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A Diego Novelli, presidente provinciale dell'ANPI


In questi giorni, l'ANPI provinciale torinese con l'adesione di altre associazioni ha indetto un concorso a cui possono partecipare singole persone, associazioni, scuole, sindacati, partiti, eccetera, intitolato "Adotta un articolo della Costituzione italiana" allo scopo di "promuovere l'impegno per la difesa e l'attuazione del testo fondamentale della nostra repubblica". Bella e lodevole iniziativa, peccato però che giunga con qualche decennio di ritardo.
Come tutti sanno la Costituzione italiana nasce dalla Resistenza al nazifascismo, è figlia di un accordo tra le forze comuniste, socialiste, cattoliche, eccetera, volto a fare sì che non si ricreassero più quelle condizioni politiche e sociali che avevano favorito la dittatura. In breve, la Costituzione è figlia perciò di quel periodo storico, di quella fase del capitalismo che gli storici hanno chiamato "i 30 anni gloriosi del '900" (1945-1975); un periodo in cui l'Italia, pur all'interno di un blocco economico e militare, era relativamente padrona del suo destino e godeva di un briciolo di sovranità economica e politica.

Non so se qualcuno se n'è accorto, ma almeno da vent'anni a questa parte le cose non stanno più così. L'Italia, così come altri paesi, è oggi un paese a sovranità limitata, anzi praticamente priva di qualsiasi tipo di sovranità. Questa situazione si evidenzia, ad esempio dal punto di vista economico, quando i governi (di centrodestra o di centrosinistra non vi è differenza) impongono ai cittadini misure economiche che ne peggiorano le condizioni di vita affermando che ce lo chiede l'Europa, perché i mercati ci giudicano e quindi occorre apparire affascinanti per adescare gli investimenti, perché gli speculatori (cioè le banche) sono sempre in agguato eccetera. In breve, è evidente che questa Costituzione, tendente alla solidarietà e alla giustizia sociale, è completamente incompatibile con l'attuale fase del capitalismo. La competitività del mercato capitalistico non permette compromessi, o si sta nel mercato, o si sta con la Costituzione nata dalla Resistenza, tertium non datur, Marchionne docet.

E' altresì evidente, al di là del rituale gioco delle parti, che vi è la volontà unanime di tutte le forze politiche di adeguare la Costituzione nata dalla Resistenza a queste nuove esigenze del capitalismo. Si veda, ad esempio, la decisione unanime delle forze politiche e del presidente della repubblica (sempre a seguito di una richiesta europea) di introdurre nella Costituzione il pareggio di bilancio obbligatorio, che sotterra la solidarietà e la giustizia sociale e inibisce la tanto invocata crescita economica (come hanno spiegato seri economisti). Oppure le deroghe ai contratti di lavoro che calpestano i più elementari diritti dei lavoratori a cominciare dal diritto allo sciopero, deroghe approvate con entusiasmo da tutti i partiti presenti in parlamento e dai sindacati collaborazionisti CGIL CISL UIL UGL.

Di fatto, concretamente, la Costituzione nata dalla Resistenza è già stata ampiamente superata con decisioni bipartisan. Basta rileggersi neanche tanto attentamente i primi 53 articoli per scoprire che almeno la metà sono stati affossati col consenso della destra e della "sinistra". Ad esempio, lo stesso giorno in cui gli aerei militari italiani iniziavano a bombardare la Libia compiendo massacri che nell'indifferenza generale proseguono tuttora, Berlusconi rassicurava il popolo italiano e quello libico che i bombardamenti sarebbero stati di precisione chirurgica, mentre il presidente Giorgio Napolitano ancora più ottimista dichiarava che l'Italia non era in guerra. Sono curioso di sentire le conclusioni a cui arriveranno coloro che adotteranno il cadavere dell'articolo 11, morto e sepolto già venti anni orsono con la guerra del Golfo del 1991.

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