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LA VOCE 1603

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La VOCE ANNO XVIII N°7

marzo 2016

PAGINA 4         - 24

Libia: verso un’altra campagna di guerra

Il 22 marzo scorso Sidney Blumenthal, consulente della Fondazione Clinton, scriveva a Hillary Clinton, attuale Segretario di Stato USA che, a fine febbraio del 2011, alcuni funzionari del Dgse (il servizio segreto francese) avevano avuto una serie di incontri riservati con il leader del National Libyan Council Mustafà Jalil, nel corso dei quali erano stati presi accordi perché il nuovo governo libico favorisse le aziende e gli interessi nazionali francesi, soprattutto per quanto riguarda l’industria petrolifera.
«La Francia - scriveva Blumenthal - porta avanti un programma per spingere il nuovo governo a riservare il 35 per cento dei contratti petroliferi ad aziende francesi, in particolare la Total». E aggiungeva che Jalil sarebbe stato pronto a favorire aziende francesi, inglesi e statunitensi, mentre invece era ostile all’ENI e al governo italiano.
La Francia di Hollande e l’Inghilterra di Cameron vogliono dunque assicurarsi una buona fetta del petrolio libico, ai danni dell’industria petrolifera italiana. Ma, per far questo, debbono avere non soltanto il consenso del governo libico, ma il pieno controllo del territorio, una parte del quale è ormai occupata dall’Isis intorno alla roccaforte di Sirte.
Nella prima metà di gennaio l’obbiettivo che la Francia imperialista di Hollande si era data (dopo aver ottenuto l’applicazione dell’art. 42.7 del Trattato dell’Unione Europea sulla cosiddetta "solidarietà" in caso di aggressione) era molto chiaro: bombardare subito. E tutto era pronto: aerei da ricognizione, aerei da bombardamento, aerei da rifornimento in volo, elicotteri, droni, forze speciali in territorio libico per guidare i missili e le bombe a guida laser sugli obbiettivi prescelti. Il governo imperialista di Cameron, che ha anch’esso deciso di partecipare ai bombardamenti, aveva già offerto alla Francia la base della Raf di Akrotiri a Cipro.
Ma il governo imperialista italiano è intervenuto ai massimi livelli per sventare l’azione immediata, col pretesto che il «governo di unità nazionale» libico patrocinato dal mediatore ONU Kobler, non era ancora pronto; tuttavia, Renzi e i suoi ministri degli Esteri e della Difesa hanno affermato che anche l’Italia era pronta all’azione militare contro l’Isis, se fosse stata richiesta dal governo fantoccio libico.
Dopo il colpo ricevuto nel 2011, l’imperialismo italiano non può rinunciare al petrolio della Libia e ai profitti dell’ENI e, per ragioni geo-strategiche di influenza nel Mediterraneo, non può permettere che l’azione contro l’Isis sia compiuta a guida anglo-francese. Perciò spinge per un intervento più ampio, con la NATO e la UE.
Ma l’area del conflitto non sarebbe certo limitata all’altra riva del Mediterraneo.
I bombardamenti dovrebbero avere per obbiettivo anche i territori occupati dallo Stato islamico in Siria: Raqqa in primo luogo (che avrebbe anche un significato simbolico, perché lì sono stati progettati gli attentati di Parigi e di Beirut e quello contro l’aereo russo nel Sinai) e poi di nuovo l’Iraq, che dovrebbe essere la battaglia decisiva per le forze di terra, comprese quelle USA.
Non a caso l’armata brancaleone di Renzi, Pinotti e Gentiloni ha preso la sciagurata decisione di inviare i soldati a Mosul, una volta che avrà messo le mani sulle commesse milionarie della diga. Guerra e affari, si sa, vanno a braccetto.
La nuova aggressione imperialista in Libia si farà? Le premesse ci sono tutte. La formazione del nuovo governo libico diretto da Fayez Al Sarraj è stata accolta dai vari governi imperialisti (compreso quello di Renzi) come il segnale da tempo atteso.
Ma la situazione si è momentaneamente complicata perché il Parlamento di Tobruk ha negato la fiducia al nuovo governo di “riconciliazione”.
Intanto il fanatismo jihadista ha lanciato nuove gravissime minacce, annunciando di voler colpire Roma e Napoli. Ecco l’altra faccia degli interventi imperialisti.
La guerra avanza, ma a differenza degli anni del Vietnam non esiste più nel nostro paese un ampio movimento di lotta alla guerra imperialista.
Questo movimento è da ricostruire al più presto attraverso l’unità delle forze coerentemente antimperialiste e antifasciste, per il ritiro di tutte le truppe inviate all’estero, per dire basta alle spese militari, per l’uscita dalla NATO e dall’UE guerrafondaie e antipopolari, la cacciata delle basi USA.
Le manifestazioni dello scorso 16 gennaio, sia pure con i loro limiti, hanno infranto il clima di passività e creato una premessa che va sviluppata senza indugi per dare vita una forte opposizione popolare alla guerra imperialista.
Da: Scintilla, n. 66 – febbraio 2016
Organo di Piattaforma Comunista – per il Partito Comunista del Proletariato d’Italia
http://piattaformacomunista.com/

