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La VOCE  ANNO  XII   N°8

APRILE  2008

PAGINA  c

NUCLEARE

Il governo Berlusconi sin dal suo insediamento ha dato molto risalto  alla sua linea strategica di sviluppo
dell'energia nucleare.
La questione presenta molti aspetti contraddittori e cerco, in questo  breve spazio, di evidenziarne schematicamente alcuni:
1) Innanzitutto nel 1987 in Italia abbiamo votato per tre quesiti  referendari, che è il caso di ricordare nel merito e nei risultati:

1 - Veniva chiesta l'abolizione dell'intervento statale nel caso in  cui un Comune non avesse concesso un sito per l'apertura di una 
centrale nucleare nel suo territorio. I sì vinsero con l'80,6%.2 - Veniva chiesta l'abrogazione dei contributi statali per gli enti  locali per la presenza sui loro territori di centrali nucleari. I sì  s'imposero con il 79,7%.

3 - Veniva chiesta l'abrogazione della possibilità per l'Enel di  partecipare all'estero alla costruzione di centrali nucleari. I sì  ottennero il 71,9%. (Fonte: Corriere della Sera, 24 febbraio 2009)

La partecipazione fu del 65,1%: fu una delle ultime occasioni in cui  gli italiani dimostrarono di volersi avvalere seriamente dell'istituto del referendum (ricordiamo che i referendum successivi hanno avuto una  crisi sempre più acuta di partecipazione). Certamente "pesò" anche  l'effetto-shock della catastrofe di Chernobil, avvenuta solo un anno  prima, ma nondimeno l'opinione degli italiani si espresse con grande  chiarezza. I quesiti non chiedevano esplicitamente la chiusura delle  centrali nucleari già esistenti a causa di una impossibilità normativa  a intervenire in tal senso con un referendum, ma il risultato, oltre a  dimostrare ampiamente che gli italiani non volevano un ulteriore  sviluppo del nucleare, comportò di fatto l'abbandono delle centrali  già attive.

Il fatto che oggi il governo Berlusconi, come unico provvedimento  "strategico" per affrontare la crisi energetica, muova in direzione 
diametralmente opposta a quel volere degli italiani così chiaramente  espresso nel 1987 è l'ennesima dimostrazione della vocazione  antidemocratica della classe dirigente che oggigiorno ci ritroviamo.

2) In linea di principio, come materialisti dialettici non ci  opponiamo in maniera assoluta ed acritica alla ricerca scientifica ne'  alla produzione dell'energia nucleare. Anzi sappiamo bene l'importanza  della conoscenza e della padronanza di tali tecnologie per un paese  come il nostro. E' però paradossale, e segno di malafede, che questo  governo ed i suoi alleati della Confindustria propagandino il nucleare  come strumento per rivitalizzare e sviluppare la ricerca scientifica e  tecnologica nel nostro paese proprio mentre tagliano i fondi in tutti  i settori della Ricerca&Sviluppo - dagli Enti di ricerca, incluso  l'ENEA, fino alle scuole di ogni ordine e grado - e le industrie di  più alto livello tecnologico da noi continuano a chiudere! Non si capisce dunque perchè tanto apparente zelo in un unico e  specifico settore, quello nucleare.

3) La grave crisi energetica determinata dal carattere ambientalmente  devastante e sempre più anti-economico dell'utilizzo dei combustibili  fossili non può essere risolta dall'uso del nucleare per alcuni ben  noti motivi:

- il problema delle scorie e della sicurezza degli impianti  (soprattutto in questa epoca di guerre sempre più frequenti per cui le 
grandi centrali e depositi radioattivi diventano un obiettivo ideale  di ogni attacco);
- il problema dell'approvvigionamento di uranio, che va ad esaurirsi  nel giro di pochi decenni proprio come il petrolio;- il problema del controllo militare sul ciclo dell'uranio e delle  interazioni tra produzione energetica e produzione bellica.

4) Infine, per affrontare con lungimiranza la crisi energetica  bisognerebbe investire su fonti realmente innovative ed eco- compatibili, quali il sole: guarda caso invece sugli investimenti nel  solare siamo molto indietro - basta fare un raffronto con paesi come  la Germania che negli ultimi anni si sono "lanciati" su quel settore,  come sull'eolico, e ne detengono saldamente tutti i brevetti. E'  l'ennesima dimostrazione, questa, del provincialismo bigotto e della  miopia della classe dirigente e imprenditoriale del nostro paese.

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