Il Presidente KIM IL SUNG sul marxismo-leninismo

kfaitalia / ottobre 2, 2018
Da Kim Il Sung, L’idea del Juché, Associazione italiana per i rapporti culturali con la Repubblica popolare democratica di Corea, 1980, pp. 112-116:
Caratteristiche ed esigenze della nuova fase di sviluppo del movimento comunista internazionale
«Le idee del Juché sono del tutto conformi ai princìpi fondamentali del marxismo-leninismo; sono sorte rispecchiando la nuova fase di sviluppo del movimento comunista internazionale e le sue ineluttabili conseguenze» (Kim Il Sung, Oeuvres Choisies, 2ª ed. francese, t. V, p. 585).
«Con l’approfondirsi della crisi economia e l’accentuarsi della crisi politica e delle contraddizioni sociali nel mondo capitalista, gli imperialisti, per trovare una via d’uscita, si aggrappano ancor più alla loro politica di guerra, minaccia e ricatto, mentre la lotta antimperialista dei popoli dei paesi socialisti, del Terzo Mondo e della classe operaia internazionale prende slancio su scala mondiale» (Raccolta di discorsi pronunciati dal compagno Kim Il Sung, grande leader, durante la sua visita all’estero, ed. coreana, p. 3).
«Ai nostri giorni le forze imperialiste sono in decadenza, mentre le forze dei popoli per la pace e la democrazia, l’indipendenza nazionale e il socialismo acquistano maggiore ampiezza e forza» (Réponses aux questions posées par des correspondants étrangers, ed. francese, 1974, p. 246).
«…nella misura in cui si sviluppa il movimento rivoluzionario della classe operaia e delle masse popolari, numerosi problemi, difficili e complicati, che fin’ora non erano in discussione, si pongono in modo nuovo» (Ibidem, p. 222).
«Arbitro della rivoluzione di ciascun paese è il suo stesso popolo. Un popolo deve assumere, nei confronti della rivoluzione del suo paese, un atteggiamento responsabile per risolvere tutti i problemi posti dalla rivoluzione e dall’edificazione con le proprie forze, secondo i propri interessi e in base alle realtà nazionali» (Réponses aux questions posées par des correspondants étrangers, ed. francese, t. II, p. 120).
«Il partito e il popolo di ciascun paese conoscono conoscono meglio d’ogni altro il problema del loro paese. Di conseguenza, il decidere come condurre il movimento rivoluzionario in ciascun paese spetta, giustamente, al suo partito e al suo popolo…
«Il movimento rivoluzionario e il movimento democratico oggi in azione in numerosi paesi potranno svilupparsi con successo e giungere alla vittoria solo se i partiti e i popoli di questi paesi determineranno, a partire dalla loro posizione di indipendenza, la giusta teoria guida e il metodo di lotta scientifica adeguata alla realtà del loro paese. E li metteranno in atto» (Réponses aux questions posées par des correspondants étrangers, ed. francese, 1974, pp. 230-231).
«I tempi sono cambiati, è passata l’epoca in cui il movimento comunista aveva bisogno di un centro internazionale (…)
«La rivoluzione di ciascun paese viene condotta dalla forza del suo popolo, sotto la direzione del suo partito, e non più da un qualsiasi “centro” internazionale o dal partito di un altro paese» (Kim Il Sung, Oeuvres Choisies, 2ª ed. francese, t. IV, pp. 397-398).
«L’attuale situazione del movimento comunista internazionale ci impone di attenerci con ancora maggiore fermezza all’indipendenza e all’autonomia» (Ibidem, p. 403).
«Così è nel presente, così sarà – e ancor più – nel futuro. Per condurre il socialismo alla vittoria completa e per passare poi gradualmente al comunismo dovremo, anche in futuro, aprirci da soli una via tutta nuova, a tutti sconosciuta, verso la soluzione di molti problemi, basandoci comunque sempre sui princìpi universali del marxismo-leninismo. Per noi, per elaborare la strategia e la tattica della nostra rivoluzione, è importante generalizzare e sistematizzare l’esperienza pratica della nostra rivoluzione e della nostra edificazione secondo le leggi che reggono lo sviluppo sociale nel nostro paese» (A propos du Djoutché dans notre révolution, ed. francese, t. I, p. 438).
«Formulando la loro teoria dell’edificazione del comunismo, Marx e Engels hanno insistito molto sull’aspetto economico, poco su quello ideologico. Prevedevano che la società comunista, in cui ciascuno lavora secondo le proprie capacità e viene retribuito secondo i propri bisogni, si sarebbe realizzata quando la classe operaia al potere avesse strappato al capitalismo i mezzi di produzione – quali le fabbriche, le ferrovie e le terre – per trasformarli in proprietà dello Stato, e quando avesse maggiormente sviluppato le forze produttive.