Memoria. Stragi nazifasciste e crimini italiani all'estero: un silenzio di 70 anni da cui è nato il «nostro» revisionismo storico

Davide Conti | ilmanifesto.info

17/02/2016

La declassificazione e la pubblicazione on-line, voluta dalla Camera, di una parte dei documenti della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle «cause dell’occultamento dei fascicoli relativi ai crimini nazifascisti» è senz’altro un fatto significativo per gli studi e per la «lettura pubblica» del nostro passato prossimo. Tuttavia la ricercata catarsi della memoria nazionale, che sottende a queste operazioni, fatica a tradursi in compiuta nemesi storica in un paese come l’Italia.

Per «ritrovare» nella Procura Militare Generale di Roma i 695 fascicoli relativi alle stragi nazifasciste ed ai crimini italiani all’estero si dovette attendere il 1994 allorché la documentazione «dell’armadio della vergogna» (come recitò il titolo dell’inchiesta di Franco Giustolisi) riemerse dalla «archiviazione provvisoria» stabilita il 13 gennaio 1960 dal Procuratore militare Enrico Santacroce, già noto all’epoca per la sentenza di assoluzione emessa il 19 febbraio 1949 in favore di Mario Roatta e altri generali fascisti responsabili con il re della vergognosa fuga da Roma dell’8 settembre 1943.

La Commissione d’inchiesta istituita nel 2003 (dal governo Berlusconi con dirigenti post-fascisti ascesi al rango di ministri della Repubblica) si prefissò lo scopo di ricercare le «cause dell’occultamento dei fascicoli» ma concluse i suoi lavori con due diverse relazioni finali, come quasi sempre accade quando nella camere di compensazione politica si cerca di scrivere la storia «condivisa».

In verità il lavoro d’individuazione delle «cause» era stato già svolto e sintetizzato in modo esplicito e disarmante pochi anni prima da Paolo Emilio Taviani preminente figura della Resistenza cattolica, segretario nazionale della Dc, ministro dell’Interno e della Difesa nonché responsabile politico di primo piano di «Gladio».

Il 20 ottobre 1956 nel suo diario di memorie (pubblicato postumo nel 2000) Taviani sintetizzò in poche righe ciò che le istituzioni ed il paese avrebbero fatto fatica a raccontare per altri quarant’anni: «Gaetano Martino [ministro degli Esteri] mi scrive che non è opportuno chiedere alla Germania l’estradizione di Speidel ritenuto (ma ci sono dubbi) uno dei responsabili della strage di Cefalonia. I russi stanno per invadere l’Ungheria. Il riarmo tedesco è più che mai indispensabile. Moro [ministro della Giustizia] mi aveva detto che la competenza non è sua, ma mia e degli Esteri. Mi ero imposto per iniziare la pratica dell’estradizione. Ma ora non ci penso neppure ad insistere per questo Speidel. Martino ha ragione».
Gli equilibri della Guerra Fredda, la necessità del riarmo tedesco-occidentale e la
«ragion di Stato» divennero la base del paradigma dell’impunità sia per i crimini di guerra compiuti dai nazifascisti in Italia sia per quelli commessi dal regio esercito in Africa e nei Balcani.

