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La VOCE  ANNO XII  N° 3

NOVEMBRE  2009

PAGINA 3

ANDREA MARTOCCHIA


La precarietà accademica, ovvero il gioco del silenzio


È legittimo chiedersi perché in Italia i precari, forza numericamente rilevante, assorbano in silenzio i colpi impietosi loro inferti da un sistema lavorativo che, qualche decennio fa, avrebbe procurato notti insonni a datori di lavoro, privati o pubblici, a imprenditori o rettori. Il fenomeno dei lavori a termine conosce, nell’ambiente universitario, dove peraltro ha dimensioni dilaganti, la sua massima espressione di afasia: al ricercatore-docente avventizio, con mansioni da “adulto”, ma status di “giovane” individuo non ancora accolto dalla comunità, è precluso l’ascolto e la parola. Non sente la voce ufficiale dell’istituzione che lo esclude, più per consuetudine che per legge, dalle assise accademiche e dalla vita “democratica” di ateneo, adducendo a motivo la intrinseca inafferrabilità della categoria precaria. Anche la voce sindacale, cui il lavoratore disagiato è tradizionalmente sensibile, è flebile: i sindacati stentano ancora ad accettare tanta perversione in un territorio da sempre off-limits. Il lavoratore provvisorio non sente il richiamo del branco, che non esiste. Il temporaneo della ricerca e della docenza universitaria non è un animale gregario, si mantiene su posizioni di autismo culturale; individuo solingo in un ecosistema ostile, si concentra sulla propria sorte e ricama su se stesso. I colleghi li ritiene competitori diretti, a maggior ragione se precari anch’essi; anzi, più il lavoratore è instabile, più teme i suoi simili. L’unico riferimento esterno è, per il ricercatore avventizio, il professore-madre. Il rapporto filiale tra professore e allievo, premessa indispensabile alla comprensione del fenomeno, merita qui un approfondimento. Seguiamolo dalla nascita. Il professore individua nella popolazione studentesca un soggetto in cui, per affinità impalpabili, riconosce la propensione alla prosecuzione della scuola; lo tiene sott’occhio, gli propone la tesi, lo segue fino alla laurea; lo sostiene come candidato dottorando: sono così posti i fondamenti della subordinazione diretta del giovane al professore. L’individuo “analogo” accede al corso di dottorato, ed ha una borsa per tre anni. È la metamorfosi: il precario esce dal bozzolo; inizia il percorso di precariato vero e proprio, costituito da una sequenza di assegni e borse, di premi e concessioni. Si manifestano ora, acuti, i segni della dipendenza, alimentati dalla promessa di una prossima (ma mai troppo) dipartita dell’individuanzione che consentirebbe “automaticamente” l’accesso ai ruoli

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