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La VOCE  ANNO XII  N° 3

NOVEMBRE 2009

PAGINA  III

caffè ricavati dalle  antiche dimore, spiagge ghiaiose e vestigia romane, d'altra parte è  difficile ambire all'atmosfera di antico villaggio di pescatori se ci  vieni in piena estate.
In piena estate arrivarono anche loro, gli internati del campo di  concentramento di Kampor, era il luglio del 1942  e gli eserciti nazi- fascisti erano ancora convinti che avrebbero dominato il mondo. 

Rastrellamenti a casaccio lungo le strade e i villaggi della Slovenia  e della Croazia ammassarono in poco tempo migliaia di civili, intere  famiglie, in un campo inadeguato e condizioni disumane, nato alla  rinfusa, tanto che ben presto dovettero montare tende o ripari di  fortuna, sotto il sole rovente, con scarsità cronica di acqua e cibo.

La strada asfaltata fuori dalla cittadina di Rab che corre verso nord  si fa stretta e angusta, sale e scende come un otto volante seguendo i  capricci del terreno, ombrata da pini e da case vacanziere affittate da ex pescatori e cresciute come funghi negli ultimi anni con una  bislacca architettura "fai da te".

All'ombra di un grande pino vicino  al vecchio monastero francescano un'anziana signora, gonna lunga nera,  grembiule e foulard in testa, vende canestri di piccoli fichi e olio  di oliva travasato in bottiglie riciclate. Era una ragazza a quei  tempi, quando la violenza della guerra e della razza non risparmiò  neppure il paradiso di sole e mare dell'arcipelago del Quarnario.

Vorrei fermarmi e farmi raccontare, ma dovrei almeno conoscere la sua  lingua e poi rivangherei solo dolori, meglio continui a offrire ai  turisti canestri di piccoli fichi per arrotondarsi la pensione prima  dell'arrivo dell'inverno.  L'inverno arrivò anche nel '42, duro,  estremo per gli stremati del campo di Kampor, provati dalla fame e  dalla sete.

L'indicazione per il mausoleo è coperta dalla vegetazione, una  stradina fra le case scende al bordo di una palude salmastra, c'è un  parcheggio occupato da due automobili con targa slovena. C'è pace qui,  l'aria e carica del profumo dei pini e del richiamo delle cicale, è  passato mezzo secolo e la vegetazione a coperto il pianto e i dolori  umani.

A ricordo dello sterminio sono rimaste quindicimila lapidiovali di rame, alcune senza nome, un piccolo mausoleo, cinque  fotografie e una lunga lastra d'acciaio con i nomi; protetti da un  muro a secco come quelli che per migliaia di chilometri corrono sugli  anfratti rocciosi dal mare ai Balcani.
Un cartello all'ingresso racconta in diverse lingue e poche parole un  orrore a cui si stenta credere:"Campo di concentramento di Kampor  sull'isola di Arbe.

Durante la seconda guerra mondiale dal 27 luglio  del 1942 al 11 settembre del 1943 sull'isola di Arbe operò un campo di  sterminio italiano fascista in cui penavano circa 15.000 internati. La  maggioranza erano sloveni, seguiti dai croati e dagli ebrei. A causa  delle condizioni di vita insopportabili, denutrizione, malattie e  violenza gli internati morirono in massa. Molti poi moriranno per le  conseguenze di tutto questo poco dopo il trasferimento in altri campi  o dopo il ritorno in patria. In memoria delle vittime."

Dimenticati erano morti per sete e fame o per malattie e violenza. Una  delle automobili dalla targa slovena è di una famiglia: papà, mamma e  due figlioli, hanno acceso un cero e messo dei fiori dinnanzi ad una  delle quindicimila lapidi, fermi in silenzio. Loro non hanno  dimenticato.

Nessuno dopo la guerra venne mai processato o condannato per quei  delitti assurdi, Kampor si perse nelle nebbie della memoria, il  generale Roatta se ne andò in vacanza in Spagna dal suo caro amico  Francisco Franco e rientrò in Italia molti anni dopo amnistia.   Valentin aveva un anno, tra luglio del 1942 e settembre del 1943.

E'  nato e morto nel campo di sterminio fascista. Dimenticato.


Per l'articolo di Valerio Gardoni e tutte le foto, si veda: qui

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