«Tuttavia, nello studiare la teoria di Marx e di Engels sull’edificazione del comunismo, non possiamo non tener conto di certi fatti; essi hanno formulato la loro teoria senza aver direttamente intrapreso l’edificazione del comunismo; sono vissuti all’epoca del capitalismo pre-monopolista e, nel loro studio del problema della costruzione del comunismo, hanno preso in considerazione le condizioni dei paesi capitalisti sviluppati, che erano l’ambito della loro attività. Hanno, in partenza, concepito l’idea che la rivoluzione proletaria sarebbe scoppiata successivamente, e quasi simultaneamente, nei principali paesi capitalisti, e che la rivoluzione mondiale avrebbe vinto in un brevissimo arco di tempo; pensavano anche che, nell’ambito di un dato paese, una volta al potere la classe operaia e nazionalizzati i mezzi di produzione, la costruzione delle basi materiali e tecniche del comunismo non avrebbe richiesto più molto tempo. Di conseguenza, hanno ritenuto che il periodo di transizione dal capitalismo al comunismo dovesse essere breve. Non potevano prevedere in modo adeguato che i residui delle vecchie ideologie persistenti nell’animo degli uomini e l’ideologia borghese che vi si infiltrava avrebbero seriamente ostacolato l’edificazione del comunismo, e che nel suo corso potevano sorgere molteplici difficoltà» (Kim Il Sung, Oeuvres Choisies, ed. francese, t. VI, p. 217).
«Marx militava in un paese come l’Inghilterra, dove il capitalismo aveva raggiunto un elevato livello di sviluppo: nello studio della rivoluzione socialista ha quindi preso in considerazione le condizioni di quel paese. Di conseguenza, ha previsto l’avvento della società comunista subito dopo la presa del potere da parte della classe operaia, e ha creduto che, siccome la rivoluzione proletaria sarebbe scoppiata quasi contemporaneamente, o almeno successivamente, in tutti i principali paesi capitalisti, la rivoluzione mondiale avrebbe trionfato in un arco di tempo relativamente breve. Di conseguenza, ha pensato che il periodo di transizione dal capitalismo al comunismo sarebbe stato corto» (Ibidem, p. 501).
«A differenza di Marx e di Engels, Lenin – che aveva fatto la rivoluzione in una Russia in cui lo sviluppo capitalista era in ritardo, e che aveva lui stesso diretto l’edificazione del socialismo – pensava che il periodo di transizione dal capitalismo al comunismo non sarebbe stato breve, ma molto lungo. Tuttavia, neppure Lenin è entrato nei particolari per quanto concerne la rivoluzione ideologica che, in questo periodo di transizione, lo Stato della dittatura del proletariato deve effettuare a fondo.
«Lenin enuncia la sua concezione dell’edificazione del comunismo con questa formula: il comunismo è il potere dei Soviet più l’elettrificazione di tutto il paese. In questa frase, il termine “elettrificazione” dovrebbe essere così interpretato: automatizzare l’intero processo di produzione e porre così le solide basi materiali del paese attraverso la rivoluzione tecnica. E con il termine “potere dei Soviet” indica la dittatura del proletariato. Sviluppando ancora questo termine, lo possiamo interpretare come segue: lo Stato della classe operaia deve continuare la lotta di classe e la rivoluzione ideologica. Lenin, tuttavia, non ha potuto precisare l’idea che, se si vuole edificare il socialismo e il comunismo, bisogna rivoluzionarizzare gli uomini e trasformarli in classe operaia attraverso la rivoluzione ideologica, in modo da raggiungere così, a tutti i costi, tanto una robustezza ideologica quanto una robustezza materiale» (Ibidem, pp. 217-218).
«Come tutti ben sanno, Marx, vissuto all’epoca del capitalismo pre-monopolista, ha fondato il gran marxismo sulla base dell’analisi dei rapporti sociali del suo tempo e ha suonato così la campana a morto per la società capitalista. Tuttavia, non gli è stato dato di dirigere praticamente la rivoluzione socialista e l’edificazione del socialismo. Lenin, invece, ha portato avanti il leninismo – il marxismo dell’epoca imperialista, in cui vige la legge dello sviluppo politico ed economico ineguale delle potenze capitaliste – e ha organizzato e mobilitato la classe operaia della Russia per fare la Rivoluzione Socialista d’Ottobre. È stato l’inizio di una nuova era nello sviluppo storico dell’umanità. Ma Lenin non ha potuto compiere l’esperienza dell’edificazione del socialismo: sfortunatamente, è morto poco dopo la vittoria della Rivoluzione d’Ottobre. Continuando l’opera di Lenin, Stalin ha proceduto, in Unione Sovietica, alla collettivizzazione agricola, stimolando anche l’industrializzazione socialista. Ma anche Stalin è morto prima di poter vedere la completa vittoria del socialismo, e molto prima di poter giungere all’edificazione del comunismo.
«Per questo siamo stati costretti ad affrontare in buona parte con la nostra testa e a risolvere in modo creativo i problemi teorici e pratici che la rivoluzione socialista e – dopo la vittoria – l’edificazione ponevano al nostro paese» (A propos du Djoutché dans notre révolution, ed. francese, t. I, pp. 437-438).

Fonte: Giù le mani dalla Corea socialista