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La VOCE  ANNO XIV  N°  4

DICEMBRE   2011

PAGINA II

lati e impiccati come ammonimento per la popolazione.

Dall'aprile 1941 all'ottobre 1944 nel Banato si ebbero un numero totale di vittime pari a 7513 (di cui 2211 uccise in loco, 1294 morte nei campi di concentramento in cui furono deportate, 1498 uccise nei campi di lavoro forzato)[3]. Dal marzo 1942 ben 21100 tedeschi etnici del Banato furono reclutati, volontariamente o per coscrizione, nei reparti delle SS. Essi costituirono la famigerata divisione Principe Eugenio che dalla base operativa di Pancevo dilagò in tutto il territorio jugoslavo, abbandonandosi ad efferati crimini contro la popolazione inerme (anche contro centinaia di croati di numerosi villaggi attorno a Spalato) e dando una spietata caccia ai «ribelli» comunisti e ai cetnici di Mihajlovic[4].

La Serbia: tra resistenza e collaborazionismo.



L'estrema brutalità nazista nei confronti della Serbia fu evidente sin dalle prime ore dell'invasione del Regno di Jugoslavia il 6 aprile 1941. Gli impressionanti bombardamenti della Luftwaffe sulla città aperta di Belgrado provocarono la morte di 17 mila civili. I militari del regio esercito jugoslavo, composto per il 90% da serbi, furono subito internati nei campi per prigionieri di guerra in Germania[5]. Immediatamente posta sotto la diretta amministrazione militare tedesca, la Serbia fu ridotta territorialmente ai confini precedenti la prima guerra balcanica, divenendo terra di conquista del Reich. Come prospettato alla conferenza di Vienna del 16 aprile 1941, la Serbia e la sua capitale rappresentavano nel Nuovo Ordine europeo un avamposto imbattibile, come lo era stato nei secoli precedenti nelle guerre tra l'impero asburgico e i turchi, per la difesa dell'Europa centrale e di Vienna[6]. Perciò concesso il Kosovo all'Albania (tranne la sua punta settentrionale) e parte della Serbia sudorientale alla Bulgaria, l'amministrazione tedesca, dipendente dal 9 giugno dai comandi militari per il settore sud est nella persona del feldmaresciallo List, fin da subito occupò le ricche miniere del territorio serbo e kosovaro, strategicamente importanti per l'industria bellica tedesca, garantendo la sicurezza e la funzionalità delle vie di comunicazioni lungo il Danubio nonché il più ampio collegamento tra Belgrado e Salonicco, fondamentale per i rifornimenti sul fronte africano[7].

Il quartier generale amministrativo del comandante militare per la Serbia, facente funzioni di governo e guidato dall'alto funzionario nazista H. Turner, da subito introdusse la legislazione antiebraica del Reich e obbligò donne e uomini al servizio del lavoro. Esso in pratica affiancava e controllava le autorità civili serbe collaborazioniste che dal maggio 1941, con la formazione del cosiddetto Consiglio dei commissari presieduto da M. Acimovic, erano sì state restaurate ma erano totalmente subordinate agli occupanti. I tedeschi avevano trovato fedeli servitori in ex funzionari del Regno dei Karadjeordjevic espressamente filotedeschi e filofascisti nonché in politici dei vecchi partiti borghesi decisamente anticomunisti. Convinti della vittoria delle forze dell'Asse e della definitiva morte della Jugoslavia, questi ultimi decisero di lavorare politicamente in favore dello Stato e del popolo serbo ma in realtà finirono per rendersi complici di gravissimi crimini contro i loro stessi connazionali[8]. Ben presto cominciarono ad affluire in Serbia i profughi e i deportati dalle regioni della smembrata Jugoslavia.

L'inizio della lotta armata popolare convinse i tedeschi della necessità di allargare il consenso politico attorno alle autorità collaborazioniste. Furono intavolate trattative per la formazione di un esecutivo serbo che si conclusero con la nascita il 29 agosto 1941 del cosiddetto «governo di salvezza nazionale», guidato dall'ex ministro della difesa jugoslavo, generale M. Nedic (già destituito nel 1940 per essersi espresso in favore di una più stretta collaborazione con le forze nazifasciste)[9]. Il governo fantoccio fu da subito spalleggiato dalle milizie del partito fascista serbo (ZBOR) di D. Ljotic, già designato dai tedeschi quale capo del governo quisling, di cui però aveva declinato la guida in favore di Nedic. I cosiddetti ljoticevci, al fianco dei reparti di polizia e della Gestapo serba, collaborarono attivamente con le forze d'occupazione germaniche alla repressione e al massacro di comunisti ed ebrei così come alle azioni di rappresaglia contro la popolazione[10]. Il maggiore obiettivo del governo collaborazionista fu sempre quello di annientare tutte le forze della resistenza e di arrestare coloro che si connotavano per le loro idee progressiste e antifasciste[11].

Fin da subito la Serbia dimostrò nei confronti delle forze d'occupazione naziste il suo carattere indomabile: già nel mese di maggio le forze nazionaliste filomonarchiche del generale D. Mihajlovic ripararono sulle pendici della Ravna Gora nella Serbia sud-orientale, da dove iniziarono azioni di sabotaggio contro le truppe tedesche. Dalla valle del fiume Toplica nella Serbia meridionale i ben più noti cetnici di K. Pecanac, incaricato dal governo monarchico di condurre azioni di guerriglia contro le forze nazionaliste bulgare e albanesi, ingrossavano le loro fila con profughi serbi provenienti dalla Macedonia e dal Kosovo. Contemporaneamente si organizzava e si preparava ad entrare in azione il PCJ gravemente minacciato dalle pesanti retate delle forze di polizia tedesche e collaborazioniste nel mese di giugno.


Nel giorno dell'invasione nazista dell'Unione Sovietica numerosi attentati e sabotaggi furono realizzati a Belgrado dalle organizzazioni giovanili comuniste[12]. Il 7 luglio nel villaggio di Bela Crkva sotto la guida di Z. Jovanovic scoppiava la prima grande rivolta della più vasta insurrezione popolare condotta dai partigiani comunisti e dai cetnici di Mihajlovic: tra luglio e settembre le forze della resistenza riuscirono a liberare gran parte delle località minori e dei villaggi, infliggendo gravi perdite alle truppe tedesche costrette

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