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La VOCE  ANNO XIII  N° 1

SETTEMBRE  2010

PAGINA  III

"socialdemocratico"  Brazauskas), è oggi possibile perseguire penalmente e condannare a  pene fino a 5 anni chiunque neghi "i genocidi commessi dal comunismo e  dal nazismo" e "diffami i combattenti della lotta per la libertà della  Lituania che, dal 1944 al 1953 si sono battuti con le armi contro  l'occupazione sovietica".
Come si può ben capire dalle motivazioni della decisione, è evidente  che i destinatari della campagna repressiva sono, ancora una volta, i soli comunisti, dal momento che i "combattenti per la libertà  lituana", considerati alla stregua di eroi nazionali, non hanno  esitato a militare nelle file del collaborazionismo e nelle legioni  delle SS, rendendosi responsabili, al servizio di Hitler, delle più  efferate atrocità.

I più giovani sostenitori dei criminali di guerra,  dunque, possono sicuramente dormire sonni tranquilli e agire  indisturbati.


Una conferma del carattere anticomunista e di riabilitazione del  passato nazi-fascista del nazionalismo lituano, proprio della  revisione costituzionale in corso, è venuta in questi giorni da una  sorprendente decisione di un tribunale locale, nella città di  Klaipéda, oscurata anch'essa dall'apparato mediatico continentale e  dalle istituzioni comunitarie, le stesse che, in nome della democrazia  e dei diritti umani, negli ultimi mesi non hanno esitato a scatenare  una campagna propagandistica contro Cuba.


Il 19 maggio, decidendo sulla sorte di tre neonazisti che, durante la  giornata dell'Indipendenza, nel febbraio scorso, avevano sventolato  bandiere con la croce uncinata e scandito slogan anticomunisti,  antisemiti e inneggianti al Terzo Reich, i giudici hanno sentenziato  che costoro dovevano essere assolti e liberati perché la "croce  uncinata è parte integrante del nostro patrimonio storico, un simbolo  importante della cultura baltica, ereditato dai nostri antenati".


Si tratta di un verdetto che finora non sembra essere stato ostacolato  dagli organi supremi della magistratura lituana e avere suscitato il  minimo scandalo dei governi e delle strutture giudiziarie dell'Unione  Europea. Una sentenza che sancisce in modo inquietante, in nome della  denigrazione del passato sovietico e del nazionalismo più fanatico, la  completa riabilitazione del nazi-fascismo.



***


[il testo che segue è tratto da:
Istituto Storico Provinciale Lucchese della Resistenza

Il contributo italiano alla Resistenza in Jugoslavia
Atti del convegno di studi tenuto a Lucca il 21 settembre 1980
Maria Pacini Fazzi Editore - Lucca 1981
digitalizzazione a cura di I. Serra, che ringraziamo]


Il Presidente della Repubblica Italiana


Accolgo con molto piacere il cortese invito rivoltomi dall'Istituto  Storico Provinciale Lucchese della Resistenza di presentare il volume  degli atti del Convegno di studio, tenuto a Lucca nel 1980, su "Il  contributo italiano alla Resistenza in Jugoslavia".


Ha perfettamente ragione Giacomo Scotti quando sostiene nella sua  relazione che la nascita del nuovo esercito italiano "inteso come  esercito democratico antifascista e parte integrante della coalizione  antihitleriana nella seconda guerra mondiale" deve essere anticipata,  alcuni mesi prima della storica battaglia per la conquista di  Monte  Lungo a Cassino, al 9 ottobre 1943, quando il Generale Oxilia,  Comandante della Divisione di Fanteria da montagna "Venezia", forte di  dodicimila uomini, dette ordini alle sue truppe di attaccare i  nazisti, coordinando le azioni militari con l'esercito popolare di  liberazione della Jugoslavia.


Dalle relazioni preparate per il Convegno, e ricordo per tutte quella  del Generale di Artiglieria Angelo Graziani, emerge l'imponente  contributo offerto dagli italiani alla lotta per la liberazione della  Jugoslavia: per numero, perchè si è parlato di circa 40mila italiani  coinvolti nella lotta partigiana; per mezzi, ricordo l'armamento,  l'assistenza tecnica e logistica offerta dalle unità italiane  all'esercito di liberazione jugoslavo. Con

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