Tuttavia a distanza di settant’anni dai fatti il vero nodo di criticità che rischia di far rimanere deboli iniziative come quella della Camera rimane il cortocircuito memoriale avviato proprio alla metà degli anni novanta attraverso la retorica dei «ragazzi di Salò» che trovò la tribuna più importante proprio dallo scranno più alto della stessa Camera, all’epoca presieduta da Luciano Violante.

Così il combinato disposto dell’omertoso silenzio sui crimini di guerra e della comprensione della «buona fede» dei fascisti che «andavano a cercar la bella morte» (ma più volentieri la infliggevano con stragi e torture a civili e partigiani) ha finito per tradursi politicamente con lo «sdoganamento» post-missino e con la fine della «conventio ad excludendum» contro gli eredi del Pci. Approdando, in ultima istanza, al loro reciproco riconoscimento di accesso al governo del paese.
Mentre la documentazione sulle stragi nazifasciste rimaneva quasi sullo sfondo del dibattito nazionale, nello stesso 1994 l’opinione pubblica «moderata» considerava i partigiani dei GAP come i «veri» responsabili della strage delle Fosse Ardeatine e soltanto una protesta clamorosa davanti al Tribunale militare di Roma impedì che il capitano delle SS Erich Priebke tornasse libero in Argentina.

Tra il 2003 e il 2004 seguirono poi la denuncia «del sangue dei vinti» e l’istituzionalizzazione del «giorno del ricordo» durante il quale, a suggello di una ricostruzione «narrativa» e non storica, sono stati premiati decine di repubblichini di Salò di cui il caso di Paride Mori (a cui la medaglia alla memoria dello scorso anno è stata poi revocata) non è che un esempio.
Ben vengano, dunque, le declassificazioni dei documenti che favoriscono i conti col passato perché nella conservazione e nella resa di accessibilità delle fonti risiedono il ruolo e le funzioni che le istituzioni hanno il dovere di esercitare nei confronti della storia.

Scriverla sarà compito della ricerca.

Raid Usa a Sabratha anticipa nuova operazione militare in Libia

L’attacco aereo ha preso di mira un presunto campo di addestramento per jihadisti. Almeno 41 i morti, tra questi, forse, anche Noureddine Chouchane, "mente" delle stragi al Museo del Pardo di Tunisi e sulla spiaggia di Sousse. Nel documento dell’ammiraglio italiano Credendino rivelato da Wikileaks le prossime fasi dell’Operazione Sophia per azioni sulla costa libica

Michele Giorgio, Il Manifesto | nena-news.it

20/02/2016

Quello di ieri è stato un raid contro presunti jihadisti e allo stesso tempo un segnale molto preciso delle intenzioni americane di intervenire in Libia sebbene l’Amministrazione Obama ripeta che muoverà le sue forze militari solo su richiesta di un governo libico di unità nazionale. L’attacco aereo accresce inoltre il peso del documento reso pubblico da Wikileaks, redatto dall’ammiraglio italiano Enrico Credendino, sull’invio di truppe in Libia nel quadro dell’Operazione Sophia avviata dall’Unione europea nel giugno dello scorso anno. Tra 41 morti del bombardamento americano scattato ieri alle 3.30 contro un «campo di addestramento dell’Isis» nella zona di Sabratha, nell’ovest della Libia, oltre a diverse vittime civili ci sarebbe anche Noureddine Chouchane, noto come la mente delle stragi dello scorso marzo al museo Bardo a Tunisi (24 morti tra i quali quattro italiani) e, tre mesi dopo, sulla spiaggia di Sousse (38 morti, in gran parte turisti britannici).

