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La VOCE ANNO XXIX N°9

maggio 2024

PAGINA 8

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Segue da Pag.7: I millantati crediti della “Brigata Ebraica”. Un po’ di storia che va conosciuta

contro il nazismo e non perché non ci fossero soldati già addestrati pronti a farlo. “Si stima che alla fine del 1944 gli uomini su cui l’Agenzia ebraica poteva davvero contare per impiego immediato […] fossero circa 37 000”, ma di questi davvero in pochi si arruolarono unendosi alla Brigata ebraica. “Il numero di suoi effettivi ebrei era di circa 4.000 uomini e non tutti erano ebrei palestinesi”. C’erano poi anche dei non ebrei.

I soldati erano provenienti da 54 diversi paesi e avevano un’estrazione sociale molto eterogenea. Uno dei due vice comandanti era il maggiore Edmund Leopold de Rothschild (membro della famosa casata), mentre la truppa era invece per lo più composta da proletari spesso con idee vagamente socialiste. La Brigata era organizzata in tre battaglioni da circa 750 uomini ciascuno e qualche altra compagnia aggregata.

Tenendo presente che ci sono stati casi di persone che hanno militato nella Brigata ebraica, ma vi si sono uniti dopo la fine delle ostilità e non hanno quindi mai combattuto, ad oggi non è chiaro quanti ebrei di Palestina abbiano effettivamente combattuto nella Seconda Guerra Mondiale.

Al netto di detta incertezza, si tratta comunque di numeri irrisori. Si ha quindi un riscontro al sospetto che nell’interesse della maggioranza dei sionisti di Palestina non vi fosse come priorità quella di sconfiggere Hitler e di fermare l’Olocausto, bensì quella di formare lo Stato d’Israele.

Partecipare, seppur simbolicamente, al fianco di quelli che ormai erano i vincitori della guerra dava il diritto ad avanzare pretese per il dopoguerra. Su questa simbolica partecipazione si sarebbe costruita la legittimità e la pretesa di costituire lo Stato d’Israele.

Questo cinico ed egoistico atteggiamento opportunistico ricorda molto quello di Mussolini che aveva detto nel 1940. quando l’avanzata nazista in Europa sembrava inarrestabile: “Io ho solo bisogno di avere alcune migliaia di morti per sedermi al tavolo della pace accanto ai vincitori”8. La cosa che non riuscì a Mussolini, riuscì invece ad Israele.

Il 5 novembre 1944 la Brigata venne trasferita dall’Egitto a Taranto che, con l’Italia divisa in due dalla guerra, era nelle retrovie e ben lontana dai luoghi di combattimento. Dopo cinque giorni fu inviata a Fiuggi. Il quartier generale si insediò alle terme, mentre il comando si sistemò al Grand Hotel Palazzo della Fonte. A Fiuggi la Brigata passò quattro mesi ad addestrarsi, seppur “non potevano certo dirsi i soldati più efficienti dell’esercito britannico”9.

Il 27 gennaio 1945 l’Armata Rossa liberò Auschwitz. Lo sterminio degli ebrei in qualche modo andò ancora avanti per quattro mesi, ma quella viene generalmente indicata come la conclusione dell’Olocausto. All’epoca la Brigata ebraica stava ancora alle terme di Fiuggi; il suo contributo nel porre fine a quell’orrore è stato quindi nullo.

Il 26 febbraio 1945 la Brigata lasciò Fiuggi diretta in Romagna. Venne aggregata al Quinto corpo d’armata, che era un contenitore in cui confluirono diverse truppe straniere. La Brigata ebraica fu messa sotto al comando dell’Ottava divisione indiana. Lì vi erano anche una divisione neozelandese, uno squadrone corazzato nordirlandese e militari italiani arruolatisi volontari con gli Alleati.

Dieci anni dopo l’inizio delle persecuzioni contro gli ebrei, a guerra praticamente finita, la Brigata ebraica divenne operativa e si presentò al fronte per tallonare per qualche giorno i tedeschi in ritirata: “La Brigata arrivò in Italia quando le sorti della guerra erano ormai decise. Partecipò soltanto a qualche scaramuccia”10.

Il primo vero scontro a fuoco della Brigata ebraica con i tedeschi ci fu il 14 marzo 1945, l’ultima azione di guerra fu il 14 aprile 1945.

Gli ebrei di Palestina che caddero nelle fila della Brigata ebraica furono 3011.

Combattendo per un mese con qualche migliaio di uomini (a conflitto praticamente finito) e avendo qualche decina di morti, gli ebrei di Palestina si poterono collocare tra i vincitori della Seconda Guerra Mondiale. Ma si
intestarono la vittoria e poi pure la memoria.

