componenti. Per queste la soglia è quella fissata anche dai Cinque stelle: 9360 euro. La misura raggiungerebbe le famiglie sotto il 60% della linea di povertà e soprattutto i “monogenitori” con figli minori, giovani e single, e coppie con figli minori, quella vasta popolazione attiva di precari, poveri e quinto stato esclusa dal welfare. Per loro il reddito è «più che raddoppiato». Con l’introduzione di questo reddito l’incidenza della «povertà grave verrebbe quasi annullata» e dimezzato il divario tra il reddito delle famiglie povere e la linea di povertà.

Per l’abolizione
del lavoro salariato

Julio Mínguez | unidadylucha.es
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

27/05/2015

… gli operai devono scrivere sulla loro bandiera il motto rivoluzionario: «Soppressione del sistema del lavoro salariato» Karl Marx, Salario, prezzo e profitto

Marx ha affermato che tutta la lotta di classe è una lotta politica. Una affermazione che purtroppo è servita per giustificare in molteplici modi il riformismo più persistente, che Lenin combatté con la più ferma posizione teorica e di principio, qualificandola come "economicismo".

L’espressione di Marx è servita al riformismo, come rottura e come cucitura. In principio, prestò i suoi servizi per giustificare la confusione politica del riformismo più eminente, espressa nel motto "il fine non è nulla, il movimento è tutto".

Inoltre, questa chiara affermazione di Marx è servita anche e specialmente per giustificare che l’esistenza del movimento operaio è motivata esclusivamente dalla lotta per migliorare le sue condizioni di lavoro e di vita. Non bisogna andare oltre.

Come abbiamo detto prima, già Lenin combatté fermamente questa posizione che impedisce alla classe lavoratrice ogni possibilità di vittoria. La mera lotta per motivi economici è insufficiente per costruire un movimento operaio forte e indipendente, per costruire l’indipendenza politica della classe operaia. La lotta per migliorare le condizioni di lavoro e di vita, naturalmente si inquadra, in una pratica di lotta di classe. E’ di classe, ma appartiene a una lotta più essenziale, più elementare, embrionale, se si vuole. Chiaramente, in caso contrario "...essa si ridurrebbe al livello di una massa amorfa di affamati e di disperati, a cui non si potrebbe più dare nessun aiuto... se la classe operaia cedesse per viltà nel suo conflitto quotidiano con il capitale, si priverebbe essa stessa della capacità di intraprendere un qualsiasi movimento più grande" (K.M.). Non potrebbe esser in grado di svolgere azioni di maggiore trascendenza, svilendosi e immiserendo. Serve per stabilire posizioni di classe senza esser sufficiente per conquistare l’indipendenza di classe e conseguire l’obiettivo finale. Bisogna alzare il livello. Il movimento operaio, la classe lavoratrice deve includere nelle sue rivendicazioni quelle a carattere socio-politico. Passo importante, ma ancora insufficiente.

Effettivamente, bisogna fare in modo che la lotta di classe acquisisca una maggiore intensità politica, ponendosi la questione dello Stato. La lotta della classe lavoratrice acquisisce un carattere completo, eminentemente sviluppato, corrispondente pienamente all’indipendenza di classe e a una coscienza elevata quando il suo approccio ed attività si dirige verso il nodo cruciale del potere dello Stato. Lo sviluppo della classe e del movimento operaio stesso è più completo, più consistente e si ritrova più vicino al conseguimento di altre rivendicazioni quando il suo approccio si rafforza e si avvicina di più al nocciolo del potere dello Stato.

Passare per questi distinti stadi della lotta di classe - che non avviene sempre in modo lineare e continuo, giacché a volte si "rivoluzionano" e producono salti improvvisi - richiede diversi modi di organizzazione e di lotta. In quanto a queste ultime, non è previsto un unico modo. Si utilizzeranno i mezzi a disposizione, corrispondenti al livello di coscienza e di organizzazione acquisiti, siano legali o meno. Includeranno, ad esempio, uno sciopero di impresa e settore, le casse di resistenza, la solidarietà di altri settori o gli scioperi generali e politici, chiamando il resto del popolo. E passeranno dall’organizzazione già esistente di assemblee, sindacati, CUO (Comitati di Unità Operaia) e altri possibili.

Speciale attenzione meritano le cellule. Non devono limitarsi a una azione meramente sindacale. Avvicinare la classe nel suo ambito agendo sulla coscienza che deve lottare contro tutto il regime del capitale e il suo sfruttamento, per la distruzione dello Stato che lo mantiene e la costruzione di una società senza classi, questo deve esser il suo obiettivo politico principale. Naturalmente, considerando sempre che l’agitazione verso l’obiettivo finale ha le sue gradazioni "democratiche", cioè che bisogna segnalare e rivendicare in ogni momento l’aspetto politico non appartenente all’ambito delle riforme.

Da questo con le sue limitazioni e cautele, con i suoi gradi intermedi, con parole d’ordine che puntano e avvicinano all’obiettivo finale.

E’ molto giusto segnalare la pertinenza che la lotta per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro è la prima e fondamentale cosa alla quale accede l’immensa maggioranza dei lavoratori e lavoratrici e, in generale, la prima che colpisce la loro coscienza come classe. Ma bisogna far risaltare, mettere in evidenza l’altro aspetto: se le lotte di classe per il salario, in tutte le sue manifestazioni, costituiscono un embrione della lotta politica, non possiamo dimenticare mai e poi mai che l’obiettivo finale della classe è conquistare la società in cui il salario è abolito.

Ottenere che la classe lavoratrice comprenda che deve lanciarsi in una lotta senza quartiere per raggiungere questo obiettivo ultimo, deve costituire un elemento permanente della nostra attività politica.

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