Washington ha ammesso subito di essere dietro al raid, compiuto con cacciabombadieri F-15E decollati da una base in Europa. Il Pentagono ha fatto sapere che nel campo di addestramento erano presenti al momento del lancio dei missili almeno 60 militanti dello Stato islamico. Un portavoce ha affermato che la distruzione del campo e l’uccisione (non confermata) di Chouchane eliminerà un organizzatore esperto e avrà un impatto immediato sulle attività dell’Isis in Libia e nei Paesi vicini. Chouchane, ha aggiunto, si occupava del reclutamento di nuovi miliziani e della creazione di basi per la progettazione di attacchi contro gli interessi degli Stati Uniti nella regione. Da parte sua Jamal Naji Zubia, responsabile per i media stranieri del governo di Tripoli, ha precisato che il raid americano ha centrato una casa a diversi chilometri da Sabratha e che i jihadisti uccisi sono soprattutto di nazionalità tunisina. Un testimone ha raccontato all’agenzia americana AP di aver sentito due esplosioni provenienti dal villaggio di Qasr Talel. Ha aggiunto che l’edificio centrato dai missili appartiene ad Abdel Hakim al Mashawat, conosciuto nella zona come un militante dell’Isis. Sabratha è uno dei principali punti di partenza per le imbarcazioni dei trafficanti di migranti e profughi dirette verso l’Europa, nonché un punto di transito per i jihadisti diretti alle loro roccaforti a Sirte e Bengasi.

A cinque anni esatti dall’inizio della guerra civile in Libia e del successivo intervento di occidentali e arabi contro Muamar Ghaddafi, si accorciano i tempi di una nuova ampia operazione militare. Barack Obama e i suoi alleati europei attendono il via libera del governo libico di unità nazionale che stenta a formarsi. Domenica scorsa è stato annunciato un nuovo esecutivo (18 ministri) in sostituzione di quello presentato nelle settimane passate che non ha ottenuto l’approvazione del Parlamento di Tobruk riconosciuto dall’Occidente. Fonti libiche però ripetono che gli Usa e l’Europa in realtà sono già in azione, con forze speciali e di intelligence, anche italiane, che operano in diverse città, tra cui Bengasi e Zintan.

Che si stia andando rapidamente verso l’inizio della nuova operazione militare è indicato anche dalla convocazione il 25 febbraio del Consiglio Supremo di Difesa da parte del presidente Mattarella. In cima all’ordine del giorno sarà l’esame della situazione internazionale e dei principali scenari di conflittualità e di crisi nel Nord Africa, con particolare riferimento proprio alla Libia, e nel Vicino Oriente. Si discuterà inoltre della partecipazione delle Forze Armate italiane alle quelle che sono descritte come «missioni di stabilizzazione e di contrasto del terrorismo». Il documento reso pubblico da Wikileaks descrive le fasi successive dell’Operazione Sophia, cominciando dall’intesa raggiunta a dicembre dai due parlamenti rivali di Tripoli e Tobruk per arrivare alla costituzione di un governo unitario libico che inviti i militari europei a intervenire nelle acque territoriali del Paese nordafricano e autorizzi l’estensione delle operazioni lungo la costa. L’ammiraglio Credendino riferisce nel suo rapporto che da quando sono cominciati i pattugliamenti navali europei, le rotte seguite dai trafficanti sono cambiate a causa dei maggiori controlli e che dalla Libia si parte molto meno per l’Italia. L’ammiraglio quindi esorta a passare ad andare oltre, ossia ad agire a ridosso delle coste libiche per prendere di mira i trafficanti nei porti di partenza. Da qui il passo è breve verso un nuovo massiccio intervento militare occidentale – a maggior ragione se a chiederlo sarà "autonomamente" il futuro governo libico – volto anche a mettere in sicurezza i giacimenti di greggio tanto importanti per le compagnie petrolifere di Italia e di altri Paesi.

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