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La VOCE  ANNO XIV  N° 1

SETTEMBRE  2011

PAGINA  III

co francese Pozzi aveva ammonito che era un crimine costringere la civile Croazia a sottomettersi alla Serbia, che aveva ancora tanto da imparare"

6 ottobre 2006: a Pristina, nel tripudio degli estremisti pan-albanesi guidati da Agim Ceku, il novantatreenne inaugura la Piazza rinominata alla sua famiglia Asburgo-Lorena proclamando che "i kosovari devono essere orgogliosi di questa piazza. I loro amici li appoggeranno nel raggiungimento del loro desiderio di avere uno Stato indipendente integrato nell'Unione Europea"

(fonti: archivio JUGOINFO. Invettiva a cura di Italo Slavo per CNJ-onlus)


Europa orientale e meridionale


La regressione esportabile
Uno sguardo d'insieme su donne e lavoro nelle giovani democrazie dell'Est e del Sud evidenzia un preoccupante e generalizzato arretramento dei diritti
Cristina Carpinelli

Noi Donne, settembre 2011

Con la crisi economica mondiale, le giovani democrazie dell'Europa dell'Est e del Sud stanno arrancando in una seria recessione. Il crollo si è abbattuto su finanza, assicurazioni ed edilizia, settori tipicamente maschili, ma anche su servizi e commercio, dove gran parte delle maestranze sono donne. Molti lavoratori sono espulsi dal mondo del lavoro. Di questi, le donne sono in numero superiore: tenendo conto delle differenze nei livelli occupazionali tra i sessi, si può affermare che le donne sono le vittime predestinate della recessione. L'impatto della crisi ha colpito in modo particolare le donne già provate dagli anni della transizione durante cui i tassi d'ingresso e d'uscita dal lavoro (maschile e femminile) si ripartirono iniquamente a loro grande svantaggio.

Quando l'indice GEI (Gender Equity Index) segna regressioni a livello nazionale, per la maggior parte dei casi si tratta di passi indietro nella partecipazione delle donne all'economia. Questo, come afferma il Social Watch (Report 2010), è il caso dell'Europa orientale e meridionale, che presenta il peggioramento più consistente. L'indice GEI 2009, riferito allo Stato di Slovenia, che è il paese con il Pil più alto tra le c.d. economie in transizione, corrisponde al 65%. Un valore piuttosto basso, principalmente causato dalla scarsa presenza femminile negli organi legislativi (12,2%). La situazione è decisamente migliore nel settore degli affari dove le slovene occupano circa il 20% delle cariche direttive.

La Repubblica di Macedonia, che nel passato aveva goduto di elevati livelli di partecipazione femminile all'economia, si trova nel gruppo di quelli che hanno fatto marcia indietro (43,5% - dati Eurostat, 2010). Slovacchia, Croazia, Ungheria e Bulgaria presentano tassi di disoccupazione femminile sotto alla media europea (9,5%) e in costante peggioramento nel corso degli ultimi anni (dati Eurostat - 2010) . Il Forum delle donne indipendenti d'Albania ha di recente denunciato l'alto tasso di disoccupazione femminile delle albanesi (19%), connesso alla privatizzazione del mercato del lavoro e agli elevati tassi migratori.

La globalizzazione dei mercati ha prodotto la delocalizzazione degli impianti produttivi da parte di imprese e multinazionali. Si è esteso, in questo modo, il lavoro dipendente mal pagato e precario, specialmente fra le donne. Molte realtà imprenditoriali italiane hanno trasferito in Romania considerevoli investimenti finanziari e tecnologici. Queste realtà imprenditoriali si sono insediate, in particolare, nella provincia di Timisoara, che attualmente dà parecchio lavoro alla manodopera autoctona dal costo "contenuto": nelle imprese calzaturiere, dove le occupate sono tutte donne rumene, i lavoratori percepiscono un decimo del salario italiano.

Un dato in controtendenza arriva dalla regione del Baltico. Nelle tre piccole repubbliche, la crisi economica si è pesantemente abbattuta tra il 2007-2010. I settori dell'economia che sono stati colpiti sono il primario (agricoltura e allevamento) e il secondario (costruzioni navali e industria meccanica, chimica ed elettronica) dove è occupato il 50% della forza lavoro del paese, quasi tutta maschile. Il settore terziario, in cui è al contrario concentrata gran parte della manodopera femminile, non ha subìto i contraccolpi della crisi. Questa situazione si è riflessa sui tassi di disoccupazione: l'Estonia è al primo posto per il tasso maschile di disoccupazione più elevato di quello femminile (rispettivamente 19,7% e 11,2%). Seguono Lituania (18,6% e 10,6%) e Lettonia (26,6% e 19,2%) - dati Eurostat 2010. Questo orientamento, spiccatamente marcato nel Baltico, si è riscontrato anche in tutta l'Ue-27. Ciò è dovuto al fatto che i settori dell'industria e della costruzione, a prevalenza di manodopera maschile, sono stati duramente segnati dalla crisi. Negli ultimi mesi del 2010, però, i tassi di disoccupazione femminile e maschile sono cresciuti allo stesso ritmo e questo riflette l'allargamento della crisi ad altri comparti, in cui la composizione degli occupati per sesso è più equilibrata di quella dei settori ridotti per primi.


La condizione delle donne serbe non è dissimile a quella che si riscontra in molti altri paesi: stipendi più bassi rispetto a quelli degli uomini, scarsa presenza femminile nei ruoli dirigenziali, difficoltà a conciliare famiglia e carriera, ecc. Le donne serbe, però, ap

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