Il prezzo in termini di vite fu sensibilmente meno salato di quello messo in conto da Mussolini, salvo poi assistere a tentativi ignobili di appropriarsi di altro per gonfiare i conti. A Gerusalemme, per esempio, “Un monumento onora i 200.000 soldati ebrei caduti combattendo con l’Armata Rossa durante la seconda guerra mondiale. Il memoriale, situato tra le tombe dei soldati israeliani, sembra quasi voler rivendicare un’appartenenza postuma delle vittime all’esercito israeliano e al movimento sionista. Proclama, in un certo senso, che quegli uomini e quelle donne sono caduti non per difendere l’Unione Sovietica nella sua guerra contro i nazisti, bensì per difendere il popolo ebraico e per realizzare la fondazione dello Stato d’Israele”12.

Questi atti di sciacallaggio storiografico servono prevalentemente ad alleviare il senso di colpa e di vergogna per non aver cercato d’impedire l’orrore della Seconda Guerra Mondiale e dell’Olocausto.

L’Agenzia ebraica e la quasi totalità degli ebrei di Palestina non intervennero per praticamente tutta la Seconda Guerra Mondiale. Mentre morivano decine di milioni di persone e l’incubo dell’Olocausto flagellava gli ebrei europei, altri se ne stavano tranquilli, al riparo sotto la protezione britannica.

Ovviamente, non avevano alcun obbligo legale a combattere, ma di certo ve ne era uno morale, lo stesso che aveva mosso volontari in ogni parte del mondo.

In virtù di quell’obbligo morale, chi decide di non combattere tenendosi lontano dalla guerra – a meno che non sia un obiettore non violento – è un “imboscato”. Ovviamente, il caso dell’”obiezione di coscienza non violenta” non è quello d’Israele.

Scrive Fantoni che per Moshe Shertok (direttore del dipartimento politico dell’Agenzia ebraica), il contributo degli uomini della Brigata ebraica “alla vittoria contro il nazifascismo era secondario, quello che contava davvero era che la loro presenza avrebbe propiziato la nascita dello Stato ebraico. […]. L’obiettivo ultimo e di maggiore importanza […] doveva però essere la creazione d’Israele”13.

Israele nacque nel 1948, ma già da prima dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale gli ebrei di Palestina si erano dati una loro forma di statualità con delle forze armate (milizie clandestine o simili) che potevano contare su decine di migliaia di uomini. Tra tutti questi, solo in pochi decisero di arruolarsi volontari per andare a lottare contro il nazismo e per cercare di porre fine all’Olocausto.

Gli altri, concentrati solo sulla costruzione del proprio Stato, rimasero indifferenti alla sorte delle decine di milioni di persone morte durante la guerra, soprattutto di coloro che lottarono per la vita e la libertà di tutti, nonché per costruire un mondo migliore.

Tornano quindi alla mente le parole di Antonio Gramsci, scritte alcuni anni prima: “Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.

Quello della Brigata ebraica è stato un atteggiamento contrario allo spirito che ha animato tutti quelli che hanno combattuto per un mondo migliore. Mentre in ogni parte del mondo partivano per il fronte milioni di persone, anche volontariamente, qualcun altro si teneva da parte, indifferente. Un atteggiamento in antitesi rispetto ai valori della Resistenza, fatta da volontari che hanno lottato per sconfiggere il nazismo e per porre fine alle sue ingiustizie, in primis le persecuzioni. Chi per calcolo si è tenuto da parte, lasciando che l’orrore si compiesse, ne è in qualche misura corresponsabile e come tale va condannato.

La Brigata ebraica non ha contribuito all’esito della guerra si è affacciata al fronte solo quando la vicenda si stava chiudendo. Se tutti avessero fatto altrettanto, allora Hitler avrebbe conquistato il mondo intero e l’Olocausto sarebbe stato totale. Per questo non c’è motivo d’essere riconoscenti: quel poco che hanno fatto non era per la libertà e la giustizia, ma solo per legittimare la fondazione del proprio Stato. Ma soprattutto il loro atteggiamento è da stigmatizzare, in particolar modo di fronte alle nuove generazioni, perché sia chiaro che quella condotta ha favorito il nazismo.

Il saldo dell’azione della Brigata ebraica fu comunque estremamente positivo per Israele; in cambio di una piccola comparsata a fine guerra, riuscì ad ottenere lo Stato. Il saldo invece tra quello che poteva fare e
..segue ./.

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